L'intervista di Grillo ad un quotidiano israeliano dimostra quello che in molti sappiamo: il comico è bravo, fa ridere, e magari qualche denuncia di carattere generale, per quanto sempre con toni demagogici e populisti, poteva anche avere una funzione di stimolo. Ma il partito politico.....o movimento che sia, che dovrebbe GOVERNARE, bé francamente è troppo. Poi, in questo disastro, qualcuno ha pensato di prenderlo sul serio. Io non credo agli attuali sondaggi, non che non siano veri, ma perché penso che alla fine Grillo si sgonfierà. Già Parma, dove tra l'altro ha vinto solo per il soccorso "anti sinistra" dei voti di destra, non sta dando grandi prove. La stampa, i media, si occuperanno sempre più di lui, raccontando le sue contraddizioni e peggio, e alla fine rimarranno i fedelissimi, che non saranno molti.
L'ignoranza e la superficialità del nostro, sono confermate, come accennavamo, all'intervista rilasciata ad un giornale di Israele e riportata dal Corriere della Sera.
Il panegirico dell'Iran, che lui conosce perché sua moglie è iraniana e il suocero lo informa.....
Vabbé, di cosa parliamo?
Però qualcuno gli ha voluto rispondere con garbo e puntualità: Marco Curatolo, Presidente della Iran Human Rights Italia Onlus.
E' lunga, ma voi sarete pazienti. così magari vi vaccinate da qualche possibilità di contagio "grillesco"...
Gentilissimo Beppe Grillo,
abbiamo letto sul Corriere della Sera di oggi (articolo di
Francesco Battistini a pag.11) alcuni stralci di una sua intervista al
quotidiano israeliano Yedioth Ahronot. Nell’impossibilità di leggere tutta
l’intervista, ci limitiamo ad alcune precisazioni relative alla parte riportata
nell’articolo in questione, partendo dal presupposto che lei ama l’Iran, a cui
è legato per ragioni personali e affettive che comprendiamo perfettamente, ma
noi di Iran Human Rights Italia Onlus non l’amiamo meno di lei. E proprio per
questo ci adoperiamo, nel nostro piccolo, per difendere i diritti umani dei
cittadini iraniani e per informare l’opinione pubblica italiana sulle violazioni
a quei diritti commesse dalle autorità della Repubblica Islamica. Abbiamo
recentemente lanciato il nostro sito, www.iranhr.it, proprio con questo
obiettivo.
Per quanto riguarda il suo paragone tra l’applicazione della
pena di morte in Iran e negli USA, noi naturalmente non facciamo classifiche.
Ogni persona messa a morte per decisione di un tribunale di stato, a qualsiasi
latitudine, e per qualsiasi reato, è per noi una ferita profonda. Al tempo
stesso, i numeri sono un dato oggettivo ai quali è utile fare riferimento. Nel
2011 negli USA 43 persone sono state messe a morte (dato in diminuzione
rispetto alle 46 del 2010, frutto, questo, anche di una coscienza abolizionista
che faticosamente, ma progressivamente sta prendendo piede in molti stati
americani). In Iran il dato fornito dal rapporto annuale di Iran Human Rights è
di 676 esecuzioni nel 2011 (in aumento rispetto al dato del 2010, 646). Ma,
soprattutto, è diverso il contesto in cui la pena capitale viene comminata e
applicata. Il 38% delle esecuzioni o non sono state rese note dalle autorità o
sono avvenute in segreto, cioè senza darne comunicazione ad avvocati difensori
e parenti degli imputati se non a sentenza eseguita. Una mancanza di
trasparenza che non depone a favore dell’equità dei processi. Ma c’è di più.
In Iran l’81% delle persone messe a morte nel 2011 era stata
condannata per traffico di droga. I processi si sono svolti nei tribunali
rivoluzionari a porte chiuse e non è dato sapere se gli imputati abbiano avuto
accesso ad avvocati e se i diritti della difesa siano stati garantiti. L’80%
dei condannati per traffico di droga – quindi la grande maggioranza di coloro
che sono stati messi a morte in Iran nel 2011 – non sono stati nemmeno
identificati con nome e cognome, e perciò è impossibile trovare conferma delle
accuse e certezza che il giudizio si sia svolto in modo equo. In almeno un
caso, ma presumibilmente molti analoghi potrebbero essercene, sappiamo che una
donna, Zahra Bahrami, che era stata arrestata durante le proteste seguite alle
contestate elezioni presidenziali del 2009 e inizialmente condannata a morte
per ragioni “politiche”, è stata poi invece impiccata con l’accusa di
narcotraffico.
Al tempo stesso l’Iran mette a morte rei minorenni (gli USA
no), cioè giovani che all’epoca in cui avevano commesso il reato non avevano
ancora raggiunto la maggiore età: 4 nel 2011, due dei quali erano minorenni
anche al momento dell’esecuzione.
Ricordiamo anche che in Iran è punibile con la pena di morte
il reato di apostasia, cioè il passaggio dalla fede islamica a un altro credo
religioso, e la sodomia, secondo quanto recita l’articolo 233 del nuovo codice
penale islamico: “L’individuo che ha un ruolo attivo (nell’atto di sodomia)
sarà punito con 100 frustate se l’atto sessuale è consensuale e se non è
sposato; colui che invece ha un ruolo passivo sarà condannato a morte
indipendentemente dal fatto che sia sposato o meno. Se la parte attiva non è un
individuo di religione islamica mentre quella passiva lo è, entrambi saranno
condannati a morte.”
