Interessante l'intervista rilasciata da Joschka Fischer, ex leader dei liberali tedeschi ed ex ministro degli esteri di una Germania assai più europeista di quella di oggi.
Il testo integrale lo trovate più sotto, personalmente propongo la sintesi che ho ricavato .
In primo luogo Fischer, con grande e ammirevole autocritica, ricorda come il suo paese sia stato il responsabile di due gravissime ( e sanguinose) crisi dell'Europa del 20 secolo.
Proprio perché i massacri di quel tempo non si ripetessero più, è stato concepito il disegno di una unione europea, che grazie anche all'alleanza con gli USA ha garantito un periodo di pace e di prosperità unici al mondo.
Ora però, osserva Fischer, la Germania, per egoismo e miopia, sta favorendo una terza crisi che rischia di destabilizzare l'ordine del continente e il suo assetto diffusamente democratico.
E' quindi un tedesco, e nemmeno socialista, che sposa la tesi di una parte sempre più vasta dell'opinione pubblica non solo europea ma mondiale : la Germania si illude che la campana suoni solo per gli altri. Se farà prevalere i suoi egoismi di corto metraggio, il tracollo europeo travolgerà anche lei.
Soluzioni ? Quelle che si leggono da un po' : l'Europa deve sterzare drasticamente verso un'unione politica e fiscale, verso forme veramente federali. Solo in questo modo si potrà consentire una garanzia europea (rectius, tedesca) del debito, battere la speculazione, ridare fiducia ai mercati e riprendere a crescere.
Bene. Perché non lo si fa ?
Immaginatevi la Camusso a Berlino....che difende l'art. 18...che esiste SOLO da noi....
Immaginatevi i parlamentari italiani che NON si possono votare diarie e privilegi.
Immaginatevi un sistema fiscale severo sì, ma anche razionale, sburocratizzato e non votato al solo far CASSA.
Immaginatevi le imprese pagate per tempo ma private degli aiuti di stato. I comuni ( e le regioni ) privati della gestione delle aziende municipalizzate . Perché questo potrebbe - dovrebbe voler dire una Unione Politica Europea : la fine dei clientelismi, favoritismi, consociativismi nazionali. Già oggi , col ricatto finanziario, è in corso la desovranizzazione nazionale. Domani sarà un fatto legittimo, avallato dal voto e dalla costituzione di un governo Federale centrale.
A me non sembra che gli europei siano pronti a questo. Temo sia più vera l'analisi di quell'imprenditore cinese che, nello sconsigliare il proprio paese a investire nel Sud Europa, spiegava come gli europei, se potessero, imporrebbero per legge a tutto il mondo il loro credo : massimizzazione del tempo libero e riduzione di quello di lavoro. In fondo, la Francia di Hollande non sta già ripristinando l'eta pensionabile a 60 anni ? Riforma di "austerità" e di razionalizzazione del welfare per la quale Sarkozy dovette affrontare tre mesi di scioperi ininterrotti ?
Francamente, le politiche di rigore imposte di recente hanno mostrato i loro limiti, gli stessi di una banca che dall'oggi al domani richieda il rientro dai fidi : per molte imprese significa di solito il fallimento !
Ma allo stesso tempo non è nemmeno concepibile pensare di continuare nel modo conosciuto, che per esempio, in Italia, ha portato a tre lustri di crescita zero, e ad un indebitamento sempre più grande.
Quindi bene allentare la pressione, senza però toglierla del tutto, e soprattutto bene con i tagli della spesa, con recupero di risorse volte ad allentare la pressione fiscale sul Lavoro.
Forse, e dico FORSE, in questo modo la retta via sarebbe percorribile , evitando il melodramma del famoso adagio "l'operazione p riuscita, il paziente è morto", e gradualmente si potrebbe attuare un disegno europeo e nazionale meno gaudente ma sostenibile e saldo.
Comunque, ecco il pensiero di Fischer
L'INTERVISTA
«La Germania non affondi l'Europa Sarebbe la terza volta in cent'anni»
Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco: «La
cancelliera miope. Se l'euro cade, noi saremo i grandi perdenti»
BERLINO - «Per due volte, nel XX secolo, la Germania con
mezzi militari ha distrutto se stessa e l'ordine europeo. Poi ha convinto
l'Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente
l'integrazione d'Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra
riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi
pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell'ordine europeo
una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Joschka Fischer sceglie parole
pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione, cuore
e testa d'europeo. L'ex ministro degli Esteri tedesco è «preoccupato» da una
situazione che definisce «seria, molto seria» per l'Europa. Ed è anche
scettico, perché non vede in giro «forze e leader, disposti a fare i passi
necessari», senza i quali «rischia di essere spazzato via il miracolo di due
generazioni di europei: l'investimento massiccio in una costruzione
istituzionale, che ha garantito il più lungo periodo di pace e prosperità nella
storia del Continente». Lo incontro nella sede della «Joschka Fischer and
Company», la società di consulenza strategica che ha fondato da pochi anni. Le
finestre del suo ufficio danno sulla Gendarmenmarkt, la piazza dove i re
prussiani facevano sfilare i loro reggimenti e il regime comunista della Ddr
organizzava i suoi raduni. Ora è il cuore pulsante della nuova Berlino,
magnifica capitale di una Germania cui l'Europa in crisi torna a guardare con
diffidenza e malumore.
