venerdì 13 aprile 2012

MONTI NON HA ALTERNATIVE ? SPERIAMO DI NO!!

Francamente non sono molto in linea con l'editoriale odierno di Dario Di Vico, giornalista che apprezzo per pacatezza e sensatezza. Doti che non smentisce nemmeno in questa occasione, ma non è che il fatto di esprimere le idee senza punti esclamativi le faccia di per sé diventare condivisibili.
In sostanza Di Vico ammonisce i partiti dalla tentazione di scaricare Monti, in considerazione che non siamo affatto fuori dai guai e un vuoto di potere non ci verrebbe perdonato dai mercati.
A me non sembra che i mercati siano contenti di Monti. Semmai lo sono stati di Draghi, che ha rovesciato un TRILIONE di euro (mille miliardi ) in pochi mesi nelle casse delle banche europee, di cui un quarto in quelle italiane, al costo simbolico dell'1% l'anno. Questi soldi credo avessero due funzioni : essere usati per favorire il sostegno ai titoli di stato e alle imprese. La prima cosa è stata fatta, la seconda no, almeno così lamentano gli imprenditori. E infatti nel Nord ben 17.000 imprese hanno chiuso i battenti. Davide Giacalone, ma non solo lui, scrive da mesi che il problema dei mercati non è tanto costituito dai debiti sovrani (che c'è e va affrontato ma senza pensare che ciò che si è creato in 40 anni si possa guarire in un lustro!) quanto dall'anomalia dell'euro, moneta unica di una Europa che "unica" (nel senso di unita) NON è.
Insomma, nell'uno e nell'altro caso - meriti di Draghi e demeriti della moneta europea - Monti c'entra assai poco.
Certo la Germania e i rigoristi avevano applaudito l'esordio, con l'anticipazione della riforma pensionistica - già varata ma con tempo più dilatati - e con una bella legnata di tasse. Queste ultime viste non solo e non tanto come soluzione per il risanamento - che infatti NON lo sono perché portano recessione, come infatti è avvenuto - ma come LEZIONE alle cicale italiane.
Perché questo piace ai nordici : PUNIRE la leggerezza degli europei meridionali.
Ora, che noi, gli spagnoli, i greci, in modi e misure varie e non sempre uguali, abbiamo accumulato più colpe degli altri (il debito pubblico è un problema universale in occidente, mica solo nostro ) è indubitabile. Ma un conto è costringerci a rimediare, un conto è godere nel punirci. Perché nel secondo caso, il problema, nostro ma anche EUROPEO, NON SI RISOLVE ma anzi si aggrava definitivamente.
Comunque, dopo la mazzata di tasse e la stretta pensionistica, Monti non ha fatto più nulla di buono (per me , e per tanti, nemmeno la scoppola fiscale è stata cosa buona..., però certo apprezzata a Berlino e Bruxelles)..
Le liberalizzazioni, fanno ridere. Le privatizzazioni, scomparse. La semplificazione amministrativa, la razionalizzazione della spesa . la cd. spending review , non dà segni di vita (eppure gli economisti denunciano che il volume degli sprechi amministrativi ammonta al costo di due manovre finanziarie: 60 miliardi ), la lotta all'evasione fiscale, serve per la pubblicità ma aggrava la recessione, tagli alla spesa pubblica, manco a parlarne.
Infine, il pasticcio della riforma del lavoro, dirigista , statalista, con effetti assolutamente contrari a quelli richiesti e auspicati dalle imprese, sia italiane che estere (i famosi investimenti stranieri che si vorrebbe tornassero in Italia): flessibilità in uscita sempre incerta, con l'art. 18 in mano a giudici anti imprenditoria (per lo più è così ) , e in compenso con stretta decisa alla flessibilità in entrata. Ripetiamo, un pasticcio, tanto che economisti progressisti, come Ichino e Alesina, hanno commentato che allora meglio lasciar perdere, e che una cattiva riforma è peggio che nessuna (lapalissiano direi).
Ora, siccome Monti non è stupido, il fatto di non aver fatto le DUE cose fondamentali , e cioè TAGLIARE LA SPESA e DIMINUIRE LE TASSE, in modo da un lato avviare la sistemazione dei conti e dall'altro favorire i consumi e la crescita, deve dipendere da IMPOSSIBILITA'.
Certo, se guido un governo sostenuto da una maggioranza prevalentemente statalista, favorevole al debito pubblico, per la quale l'unica politica economica concepibile è data dalla Patrimoniale e dalla lotta all'evasione fiscale, la vedo ben dura applicare le ricette di cui sopra.
Ed ecco perché caro Di Vico nelle democrazie vengono fatte le elezioni. Perché certe strategie economiche e riformistiche appartengono ad una SCELTA di società.
Il PD ha tutto il diritto di rifiutare una politica di rigore finanziario, fatto di tagli dolorosi al welfare, di rinuncia all'assistenzialismo, all'occupazione e ai salari come variabili indipendenti dalla congiuntura economica e aziendale. In fondo quella è la loro provenienza, il loro credo, la loro ragione sociale ed è giusto che si battano per quel tipo di società.
Chi è liberale, NON ha quel modello in mente, e giustamente si batte per una società diversa.
Allora, come si fa a far convivere queste due opposte nature??
Monti avrebbe dovuto avere il coraggio, magari anche  approfittando del clima da "ultimi giorni di Pompei" , di presentare un programma CHIARO al momento del suo insediamento, chiedendo la fiducia sulla realizzazione di POCHI ma importanti punti programmatici e quindi sfidare i partiti a votarlo o meno.
Invece ha avuto una specie di carta bianca, una sorta di "pensaci tu", che in realtà nasceva dal "ricatto" del momento, e che adesso viene ritrattata.
Magari lo Spread che risale, la speculazione che torna a colpire faranno tornare il clima "giusto" per il "prendere o lasciare".
Ma resta che in questi 150 giorni questo governo ha deluso, noi e i suoi sponsor esteri. E che questi compromessi continui al ribasso sono peggiori di un ricorso alle elezioni che potrebbero portare ad una realtà spagnola, dove un governo VERO, cioè ELETTO, c'è, e dove il premier e i suoi ministri possono affrontare sindacati e piazza, forti di un sostegno popolare che è PIU' grande delle decine o anche centinaia di migliaia di manifestanti.
Monti questa forza non ce l'ha e non l'avrà MAI.
Questo comunque l'articolo non condiviso nella sua prima parte e nella conclusione, mentre ovviamente le critiche al Premier sono condivise, in quanto comuni.


