sabato 19 novembre 2011

ADDIO ALLE ARMI...E MO'??

Sulle alcuni giornali in questi giorni si fanno dei timidissimi tentativi che potremmo definire "primi passi verso una difficile pacificazione". Credo sia anche questo un po' da attribuire all'effetto Monti, che ha riportato di moda - almeno per il momento - l'aplomb istituzionale. Un Governo a cui non si può dare del "Tu" lo ha definito Berlusconi, al quale bisogna riconoscere, pur con tutti i tanti difetti che ha, una rara capacità di sintesi e di efficacia nello "spiegare" le situazioni.
E allora se un Professore Emerito, un uomo a cui viene unanimamente riconosciuto la categoria di grande Commis dello Stato, l'esatto contrario del suo predecessore per cultura, sobrietà, stile, sale in cattedra ed invita gli 800 (ottocento!) parlamentari che gli stanno per dare la fiducia ad abbassare i toni, a riporre le polemiche, a riportare la discussione a livelli di confronto e non tenzone, ebbé anche quelli fuori dal Palazzo si devono dare una regolata.
E il suono della campanella del titolare del Consiglio dei Ministri sembra veramente annunciare la fine della ricreazione.
Tempi duri per Santoro e tutti i suoi epigoni. Già sono in tanti che hanno iniziato a dire che loro nei talk show "pollai" non ci andranno più (Casini, e si riferiva a Ballarò!! considerato un "salotto" rispetto al defunto Anno Zero e più o meno riuscite imitazioni ).
Insomma, azzuffarsi, gridare più degli altri, fare il tifo, per il momento non va più di moda.
Guardate che fine poveracci hanno fatto quelle migliaia di studenti e di indignados che hanno dato vita nei giorni scorsi a manifestazioni contro il governo dei banchieri...Isolati, senza famiglie con bambini schierati a dare loro manforte, i giornali poi, meno che mai. Niente più personaggi importanti, della politica, delle istituzioni, addirittura di quella stessa finanza da questi giovanotti demonizzata, a profferire parole di comprensione, addirittura di approvazione delle loro ragioni (a parte il biasimo politically correct per le degenerazioni violente).
Nulla deve disturbare il nuovo corso.
Quanto durerà non lo so, però che figata!!!
Questo "addio alle armi" risuona, come detto, anche nelle redazioni dei giornali, nonostante che lì la fatica è ovviamente maggiore: senza polemica, senza nemici, è più difficile vendere, non c'è dubbio alcuno.
Però la parola d'ordine è questa, se no si è out, e si fa la parte di quelli non invitati che continuano a berciare fuori ma dentro nessuno si cura più di loro.
E, udite udite, anche la militanza civile che in Italia in questi ultimi 20 anni si traduceva SOLO nel parlare male di Berlusconi, è demodè.
Anzi, qualcuno, anche a sinistra, inizia a fare le pulci a quegli autori, scrittori, che, in crisi di ispirazione, aumentavano (ma parlare al passato credo sia un mio laspus freudiano) le proprie esternazioni impegnate e le proprie comparse(ate) in tv in misura direttamente proporzionale alla loro diminuita vena letteraria.
Di seguito, la pagina che tanto avrà urtato largo mondo dell'intellighenzia di sinistra, chiamata in causa, da uno di loro: Francesco Piccolo, scrittore e autore di trasmissioni "giuste", come Vieni via con me.
Piccolo cita espressamente due nomi, contrapponendoli: Tabucchi e Saviano.
A mio avviso, ha ragione quando sottolinea che Gomorra E' un libro di impegno civile, mentre Tabucchi scopre questa vocazione per farsi pubblicità, per rimanere in copertina a dispetto dei libri che non sono più belli come i primi. Ma Piccolo ha torto nel non vedere che il Saviano di oggi è stato preso dalla stessa sindrome: come scrittore non vale più. Solo Gomorra ha avuto valore. Quello che è avvenuto dopo, è stato, anche per lui, cavalcare l'onda.
Ma ecco la riflessione integrale di cui parlo, buona lettura (mie, al solito, le evidenzazioni).

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FRANCESCO PICCOLO 
"Qualche anno fa Antonio Scurati, in diretta televisiva, disse a Bruno Vespa che se il protagonista di un suo romanzo fosse stato lì, con la sua pistola, avrebbe scelto di sparare senz’altro al conduttore. In seguito, Scurati è stato indicato per anni scrittore di valore non soltanto per i libri di qualità che andava scrivendo, ma anche per quell’atto. E ci ha messo tempo per liberarsene. Noi scrittori veniamo giudicati, o — peggio — consideriamo noi stessi, più bravi o meno bravi, non tanto sulla base di un libro bello o mal riuscito, ma dalla quantità di esposizione del nostro impegno civile. Ci sembra di essere bravi se scriviamo editoriali sarcastici contro i politici del momento, se firmiamo appelli in favore della Costituzione, se accorriamo al Teatro Valle occupato. Sia chiaro: nulla da dire su chi sente la necessità di andare in strada a protestare. Anche se tra coloro che poi devono ragionare sui giornali, mettere un po’ di distanza tra sé e i fatti, sarebbe più sensato. Ma il problema più serio è che, scendendo in piazza, formulando invettive sarcastiche, firmando innumerevoli appelli civili ed etici, noi scrittori veniamo considerati (e ci consideriamo), per questo, degli scrittori di maggior valore. Anzi, direi di più. Man mano che passano gli anni, alcuni di noi sostituiscono la furia creativa con una furia civile. Quanta meno energia creativa fluisce nel sangue, tanta più passione civile ci possiede. Ecco, non vorrei che accadesse addirittura questo: che quando la capacità di scrivere dei bei libri affievolisce, possiamo credere di sostituirla con editoriali accesi di indignazione. Perché, pur essendo un diritto, non è il compito. L’unico compito che hanno gli scrittori è quello di scrivere, o almeno cercare di scrivere, dei libri che prima loro stessi e poi gli altri giudichino — cercando di dirlo nel modo più elementare e ingenuo possibile — belli. Valga un esempio per tutti, di uno scrittore che ho molto amato quando ero ragazzo: Antonio Tabucchi. Sono molti anni che non scrive libri significativi come i suoi primi, e sono proprio gli anni in cui la militanza civile ha preso il sopravvento. Quelli che oggi lo conoscono e non lo hanno letto venti anni fa, credono che sia soprattutto un punto di riferimento dell’antiberlusconismo. Il problema è proprio questo: la patente di antiberlusconiani si prende troppo facilmente, e infatti ce l’hanno centinaia di scrittori. In questi anni, quando si parla di letteratura e impegno, si può individuare facilmente un altro involontario colpevole: Roberto Saviano. Il quale, però, ha fatto un percorso inverso: il suo impegno civile scaturisce direttamente da ciò che ha scritto; e le due cose stanno insieme in modo naturale. La presenza così viva di Saviano come polo positivo e di Berlusconi come polo negativo, ha messo in circolo una energia decuplicata, quasi una moda dell’impegno, anche in coloro che non hanno nel dna “Gomorra” o “Petrolio”, ma scrivono romanzi d’amore o d’avventure. Il che, lo ripeto, è legittimo. Basta però che non si scrivano dei romanzi d’amore mediocri, e in seguito si cerchi la salvezza in un bell’editoriale pieno di passione civile. Credendo di essere riusciti a pareggiare i conti.

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