«Mi preoccupa - spiega Fischer - che l'attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l'austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l'economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando».
L'ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l'Europa è oggi sull'orlo di un abisso. «O l'euro cade, torna la re-nazionalizzazione e l'Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l'Unione fiscale e l'Unione politica nell'Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell'austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
«Mi preoccupa - spiega Fischer - che l'attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l'austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l'economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando».
L'ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l'Europa è oggi sull'orlo di un abisso. «O l'euro cade, torna la re-nazionalizzazione e l'Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l'Unione fiscale e l'Unione politica nell'Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell'austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
Ma perché non sarebbe possibile limitare le conseguenze
di un'uscita controllata della Grecia dall'Eurozona?
«L'Euro è un progetto politico. Non è che avessimo bisogno della moneta unica agli inizi degli Anni Novanta. Doveva essere il vettore dell'integrazione politica: questa era l'idea di fondo. Nessuno oggi può garantire che se la Grecia abbandona l'euro, non si verifichino un crollo della fiducia, una corsa alle banche in Spagna, in Italia, probabilmente anche in Francia, cioè una valanga finanziaria che seppellirebbe l'Europa. Secondo, cosa pensa che farebbero i greci una volta fuori? Cercherebbero altri partner, come la Russia per esempio, che è già pronta e nessuno ne parla. Diremmo addio all'ampliamento verso Sud-Est, l'integrazione europea dei Balcani sarebbe finita. È una follia: si possono avere opinioni diverse sulla vocazione europea della Turchia, ma non c'è dubbio che i Balcani, regione intrinsecamente instabile, siano parte dell'Europa. Senza contare che la Grecia fuori dall'euro precipiterebbe nel caos».
«L'Euro è un progetto politico. Non è che avessimo bisogno della moneta unica agli inizi degli Anni Novanta. Doveva essere il vettore dell'integrazione politica: questa era l'idea di fondo. Nessuno oggi può garantire che se la Grecia abbandona l'euro, non si verifichino un crollo della fiducia, una corsa alle banche in Spagna, in Italia, probabilmente anche in Francia, cioè una valanga finanziaria che seppellirebbe l'Europa. Secondo, cosa pensa che farebbero i greci una volta fuori? Cercherebbero altri partner, come la Russia per esempio, che è già pronta e nessuno ne parla. Diremmo addio all'ampliamento verso Sud-Est, l'integrazione europea dei Balcani sarebbe finita. È una follia: si possono avere opinioni diverse sulla vocazione europea della Turchia, ma non c'è dubbio che i Balcani, regione intrinsecamente instabile, siano parte dell'Europa. Senza contare che la Grecia fuori dall'euro precipiterebbe nel caos».
La discussione attuale si concentra sugli eurobond. Ma
per concretizzarli occorrerebbero mesi, se non anni. Non è un falso dibattito,
rispetto ai tempi brevi di cui lei parla?
«No, è un dibattito importante. In fondo dietro gli eurobond c'è uno dei prossimi passi da compiere. Gli elementi della soluzione sono quattro: Unione politica e Unione fiscale dell'Eurogruppo, crescita e riforme strutturali. Sono per esempio ammirato dal fatto che in questa fase, l'Italia abbia mobilitato i suoi istinti di sopravvivenza dando vita al governo Monti, che sta lavorando bene. Ma rimango perplesso che Hollande, il nuovo presidente francese del quale apprezzo l'impegno per la crescita, voglia riportare a 60 anni l'età pensionabile. Nessuno di questi elementi va trascurato o annacquato, devono viaggiare insieme se l'Europa vuole davvero superare la sua crisi esistenziale».
