martedì 7 febbraio 2012

CI ERAVAMO SCORDATI DELLA GRECIA. CHE STA PEGGIO.

Proprio ieri avevamo postato un articolo relativo ai due dati antitetici: da una parte lo spread in discesa (ma ancora deve scendere tanto!) e le borse in rialzo a gennaio, dall'altra la crisi greca che non migliora mai, anzi.

La disoccupazione è raddoppiata in due anni, da 5 il paese è in recessione, gli stipendi sono stati falcidiati e ancora dovranno diminuire. In realtà in tantissime aziende le persone lavorano senza prenderlo il salario, sperando quantomeno di conservare il posto e che la situazione finalmente migliori.
Ora si parla di tagliare 15.000 posti pubblici. Noi in Italia parliamo dell'articolo 18....
Sull'editoriale di oggi, il Corriere della Sera, con Michele Salvati, riprende il discorso della necessità di  una solidarietà europea, come accadrebbe se l'Eurozona non fosse quello che è, tanti stati con regole economiche più o meno condivise, ma uno STATO SOVRANO unico, composto da realtà federali politicamente legate, come gli USA.
Purtroppo , se l'obiettivo è auspicabile, la realizzazione è assai lontana, forse anche perché negli USA hanno la stessa lingua e una storia di poco più di due secoli, a fronte di quella, anche sanguinosa, europea che è millenaria.
Michele Salvati insiste molto su concetti, quali quelli della redistribuzione dei redditi - dai più ricchi ai più poveri - piuttosto delicato e sul quale ho forti perplessità. Ma come ho detto altre volte, quando la casa brucia, i discorsi dei meriti forse possono essere accantonati per essere ripresi a casa quantomeno salvata.
Prima di lasciarvi alla lettura dell'articolo, (mi) faccio una domanda: sono circa due anni che alla Grecia vengono impartiti compiti da fare per avere sostegno finanziario. Quello che è in discussione è il terzo, se non ricordo male.
Siccome le cose stanno così come sopra descritte, delle due l'una: o i greci i compiti fanno finta di farli....oppure le ricette UE sono sbagliate e di troppo rigore si può morire.
Buona Lettura

