sabato 11 febbraio 2012

STIPENDI TROPPO ALTI. QUALCUNO SE N'ERA ACCORTO?

Lo spread scende.....siamo sotto i 350. Le borse hanno corso e sono incredibilmente tornate ai livelli di febbraio 2011!!  A che si deve ? E' grazie alle lacrime e sangue dei paesi mediterranei? La Spagna riforma i licenziamenti, e infatti i sindacati scioperano il 19 febbraio...In Portogallo continuano a tagliare stipendi e posti. In Italia finora ci siamo fermati alle tasse...vedremo come si mette con la famosa riforma del lavoro. In Grecia, vabbé, lì stanno veramente ai piedi di Zeus, però annunciano che faranno nuovi sacrifici pur di prendersi questi 130 miliardi....(!!!).
Leggendo l'articolo di Alessandro Fugnoli, l'esperto finanziario a cui il Camerlengo dà volentieri spazio per il suo raro "ottimismo", qualche risposta viene data a questa apparente distonia tra economia di carta e quella reale.
E per la prima volta vedo, tra le cause della crisi dei paesi del sud dell'Europa, l'accento posto sulle RETRIBUZIONI dei lavoratori.
MAI L'AVREI DETTO.
Eppure, dopo aver letto l'articolo.....Penso a mia sorella, che lavora nel ministero di Giustizia, e prende credo intorno ai 1.600 euro al mese....prima dell'avvento dell'euro non arrivava a due milioni di lire. IN TEORIA, convertendo i 1600 euro che oggi prende in lire, avrebbe uno stipendio di quasi 3.200.000 lire....
Voi direte che a fronte di un aumento del 50% i prezzi in genere sono aumentati del 100.
Ma questo non vale per lo Stato e le Imprese che pagano gli stipendi....
Ecco perché Portogallo e Grecia (90% addirittura i greci) che hanno visto la stessa impennata di stipendi e salari, oggi sono costretti a diminuirli . Italia e Spagna, se le misure prese e da prendere saranno sufficienti a tenere a bada i conti, forse basterà tenerli BLOCCATI e lasciare che il lavoro sporco lo faccia la svalutazione: i prezzi saliranno, le retribuzioni NO.
Ma vi lascio all'articolo
Buona Lettura