«No, è un dibattito importante. In fondo dietro gli eurobond c'è uno dei prossimi passi da compiere. Gli elementi della soluzione sono quattro: Unione politica e Unione fiscale dell'Eurogruppo, crescita e riforme strutturali. Sono per esempio ammirato dal fatto che in questa fase, l'Italia abbia mobilitato i suoi istinti di sopravvivenza dando vita al governo Monti, che sta lavorando bene. Ma rimango perplesso che Hollande, il nuovo presidente francese del quale apprezzo l'impegno per la crescita, voglia riportare a 60 anni l'età pensionabile. Nessuno di questi elementi va trascurato o annacquato, devono viaggiare insieme se l'Europa vuole davvero superare la sua crisi esistenziale».
Perché la cancelliera Merkel non si muove dalla linea
dell'austerità?
«Angela Merkel pensa solo alla sua rielezione. Ma è un calcolo miope e fa un grosso errore. Perché sul piano interno è già molto indebolita. Merkel è forte finché l'economia tedesca è forte. In Germania non c'è crisi economica, ma stiamo attenti perché ci coglierà in modo brutale. Se non ci assumiamo la responsabilità di guidare l'Europa insieme fuori dalla crisi, saranno guai grossi, perché noi saremmo i grandi perdenti, sia sul piano economico che su quello politico».
«Angela Merkel pensa solo alla sua rielezione. Ma è un calcolo miope e fa un grosso errore. Perché sul piano interno è già molto indebolita. Merkel è forte finché l'economia tedesca è forte. In Germania non c'è crisi economica, ma stiamo attenti perché ci coglierà in modo brutale. Se non ci assumiamo la responsabilità di guidare l'Europa insieme fuori dalla crisi, saranno guai grossi, perché noi saremmo i grandi perdenti, sia sul piano economico che su quello politico».
Quale governo tedesco può fare ciò che lei propone?
«Solo un governo di grande coalizione. Altrimenti, ogni partito all'opposizione sarebbe tentato di sfruttare questa situazione. Ma un governo di unità nazionale ce la farebbe. Non è un passo semplice. "Perché dovremmo farlo?", è la domanda prevalente in Germania"».
«Solo un governo di grande coalizione. Altrimenti, ogni partito all'opposizione sarebbe tentato di sfruttare questa situazione. Ma un governo di unità nazionale ce la farebbe. Non è un passo semplice. "Perché dovremmo farlo?", è la domanda prevalente in Germania"».
Già, perché dovreste farlo?
«Semplice, perché altrimenti vanno a rotoli sessant'anni di unità europea. Fine. Rien ne va plus . Purtroppo non abbiamo più un Helmut Kohl a dircelo».
«Semplice, perché altrimenti vanno a rotoli sessant'anni di unità europea. Fine. Rien ne va plus . Purtroppo non abbiamo più un Helmut Kohl a dircelo».
E come dovrebbero svolgersi gli avvenimenti, qual è il
primo passo immediato?
«L'europeizzazione del debito. Il problema, qui la Germania ha ragione, è di evitare che poi le riforme strutturali per migliorare la competitività si fermino o vengano ammorbidite. Non si tratta di europeizzare l'intero debito, ci sono proposte interessanti sul tavolo. Ma il punto di fondo è che la Germania deve garantire con il suo potere economico e le sue risorse la sopravvivenza dell'Eurozona. Bisognerà dire: siamo un'Unione fiscale, restiamo insieme. Sarà difficile, i mercati diranno la loro, le agenzie di rating toglieranno probabilmente la tripla A alla Germania, ma bisognerà resistere e per farlo abbiamo bisogno dell'Unione politica. E qui è la Francia che deve dire sì a un governo comune, con controllo parlamentare comune della zona euro. In gioco è il ruolo globale dell'Europa nel XXI secolo. Vogliamo averne uno? Solo insieme potremo dire qualcosa sul nostro futuro ed essere ascoltati».
«L'europeizzazione del debito. Il problema, qui la Germania ha ragione, è di evitare che poi le riforme strutturali per migliorare la competitività si fermino o vengano ammorbidite. Non si tratta di europeizzare l'intero debito, ci sono proposte interessanti sul tavolo. Ma il punto di fondo è che la Germania deve garantire con il suo potere economico e le sue risorse la sopravvivenza dell'Eurozona. Bisognerà dire: siamo un'Unione fiscale, restiamo insieme. Sarà difficile, i mercati diranno la loro, le agenzie di rating toglieranno probabilmente la tripla A alla Germania, ma bisognerà resistere e per farlo abbiamo bisogno dell'Unione politica. E qui è la Francia che deve dire sì a un governo comune, con controllo parlamentare comune della zona euro. In gioco è il ruolo globale dell'Europa nel XXI secolo. Vogliamo averne uno? Solo insieme potremo dire qualcosa sul nostro futuro ed essere ascoltati».
