Certo è che può ben figurare tra gli opinionisti italiani cari ai miei amici del Tea Party Italiano, guidati dall'ottimo Giacomo Zucco, che io spero sempre di vedere presto tra i leader della nuova politica italiana che verrà.
Nel commentare il successo di Hollande in Francia, Ostellino manifesta il suo scetticismo per ogni ricetta socialista e comunque statalista. In effetti il comunismo ha fallito, vi sono prove tangibili e indiscutibili, ma in Europa non c'è nessun paese che adotta le ricette liberali pure che il "nostro" auspica.
In Italia, dopo 20 anni di Fascismo e quasi 70 di consociativismo (potremmo forse scontare i tre lustri di ispirazione De Gasperiana, che liberale certo non era, però uomo di stato vero, oltreché onesto e sicuramente rispettoso della libertà individuale, ancorché mai prioritaria), la parola liberale non era nemmeno usata, fino a che non è diventata di moda, ma senza applicazione reale alcuna, dagli anni 90.
Ora si vedono segni evidenti di ritorno al passato.
Gli italiani NON sono, per la maggioranza, portati ad avere fiducia in SE STESSI. Siamo anarcoidi, restii alle regole , e tutto questo si sa. Ma non perché siamo autonomi!!! Perché appena le cose non vanno bene, siamo subito pronti a lamentarci dello Stato che "non fa", che "non risolve".
Il Paese non cresce? Colpa dello Stato che non crea occupazione....che non assume, che non spende in opere pubbliche e infrastrutturali creando lavoro per le imprese...che non combatte gli evasori e non tassa a sufficienza gli odiati "ricchi".
Infatti Hollande ha subito promesso non so quante migliaia di assunzioni nella Pubblica Amministrazione, col debito francese che già sfiora il 90% (nonostante qualche trucco contabile usato anche dai tedeschi e che noi italiani stiamo studiando come imitare tramite la Cassa depositi e prestiti...), e che tasserà i ricchi , fino al 75% quelli oltre il milione di euro. Io non so come si faccia a guadagnare un milione di euro. Ma, secondo il mio criterio, se uno ci riesce dovrebbe voler dire che è bravo e se lo merita. Perché a quel punto deve essere obbligato a lasciare il 75% del frutto del suo lavoro agli altri? Non riesco a comprenderlo, né ad accettarlo.
Tanta gente dirà che ci sono compensi esagerati, parlando per esempio dei grandi "commis di stato". Befera per esempio pare guadagni quasi mezzo milione di euro lordi, al netto la metà. Però Befera è indubitabilmente bravo nel suo lavoro, e allo Stato pare faccia recuperare più di 10 miliardi sottratti al Fisco. Ci sono Direttori e Presidenti che guadagnano quanto e più di lui e le aziende da loro controllate sono in PERDITA.
Non parliamo poi dei parlamentari che NON meritano le loro retribuzioni e i loro privilegi. Questo è assodato. Ma il problema allora semmai è Lì, un sistema che consente che anche senza merito si possa straguadagnare.
Allora si dovrà intervenire in questi settori, non a caso PUBBLICI, ma NON penalizzare in modo disumano chi invece i suoi soldi se li è guadagnati, magari creando imprese che danno anche lavoro a migliaia di persone!
Ma non è un discorso che suona. E Noi liberali veri, che diciamo che il problema è lo Stato padre-padrone che fa TROPPO, oltreché MALE, siamo alla fine POCHI.
Buona Lettura
TROPPE LE ATTESE SU
HOLLANDE
Chi ha memoria storica coglie nel lessico del
neopresidente francese, François Hollande, l'eco della langue de bois («lingua
di legno») del socialismo dirigista e burocratico che, in Urss, chiamava
democrazia il totalitarismo e libertà la tirannia, stravolgendo il senso delle
parole. Il socialismo reale è morto, ucciso da carenze ed errori che la «lingua
di legno» non riusciva più a compensare. I fatti sono cocciuti, aveva detto
Lenin, ma i suoi successori non gli avevano dato retta. Così, i fatti si sono
presi la loro rivincita e hanno smentito la «lingua di legno».