IL GOVERNO TRA MERITI ED ERRORI
Il Paese è solo uno, meglio ricordarlo
In questa fase, complicata quanto drammatica, della vita politica nazionale il governo Monti non ha alternative. Le classi dirigenti di questo Paese farebbero bene a tenere a mente questa piccola grande verità e magari ad appuntarsela a penna. Non ci sono infatti interessi di categoria o presunti vantaggi elettorali che possano bilanciare i rischi che correrebbe il Paese a causa di un vuoto di potere. La presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e gli ex ministri del governo Berlusconi, Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti, che con differenti argomenti ed efficacia hanno messo nei giorni scorsi nel mirino l'operato del presidente del Consiglio, dovrebbero sapere che un salto nel buio non avvantaggerebbe nessuno, tantomeno loro. Un politico responsabile e lungimirante, invece, guarderebbe con interesse al successo della difficile missione affidata a Mario Monti se non altro per poter tornare nel 2013 a una piena dialettica elettorale in un clima meno condizionato dall'emergenza internazionale.
È vero che la riforma del lavoro predisposta da Elsa Fornero era preferibile nella sua prima versione, ma sia dalle organizzazioni di rappresentanza delle imprese sia dai relatori del provvedimento al Senato stanno maturando in queste ore emendamenti sulla flessibilità in entrata, l'apprendistato e la stagionalità, utili a correggere i difetti più evidenti presenti nell'ultimo testo licenziato da Palazzo Chigi. Si tratta di operare con competenza, pragmatismo e senso di responsabilità. Se poi il presidente del Consiglio dovesse constatare che in Parlamento la disponibilità a migliorare il provvedimento venisse scambiata per debolezza, non dovrebbe esitare a ricorrere alla fiducia.
In un contesto internazionale caratterizzato da una nuova turbolenza che sta investendo l'eurozona presentarsi indecisi, divisi o addirittura rissosi non fa altro che peggiorare la considerazione che hanno del nostro Paese i mercati finanziari e gli organi di informazione che se ne fanno megafono. Non può non colpire il repentino mutamento di giudizio che si è potuto registrare nei commenti del Financial Times e del Wall Street Journal . La risposta da dare, necessaria anche se purtroppo insufficiente, è quella di una rafforzata coesione delle forze politiche che, oltre ad accelerare il cammino parlamentare della riforma Fornero, dovrebbero varare una legge sul finanziamento dei partiti coraggiosa e rispettosa degli orientamenti largamente presenti nell'opinione pubblica. Il gioco di smarcamento al quale abbiamo assistito negli ultimi giorni può servire a conquistare qualche porzione aggiuntiva di visibilità, un'intervista in più, ma è assolutamente miope. I narcisi non sopravvivono al declino del Paese che li ospita.
Il governo ha sicuramente commesso degli errori, ma c'è qualcuno che in piena onestà intellettuale possa tentare un confronto con le performance dei precedenti esecutivi? Gli ex ministri che ora distribuiscono pagelle ad ogni ora del giorno hanno già dimenticato le continue risse tra l'allora presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia? E il discredito internazionale che ha avvolto per mesi il nome dell'Italia all'estero è già uscito dal file della loro memoria?
Come Corriere non abbiamo in questi mesi lesinato critiche all'azione dei ministri, lo abbiamo fatto sempre con spirito costruttivo e senza dimenticare come il governo Monti abbia completato una riforma previdenziale di sicuro standard europeo, abbia rafforzato la lotta all'evasione fiscale e cominciato a liberalizzare anche i mercati più chiusi. Il limite è stato però quello di aver adottato un mix di tassazione eccessivamente elevata e tagli di spesa troppo timidi.
Si può obiettare, con qualche ragione, che il governo dei tecnocrati impostando la sua agenda, scegliendo di volta in volta le priorità, implementando i singoli provvedimenti lo abbia fatto guardando più nella direzione dei mercati finanziari che in quella del Paese reale. Urge, dunque, una correzione di rotta di metodo e di merito. Agli italiani va data la sensazione piena che quello che sta chiedendo loro lacrime e sangue è il governo di Roma e non di Bruxelles. Se, come raccontano le ricerche dell'Eurisko, la gente è sopraffatta dalle preoccupazioni e ha come unica strategia di sopravvivenza il taglio dei consumi anche del valore di pochi euro, la prospettiva della ripresa si allontana ulteriormente. Monti deve dunque produrre fiducia, e pur nel rispetto delle compatibilità deve trovare la strada per dare un colpo alle tasse e saltare il previsto nuovo aumento dell'Iva. In questa difficile operazione il presidente del Consiglio deve sentire attorno a sé la piena solidarietà delle forze politiche che lo sostengono in Parlamento perché, dev'esser chiaro a tutti, il suo governo non è «il male minore», ma l'unico traghetto di cui disponiamo per raggiungere l'altra sponda. Se fallisce lui...
 

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