Non è troppo tardi per tutto questo?
«No, abbiamo una chance, che probabilmente si aprirà concretamente poco prima del crollo. Bisogna avere nervi saldi, il lusso delle illusioni non ci è concesso. Finora abbiamo solo reagito. Le decisioni dell'Ue hanno sempre inseguito gli avvenimenti. Non abbiamo mai agito in modo strategico. Non basta più».
«No, abbiamo una chance, che probabilmente si aprirà concretamente poco prima del crollo. Bisogna avere nervi saldi, il lusso delle illusioni non ci è concesso. Finora abbiamo solo reagito. Le decisioni dell'Ue hanno sempre inseguito gli avvenimenti. Non abbiamo mai agito in modo strategico. Non basta più».
Cosa vuol dire governo e controllo parlamentare comuni?
«Dimentichiamo per un attimo i 27. Al momento decisivi sono i Paesi dell'Eurozona. I capi di governo agiscono già di fatto da esecutivo europeo, i Parlamenti nazionali hanno la sovranità sul bilancio. Dobbiamo fare passi concreti verso una federazione: nel 1781 c'era una situazione simile in America. Cosa fece Alexander Hamilton? Federalizzò il debito degli Stati, in bancarotta per le spese della Rivoluzione contro gli inglesi. Se non lo avesse fatto, la giovane Confederazione non sarebbe sopravvissuta. Ecco cosa dobbiamo fare anche noi, qui e subito. Purtroppo non siamo governati da leader politici, ma da contabili».
«Dimentichiamo per un attimo i 27. Al momento decisivi sono i Paesi dell'Eurozona. I capi di governo agiscono già di fatto da esecutivo europeo, i Parlamenti nazionali hanno la sovranità sul bilancio. Dobbiamo fare passi concreti verso una federazione: nel 1781 c'era una situazione simile in America. Cosa fece Alexander Hamilton? Federalizzò il debito degli Stati, in bancarotta per le spese della Rivoluzione contro gli inglesi. Se non lo avesse fatto, la giovane Confederazione non sarebbe sopravvissuta. Ecco cosa dobbiamo fare anche noi, qui e subito. Purtroppo non siamo governati da leader politici, ma da contabili».
E d'accordo a eleggere un presidente dell'Ue a suffragio
universale, come suggerisce Wolfgang Schäuble?
«Non porterebbe nulla. Avrebbe molto più senso se le maggioranze e le opposizioni parlamentari di ogni Stato dell'Eurozona fossero rappresentate in una Eurocamera, dove discutere direttamente, con tutta la legittimità necessaria, l'attenzione mediatica e il coinvolgimento delle popolazioni. Non sarebbe più una creazione esterna come l'Europarlamento, che potrebbe diventare Camera bassa. Mentre i leader sarebbero membri del governo europeo».
L'intervista è finita. Ma Fischer, sempre affascinato dalla Storia, vuole ancora raccontare un aneddoto: «Sono stato spesso a Venezia, ma solo alcuni mesi fa, per la prima volta ho dormito in laguna. Un'esperienza indimenticabile: alle 7 della sera, la città era vuota, nulla sembrava vivo. E allora ho pensato alla Serenissima, alla grande potenza che ha dominato il Mediterraneo e parte del Medio Oriente, esercitando per secoli una forte egemonia economica, politica e culturale, ridotta a un bellissimo museo deserto. Vogliamo che anche l'Europa diventi questo? Non credo, ma potremmo esservi molto vicini».
«Non porterebbe nulla. Avrebbe molto più senso se le maggioranze e le opposizioni parlamentari di ogni Stato dell'Eurozona fossero rappresentate in una Eurocamera, dove discutere direttamente, con tutta la legittimità necessaria, l'attenzione mediatica e il coinvolgimento delle popolazioni. Non sarebbe più una creazione esterna come l'Europarlamento, che potrebbe diventare Camera bassa. Mentre i leader sarebbero membri del governo europeo».
L'intervista è finita. Ma Fischer, sempre affascinato dalla Storia, vuole ancora raccontare un aneddoto: «Sono stato spesso a Venezia, ma solo alcuni mesi fa, per la prima volta ho dormito in laguna. Un'esperienza indimenticabile: alle 7 della sera, la città era vuota, nulla sembrava vivo. E allora ho pensato alla Serenissima, alla grande potenza che ha dominato il Mediterraneo e parte del Medio Oriente, esercitando per secoli una forte egemonia economica, politica e culturale, ridotta a un bellissimo museo deserto. Vogliamo che anche l'Europa diventi questo? Non credo, ma potremmo esservi molto vicini».
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