L'EUROPA E LA CRISI DEL DEBITO

Se i Paesi della zona euro fossero regioni di uno Stato sovrano, le difficoltà in cui alcuni di essi incorrono nel finanziare i loro debiti pubblici non avrebbero ragion d'essere: nel suo insieme, l'Eurozona sarebbe perfettamente in grado di finanziarli senza conseguenze negative sui mercati. Il nostro ipotetico Stato sovrano avrebbe infatti partite correnti in equilibrio e non necessiterebbe di continui afflussi di capitale, come invece avviene per altre aree valutarie; il suo disavanzo pubblico sarebbe modesto, e del tutto sostenibile sarebbe anche il rapporto tra debito e Pil; soddisfacenti sarebbero infine i suoi equilibri monetari: l'inflazione dell'Eurozona è minore che in altri grandi Stati e non ci sono segnali di tensioni nel prossimo futuro. Rifinanziare il debito in scadenza e anche crearne di nuovo, entro certi limiti, non porrebbe dunque alcun problema. I problemi sorgono perché i Paesi dell'Eurozona non sono regioni di un unico Stato sovrano, perché la Grecia o l'Italia non sono il Nebraska o la California.
Che sarebbero insorti problemi dopo aver creato un'area valutaria comune tra economie assai diverse lo si doveva sapere: l'Eurozona è lontana dai caratteri che contraddistinguono un'area valutaria «ottimale», come la definiscono gli economisti. Seppure imperfetta, c'è una libera circolazione di merci e capitali, ma definire imperfetta la circolazione del lavoro è un eufemismo, frenata com'è da elevate barriere linguistiche e culturali. Gli Stati che la compongono sono soggetti a choc e a tendenze economiche molto differenti e avrebbero bisogno di politiche monetarie diverse, che la comune appartenenza all'euro non consente. E soprattutto mancano forti meccanismi di redistribuzione fiscale. Mancano perché il bilancio della Ue è irrisorio, e vincolato a poche politiche comuni, se confrontato con i bilanci di grandi Stati e alla flessibilità con la quale possono essere usati per politiche ridistributive. Insomma, mancano perché la Ue non è uno Stato sovrano e ci sono forti resistenze a trasformarla in una vera federazione, con un Parlamento eletto dai cittadini europei, un governo responsabile di fronte al Parlamento e un bilancio federale di dimensioni sufficienti ad attuare politiche ridistributive e strutturali in grado di contrastare gli squilibri economici e sociali esistenti tra gli Stati che la compongono.
A sua volta, all'origine della mancanza di un vero Stato federale sta il fatto che non c'è abbastanza «nazione» per sostenerlo, anche se per nazione ci limitiamo ora a intendere quei sentimenti di solidarietà e fiducia che inducono le regioni più ricche e meglio governate ad aiutare le regioni in difficoltà. La speranza che i problemi insorti con la moneta unica provocassero passi avanti significativi nella costruzione di una federazione, è stata sinora delusa. È vero che una considerazione lungimirante degli stessi interessi del suo Paese dovrebbe indurre la signora Merkel a più miti consigli, a garantire concessioni che evitino il tracollo degli Stati più deboli e forse della stessa moneta comune. Ma è altrettanto vero che fare accettare queste concessioni all'opinione pubblica tedesca e sopravvivere politicamente non è facile. In un altro momento storico, un grande statista, Helmut Kohl, riuscì nell'impresa: ma allora si trattava di riunificare la Germania facendo leva su un fortissimo senso di nazione e, ciò nondimeno, ci furono resistenze di fronte alla generosità del suo disegno.
Le difficoltà politiche si sono sinora rivelate insuperabili nei confronti dell'aiuto ai Paesi più deboli dell'Eurozona: le ragioni del raziocinio e di un self-interest illuminato non riescono a contrastare la mancanza di solidarietà e di fiducia dei cittadini tedeschi nei confronti di questi Paesi.
Gli italiani dovrebbero essere i primi a capirlo, e non solo per la consapevolezza del malgoverno passato. Noi siamo una nazione racchiusa in uno Stato sovrano e quindi non si pongono i problemi che ho prima descritto per l'Eurozona, un'area complessivamente forte ma che non vuole rispondere, e può non farlo, per le difficoltà delle sue regioni più deboli, un'area che non vuole trasformarsi in Stato. L'Italia è minacciata dalla speculazione internazionale, ma risponde a queste minacce nel suo insieme, finché ci riesce: essere Stato sovrano significa anche questo. Tuttavia il senso di unità, di cittadinanza comune, di solidarietà nazionale che dovrebbe sostenere uno Stato ben funzionante è incrinato da tempo, e nel Nord del Paese sono diffusi e alimentati ad arte, nei confronti dei meridionali, gli stessi sentimenti che nutrono i tedeschi nei confronti degli italiani: essendo parte dello stesso Stato, i cittadini del Nord leghista non possono rifiutarsi di onorare il debito comune, certamente non solo «colpa» del Sud, ma sarebbero ben lieti di trattare i meridionali come i tedeschi trattano gli italiani, di recedere dal patto che ha fondato il nostro Stato. Come pretendere solidarietà dai tedeschi se ce n'è così poca anche tra italiani?
Le ragioni di consenso politico immediato che motivano la signora Merkel e, nel suo piccolo, la Lega, si capiscono benissimo. Ma la cancelliera è il capo di un grande Stato, della maggiore potenza europea, e dovrebbe farsi guidare da obiettivi da grande statista, gli stessi che guidarono Helmut Kohl. Così sinora non è stato. Della situazione in cui si trova oggi la Grecia, non è certo responsabile. Ma del suo aggravamento le politiche da lei sostenute - too little, too late , troppo poco, troppo tardi - portano una responsabilità non piccola.

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