Per la Merkel, rigore vuol dire tenere i conti
dello Stato in ordine e l'economia sociale di mercato è la versione
contemporanea di quella bismarckiana. Una versione, oggi pacifica, del
nazionalismo e delle ambizioni egemoniche europee della Germania che, in
passato, si erano tradotti in militarismo e avevano generato tre guerre (che i
francesi non hanno dimenticato). Nella Germania d'oggi, lo Stato è il direttore
e, al tempo stesso, uno degli attori di una società fondamentalmente
organicista, dove ogni tassello si incastra nell'altro; i sindacati non sono
antagonisti, ma collaborano col mondo della produzione alla stabilità sociale e
allo sviluppo economico, le banche operano in sintonia con i sindacati e il
mondo della produzione, la popolazione tiene disciplinatamente il passo. Un
caso unico.
È il sogno anche del professor Monti, ai cui progetti
di crescita si oppongono, con la sua stangata fiscale, la vecchia cultura
politica collettivistica e corporativa, il carattere antagonistico della
società, i residui passivi del sistema welfarista novecentesco che Mario Draghi
ha efficacemente riassunto nella «fine del modello sociale europeo». Se i
nostri intellettuali non fossero tanto incolti quanto politicamente vecchi
avrebbero avvertito, nel dibattito sulla riforma del mercato del lavoro fra il ministro
Fornero e il segretario della Cgil, Camusso, il riflesso della contraddizione
fra una Costituzione, che definisce (ancora) il lavoro «un diritto», e la
domanda di modernizzazione, che lo assimila a una merce esposta alla domanda e
all'offerta e all'esigenza di produttività; contraddizione che è anche
l'ostacolo che incontrerà il governo tecnico sulla strada della crescita.
Per Hollande, «basta col rigore» vuol dire
rilancio dello statalismo e del dirigismo. Come possa, poi, parlare di
crescita, annunciando contemporaneamente di voler tassare oltre misura la
ricchezza, invece di combattere l'indigenza, e non nascondendo la propria
ostilità per il mercato, è un mistero spiegabile solo o con la «lingua di
legno» o con l'illusione di stimolare la domanda con una dose massiccia di
keynesismo (spesa pubblica e tasse elevate), mentre il problema è ridurre la
spesa e le tasse per stimolare l'offerta. Ha vinto perché ha incarnato, col suo
«nazionalsocialismo», la diffidenza dei francesi per la Germania e la loro
ostilità per la «dipendenza» di Sarkozy dalla Merkel, oltre che per una certa
vocazione étatiste - che viene non solo dall'assolutismo dell'Antico regime, ma
dalla stessa Rivoluzione del 1789, dopo la sua degenerazione giacobina - alla
quale non è mai stata estranea neppure la destra.
Spero di sbagliarmi, ma la Francia - se Hollande
non imita Mitterrand, che era partito con un programma quasi comunista e aveva
virato verso una soluzione moderata - è condannata alla recessione.Ventuno
economisti di area liberale, e non appartenenti ad alcun partito, avevano
indirizzato ai francesi un appello. Vale la pena, anche per noi, citarne alcuni
passi. «Il socialismo non ha mai funzionato nella sua forma estrema, il
comunismo. Come dimostrano molti anni di storia europea, non funziona nemmeno
nella sua forma più moderata di socialdemocrazia. Se la storia europea ci può
insegnare qualcosa, è che la prosperità è intrinsecamente correlata alla
libertà economica. Come possiamo allora, nel XXI secolo, dopo decenni e secoli
di riflessioni e di esperienze, credere ancora a ricette economiche emerse più
da magie incantatorie che dalla scienza? (...) Non abbiamo più alcuna scusa per
lasciarci affascinare dall'idea che uno Stato produrrà crescita semplicemente
spendendo di più, quando tutte le risorse per questa dispendiosa compiacenza
provengono da maggiori tasse su di noi e da maggiori prestiti fatti in nostro
nome. La crescita non può essere decretata; è il risultato di decisioni non
prevedibili e di azioni di un numero imprecisato di individui tutti capaci di
sforzi e di immaginazione. La crescita può esserci soltanto se gli impulsi di
un numero imprecisato di individui non sono paralizzati da regolamenti, tasse o
dalla dipendenza dallo Stato (...).
È tragico che qualcuno possa ancora pensare
che una vita umana possa migliorare saccheggiando quella di un altro».
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