Ma il PD è di sinistra ? La domanda mi è sorta spontanea nel leggere i numeri riportati sul Corsera da Nando Pagnoncelli, direttore di un centro studi di rilevamenti e sondaggi .
Nell'eterna lite al Nazareno - forse manco a Piazza del Gesù erano così rissosi, o, almeno, avevano toni più bassi (il veleno era lo stesso, in effetti) - il leit motiv della sinistra piddina è sempre lo stesso : Renzi, in realtà, è un usurpatore, non è un vero uomo di gauche, e il popolo di quella parte lo sa e ne soffre.
Sarà pure così, però, se parliamo proprio di PD - PD, i numeri non dicono questo, ché se si facessero i conti, primarie o congresso che sia, Renzi straccerebbe tutti. E visto chi sono i "tutti" - Emiliano, Rossi, Speranza - c'è da essere contenti, noialtri osservatori esterni.
Ma se all'interno del PD le cose stanno così, il che un po' sorprende dal grande casino che la minoranza fa, come se questi numeri li ignorasse, un po' diverso il discorso diventa allargando lo sguardo alla Sinistra tutta. Quella che alle elezioni non vota più - visto che succede anche a voi ? - oppure vota Grillo (in pochi votano le micro formazioni che nel tempo si sono formate a sinistra dei Dem, come Vendola, ormai tramortito, per non parlare dei movimenti dei transfughi Civati e Fassina).
Bene, quella sinistra Renzi non lo vota nemmeno sotto tortura.
Ma quanto pesa, nell'elettorato effettivo ?
Pagnoncelli ha provato appunto a "pesare" un partito nuovo, che sorgerebbe dalla scissione Dem, ventilata da D'Alema.
A tutto andar bene, quel partito potrebbe anche toccare quota 9%, non poco, erodendo almeno un 3% al PD renziano, ma non andrebbe oltre.
E deve andargli BENE.
Peraltro, con la storia delle liste bloccate, alle truppe non renziane che altro resta se non giocarsi quella carta per sperare di tornare in Parlamento ?
Buona Lettura
La «cosa» di D’Alema può superare l’8% Ma la sfida al
leader è in salita dentro il Pd
di Nando Pagnoncelli
L’ex premier eroderebbe il 3% dei voti ai dem
Il panorama politico si fa sempre più complesso. In
particolare nel momento in cui si affaccia la concreta possibilità che alle
prossime elezioni (sulla cui data il dibattito è acceso) si vada con una legge
sostanzialmente proporzionale, le divisioni nel Pd si accentuano. La sconfitta
referendaria e le dimissioni del premier hanno provocato una ridislocazione di
parte delle sensibilità e delle correnti presenti nel partito, con un crescere
delle critiche al segretario e una presa di distanza dall’ipotesi di votare il
prima possibile. Ancora in discussione il percorso congressuale, naturalmente
vincolato alla data del voto. Sembra prendere quota l’ipotesi delle primarie,
anche se non è ben chiaro quale possa esserne la valenza con una competizione
di carattere proporzionale. Abbiamo quindi testato, come la settimana scorsa
per il centrodestra, le primarie Pd, l’interesse e le intenzioni di voto.
L’attenzione coinvolge complessivamente oltre il 20% degli italiani. Per le
primarie di centrodestra la quota era simile, il 17% dei nostri connazionali.
Si tratta di competizioni gradite perché i cittadini si sentono chiamati a
scegliere direttamente il proprio rappresentante, superando i «rituali» della
politica .
