DELL'UTRI ANNULLATA LA SENTENZA DI CONDANNA |
Nel post di ieri, riportando la notizia sulla posizione piuttosto sorprendente del Procuratore , che aveva così fortemente criticato non solo la sentenza ma anche l'operato della Procura di Palermo, abbiamo scritto il nostro apprezzamento per i principi di assoluto GARANTISMO espressi dal Magistrato ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2012/03/dellutri-nessun-imputato-deve-avere-piu.html ).
Ovviamente mi fa piacere e mi lusinga ritrovare nel pezzo odierno di uno scrittore che apprezzo moltissimo, Davide Giacalone, l'eco di molte delle cose da me evidenziate ieri.
Prima di lasciarvi alla lettura dell'articolo, spendo solo due righe sulle reazioni alla sentenza.
La procura di Palermo non si è mostrata risentita delle pure dure parole del PG Iacoviello, esprimendo "rispetto" ancorché restando della propria opinione. Il Procuratore capo di Palermo ha usato questa testuale espressione "ogni testa è tribunale". Ecco, consiglierei ai fan della "certezza del diritto" di scriversela sul diario.
E' evidente che tra gli stessi magistrati la polemica più accesa riguarda, ancora una volta, la controversissima figura del reato di "concorso esterno alla mafia". Non c'è nessun reato rubricato a questa voce nel codice penale. Falcone lo ricavò attraverso la combinazione delle previsioni degli artt. 110 (che tratta appunto il "concorso") e 416 bis del c.p. (associazione a delinquere di stampo mafioso) ma "creando" la possibilità del concorso "esterno".
Io non faccio penale, e quindi non ho competenza. Però confesso la mia perplessità. Sono consapevole, a differenza di tanti miei connazionali, che la certezza del diritto è un'aspirazione, un'obiettivo ideale, da perseguire consapevoli di una meta inarrivabile. Al contempo, fare questi salti mortali carpiati , arrivando alla cosiddetta "giurisprudenza creativa", è fare l'esatto opposto che quell'obiettivo richiede.
Se Piero Grasso e Giuseppe Pignatone, Magistrati assolutamente esperti dei reati a sfondo mafioso condividono lo scetticismo (per usare un eufemismo) espresso ieri dal PG Iacoviello per questa figura di (non) reato, e d'altro canto molti PM siciliani ci sono affezionati, rivendicando la paternità di Giovanni Falcone che per primo "Individuò" la fattispecie...bé forse sarebbe il caso che il legislatore facesse chiarezza. Solo una chiosa polemica: gentili PM della Sicilia, Falcone è anche quello che auspicava la separazione della carriere tra Giudici e Pubblici Accusatori...
Vi lascio all'articolo di Giacalone, Buona Lettura
Ingiusto processo
La condanna inflitta a Marcello Dell’Utri è stata annullata, il processo d’appello deve essere rifatto. La chiave si trova nelle parole del sostituto procuratore generale presso la cassazione: “nessun imputato deve avere più diritti degli altri, ma nessun imputato deve avere meno diritti degli altri”. Un principio ovvio, ma troppe volte violato. Per quel che riguarda questo processo il procuratore ha aggiunto: “nel caso di Dell’Utri non è stato rispettato nemmeno il principio del ragionevole dubbio”. Non c’è altro da aggiungere. Se non il disagio perché un processo, in quelle condizioni, sia giunto fino al terzo grado.
Fra quanti esalteranno e quanti detesteranno tale decisione ce ne sono molti (decisamente troppi) che lo faranno per ragioni di schieramento. Ancora una volta il dibattito pubblico sarà agitato da suggestioni che con il diritto non hanno nulla a che vedere. Quando ho letto le parole appena citate ho anche sperato che una sentenza di quel tipo venisse annullata, come poi è stato, ma ciò non perché consideri Dell’Utri innocente, . bensì perché ne risultava evidente l’irregolarità, direi l’inciviltà del processo che lo aveva riguardato. Senza equo processo non c’è mai giusta condanna. Mai. A chi, come noi, segue con attenzione e passione la vita pubblica, politica, economica o giuridica, spetta il diritto di ragionare senza inginocchiarsi davanti alle sentenze (quante volte abbiamo scritto che certe sentenze in materia di mafia non stavano in piedi, fin quando anche le definitive si sono dovute rimettere in discussione). Al tempo stesso, però, a ciascuno di noi, in quanto cittadini, spetta il dovere di rispettare gli esiti processuali. Che non significa necessariamente condividerli, ma comunque accettare che quelle siano le conclusioni della giustizia. La confusione fra sentenze, politica e storia è uno dei più evidenti sintomi del disfacimento culturale e morale, che da troppo tempo ci affligge.
Chi ama il diritto, aspirando a vivere in una società ove ci sia giustizia, sa bene che la colpevolezza e l’innocenza non s’amministrano né al bar né sui giornali, ma nei tribunali. Come sa che ciascuno di noi deve essere considerato innocente fin quando una sentenza definitiva non attesti il contrario. Senza distinguo, senza furbizie, senza la bestialità di calunnie che si difendono dietro il copiato di atti giudiziari la cui sola ragione d’esistere è l’essere finalizzati alle sentenze. Che sono le uniche a contare.
Perché questo sia possibile, perché la libertà si sposi con il diritto, dando luogo a una società sana, occorre che il processo sia giusto e non viziato da pregiudizi. Occorre che l’imputato possa difendersi, senza nel frattempo essere sbranato da quella che François Mitterrand, allora presidente della Repubblica francese, definì “una muta di cani arrabbiati” (lo fece dopo il suicidio di Pierre Bérégovoy). Finché si sentono quei latrati non si vive né con giustizia né con libertà.
La requisitoria del procuratore, ieri, s’è soffermata su un altro punto, che i nostri lettori conoscono di già: il “concorso esterno in associazione di stampo mafioso” è divenuto un reato autonomo, benché i suoi contorni siano a dir poco confusi. Il codice punisce il concorso, come anche il favoreggiamento, mentre quello strano ibrido è stato prodotto da leggi poco chiare e giurisprudenza ardita. E’ appena il caso di ricordare che senza certezza della legge, e univocità della sua lettura, non può esserci giustizia, e che un reato deve essere chiaro nella sua definizione. Questo non lo è. L’accusa deve riferirsi a un fatto, e quel fatto deve riconoscersi in un reato. Il resto somiglia più ai processi alle streghe che non a un accettabile diritto.
Il processo Dell’Utri è da rifare. Null’altro, oggi, si può dire.
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