La crisi europea si è risolta (o quanto meno si è guadagnato tempo per risolverla).
La Bce si è uniformata alle altre grandi banche centrali. Non rema più contro, alzando i tassi, ma a favore e con grande energia, offrendo alle banche tre anni di finanziamenti a volontà. I governi europei hanno fatto grandi progressi nel riprendere il controllo dei loro conti e mostrano tutta l’intenzione di continuare su questa strada.
Non basta. La recessione europea sarà limitata ai paesi mediterranei e non coinvolgerà la Germania, come invece si temeva. La Cina sta riaccelerando, altro che atterraggio duro. Gli Stati Uniti, dal canto loro, stanno crescendo da quattro mesi alla notevole (di questi tempi) velocità del 2.5 per cento. Le imprese fanno profitti record, sono piene di liquidità e hanno finalmente ripreso ad assumere. L’energia è abbondante e non ostacolerà i consumi con i rialzi di prezzo del petrolio che le riprese si portano solitamente dietro. La Fed non solo non ha la minima intenzione di alzare i tassi, ma pensa giorno e notte a come rendere ancora più espansiva la sua politica monetaria e su questa linea si muove all’unisono con le banche centrali di tutto il mondo. I paesi emergenti sono sempre meno preoccupati dall’inflazione e stanno tornando ad abbassare i tassi.
Infine le azioni, per quanto salite, sono sotto i livelli della fine degli anni Novanta, mentre i profitti sono triplicati. Quanto alle alternative di investimento, è meglio stendere un velo pietoso sui costosissimi governativi tedeschi e americani, mentre le materie prime, come dice continuamente Bernanke, sono destinate a non andare da nessuna parte, con la parziale eccezione dell’oro, che trae forza dalle politiche monetarie sempre più espansive.
Gli argomenti per vendere e quelli per comprare che abbiamo riassunto sono tutti ben motivati e possono quindi condurre a quella che gli psicologi chiamano paralisi da analisi, il pensare molto senza decidere nulla.
Prima di provare a sciogliere questo nodo vale però la pena approfondire e capire quanto sia giusto che queste settimane di febbraio, che ancora due mesi fa i mercati si immaginavano avvolte dalla notte della recessione europea e della crisi bancaria e finanziaria globale, siano borsisticamente così allegre ed esuberanti.
La Grecia, innanzi tutto. Il paese continua a precipitare. Le privatizzazioni non si sono fatte, le liberalizzazioni sono rimaste sulla carta. I capitali sono all’estero. Si raccoglie il 20 per cento di Iva in meno rispetto a un anno fa. Nessuno investe un centesimo e il numero di imprese continua a diminuire. Le banche stanno in piedi solo grazie alla Bce. Il default sul debito è arrivato al 70 per cento (vorremmo conoscere gli abilissimi negoziatori dei creditori, che hanno rifiutato un taglio di capelli del 30, per ritrovarselo al 50 e poi al 70).
Il problema della Grecia (e in misura minore di Italia e Spagna) è uno solo. Dal 2000 al 2008 le retribuzioni tedesche sono cresciute del 20 per cento, quelle italiane e spagnole del 30-40 e quelle greche del 90. La soluzione, da qui in avanti, è una svalutazione dei paesi mediterranei, oppure un forte aumento dei salari tedeschi, oppure una riduzione dei redditi (salari pubblici e privati e pensioni) dei mediterranei, la cosiddetta svalutazione interna.
Idealmente, gli squilibri accumulati nel decennio scorso dovrebbero richiedere, in assenza di un riallineamento valutario, un periodo altrettanto lungo per essere gradualmente riassorbiti. In questi dieci anni le retribuzioni
tedesche potrebbero crescere, ad esempio, del 5 per cento l’anno e quelle mediterranee rimanere immobili, per un periodo più breve per Italia e Spagna, più lungo per il Portogallo e ancora più lungo per la Grecia.
Italia e Spagna riusciranno a percorrere questa strada (e forse anche il Portogallo). Terranno immobili i salari nominali e l’inflazione farà il suo lavoro. Per la Grecia è però impossibile aspettare 10-15 anni di salari immobili per recuperare competitività. Di qui il taglio drastico di tutti i redditi nominali in discussione in queste ore ad Atene.
La Grecia ha di fronte anni ancora più duri degli ultimi due, ma la svalutazione interna, per quanto sia la più dolorosa delle cure, alla fine avrà successo. Molti verranno licenziati, molti dovranno emigrare e le loro rimesse aiuteranno la bilancia delle partite correnti.
La crisi greca, quindi, ha ancora molti anni davanti a sé, ma i danni che la Grecia ha fatto al mondo sono finiti.
La prossima fase della crisi europea o non ci sarà o sarà francese. La Francia continua a perdere competitività e il suo disavanzo delle partite correnti è ora più ampio di quello italiano. La campagna elettorale in corso ha aspetti inquietanti. Il favorito Hollande, se eletto presidente, cercherà di mostrarsi molto combattivo nei confronti della Germania. Gli Oat francesi, come rapporto tra rischio e rendimento, sono in questo momento il peggiore investimento che si possa fare su un governativo europeo.
All’inizio di maggio, se Hollande sarà presidente, i mercati si chiederanno se attaccare la Francia e riaprire gli spread di Italia e Spagna. La risposta dipenderà dall’andamento dell’economia americana. Se andrà bene come ora non ci sarà un serio attacco. Se sarà più debole, l’Europa sarà più vulnerabile ad attacchi speculativi.  

Nessun commento:

Posta un commento