La partecipazione
L’interesse però non significa partecipazione
effettiva: sappiamo che le ultime consultazioni primarie, quelle tenute nel
2013 dal Pd e vinte da Renzi, hanno coinvolto poco meno del 6% del totale
elettori. Questa attenzione si massimizza naturalmente nell’elettorato di
riferimento: poco meno della metà degli elettori Pd si dichiara interessato
alla consultazione (con il 17% molto interessato), mentre a sinistra
l’interesse si attesta intorno al 20%, con una quota di fortemente interessati
analoga a quella del Pd (16%). Sembra profilarsi una competizione a sinistra,
pur se naturalmente molto sbilanciata, visto il maggior peso dell’elettorato
del Partito democratico. La leadership di Renzi non è messa in discussione. Sul
totale degli interessati infatti raggiunge il 59% dei voti, contro il 10% di
Emiliano, l’8% di Rossi, il 5% di Speranza. Mentre a sinistra trionfa Speranza,
con il 60% dei voti, seguito da Emiliano e Rossi (rispettivamente al 20% e al
15%) e Renzi scompare (solo il 2% degli elettori di quest’area si esprime per
l’attuale segretario), la situazione si ribalta nel Pd, dove l’ex premier
arriva al 67%, con Emiliano al 10%, Rossi all’8% e Speranza solo al 2%. Sono le
misure raggiunte nel 2013, quando l’attuale segretario ottenne circa il 68% dei
voti contro due competitor collocati anch’essi a sinistra (Cuperlo e Civati).
Le scelte
Ai blocchi di partenza, non sembra esserci possibilità
concreta di scalzare Renzi: anche se gli incerti si ricollocassero tutti sugli
altri candidati, si assicurerebbe comunque la maggioranza. Ma è indubbio che
nel Pd sia indispensabile un processo di ricomposizione, di definizione degli
obiettivi comuni, di ricostituzione del gruppo dirigente. Le primarie possono
assolvere un ruolo importante in questo senso. Ma, lo ribadiamo, un leader
consacrato dalle urne ha comunque un peso ridotto quando la competizione è
proporzionale.
Le insidie per il Pd non finiscono con le primarie. È
di questi giorni l’ipotesi della costituzione di una lista di sinistra
collegata a D’Alema, che potrebbe raccogliere i dissidenti di sinistra. Le
stime, come si sa, sono complesse. Si tratta di una forza non ancora nata, di
cui semplicemente si ipotizza la presenza. Indubbiamente essa ha una buona
attrattività anche se, secondo i nostri dati, non nella misura che qualcuno ha
indicato. Infatti la stima di voto evidenzia come ci sia un bacino già
acquisito che si aggira intorno a poco meno del 4% del totale degli elettori,
grosso modo una cifra vicina al 6% sui voti validi. A questo bacino acquisito,
ovvero elettori che sono convinti di votare per questa nuova formazione, va
aggiunto un altro gruppo di elettori potenziali, ovvero molto vicini alla
lista, ma ancora indecisi. Un gruppo che vale poco meno di due punti sul totale
degli elettori, circa tre sui voti validi. Complessivamente quindi si tratta di
una lista che potrebbe arrivare, allo stato attuale, tra l’8 e il 9% dei voti
validi.
I voti tolti ai dem
I bacini da cui la nuova formazione potrebbe pescare
sono diversi. Innanzitutto l’elettorato Pd: circa il 40% dei voti proverrebbero
da elettori di questo partito. Ciò significa che il Pd potrebbe perdere circa 3
punti del proprio consenso (oggi stimato intorno al 30% dei voti validi) a
favore della formazione dalemiana. È interessante il fatto che essa
recupererebbe anche nell’area grigia del non voto o degli incerti. Da qui
verrebbe poco meno del 30% dei suoi consensi. Ancora, i consensi potenziali
potrebbero venire da elettori che attualmente si orientano sulle forze di
sinistra: poco meno del 20% dei consensi, pari a circa 1 punto e mezzo sui voti
validi. Dato che nel loro complesso le forze di sinistra sono stimate oggi
intorno a poco più del 4%, sembrano esserci degli spazi di ulteriore conquista,
anche se in questo caso si tratterebbe di valutare l’appeal in quest’area del
progetto Pisapia. Infine è interessante il flusso di voti che potrebbe arrivare
dal Movimento 5 Stelle, intorno al 15%.
Il panorama è complesso, come detto, e tutto è in
movimento, non solo nell’ambito del centrosinistra. Ma l’ipotesi di strappare a
Renzi, per quanto indebolito, la leadership, sembra per ora una strada davvero
difficile.
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