Lei ricorda di avere assistito a un’impiccagione in piazza,
a Isfahan. Il ricorso alle esecuzioni in pubblico è in preoccupante aumento, in
Iran: 65 solo nel 2011 (un dato di tre volte superiore alla media degli anni
precedenti), spesso con ricorso a forme di spettacolarizzazione che dimostrano
come sempre più le autorità iraniane usino la pena di morte come strumento per
diffondere il terrore tra la gente e aumentare così il “controllo sociale” del regime.
I dati di questa prima metà del 2012 non incoraggiano
all’ottimismo. Nel solo mese di maggio in Iran abbiamo avuto notizia di 78
esecuzioni.
Quanto ai diritti delle donne, lei afferma: “Ho scoperto che
la donna, in Iran, è al centro della famiglia. Le nostre paure nascono da cose
che non conosciamo.” È assolutamente vero che le donne iraniane, spesso colte,
intelligentissime, forti e coraggiose sono il “centro della famiglia”. Ma a
quale prezzo pagano questa “centralità”? Riteniamo che proprio la “conoscenza”
della realtà passi da una corretta informazione sui diritti che la legge
iraniana riconosce (o non riconosce) alle donne.
Secondo l’articolo 1041 del codice civile, l’età minima per
il matrimonio di una donna è 13 anni. Il padre o anche il nonno della ragazza
possono darla in moglie a un uomo di loro scelta, e di qualsiasi età. Quindi
possono decidere, per assurdo, che una bambina di 13 anni sposi un vecchio
settantenne. L’articolo 1060 del codice civile prevede invece che, se una donna
iraniana intende sposare un uomo straniero, per farlo deve avere
l’autorizzazione del governo. Mettendo insieme queste due leggi, se ne ricava
che il diritto della donna iraniana a sposarsi con chi vuole è rimesso nelle mani
dei maschi della sua famiglia o dello stato.
L’articolo 1108 del codice civile stabilisce che il marito è
il capofamiglia e che la moglie gli deve obbedienza. Nel caso in cui la donna
rifiuti di obbedire senza ragioni concrete, non avrà diritto agli alimenti.
Pensiamo alle numerose conseguenze implicite in una norma di questo tipo. La
donna è costretta ad avere rapporti sessuali con il marito anche contro la
propria volontà; non può uscire di casa, non può viaggiare, non può lavorare
senza il permesso del marito. L’obbligo ad avere il permesso del marito per
lavorare fuori di casa è peraltro ribadito dall’articolo 1117 del codice
civile, mentre gli articoli 11 e 18, riguardanti la normativa sul rilascio del
passaporto, stabiliscono che la donna, sia per ottenere un passaporto che per
viaggiare fuori del paese, ha bisogno del permesso scritto del marito, salvo
casi di emergenza in cui sarà il procuratore generale a rilasciare il permesso:
ancora una volta o è l’uomo di casa o è il funzionario dello stato a decidere
della vita della donna.
La società iraniana non approva la poligamia, e perciò la
legge non fa esplicito riferimento ad essa. Tuttavia in varie parti del codice
civile la poligamia compare in modo indiretto, in articoli in cui a più riprese
si parla della possibilità che un uomo abbia “delle mogli”. Il codice prevede
anche, con l’articolo 1075, la possibilità del matrimonio a termine. Questo
tipo di matrimonio è un vero e proprio contratto che un uomo può stipulare con
un numero indefinito di donne oltre alla moglie “stabile”, con un termine che
può essere compreso tra un’ora e 99 anni. Una specie di forma legalizzata di
prostituzione.
Veniamo alla legge su divorzio. L’articolo 1133 del codice
civile stabilisce che l’uomo può chiederlo e ottenerlo in qualsiasi momento e
senza motivo. Altri articoli stabiliscono invece che la donna può chiederlo
solo per gravi e comprovate ragioni che il giudice dovrà valutare e
risconoscere: l’impossibilità del marito di mantenerla, l’assenza prolungata e
continuata dal tetto coniugale, condanne penali superiori ai 5 anni, alcolismo
o dipendenza da droghe, violenza entro le mura domestiche. Naturalmente che una
donna possa semplicemente dire al marito: “Voglio il divorzio perché non ti amo
più” è fuori discussione.
Una serie di articoli del codice civile, dal 1170 al 1180 e
oltre, stabiliscono inoltre che la donna non ha diritto alla patria potestà sui
figli. Questa spetta infatti al marito e al nonno paterno. Essi non possono
cederla alla donna neppure volendolo. Se il marito muore, la patria potestà dei
figli rimane solo al nonno paterno. La madre ha solo il diritto alla custodia
dei figli fino ai 7 anni di età, quando sono più grandi nemmeno a quello. Ma
anche quando ha diritto alla custodia, senza il permesso del marito e del nonno
paterno non ha diritto a iscrivere il bambino o la bambina a scuola, non può
ricoverare il figlio o la figlia in ospedale, non può aprire un conto in banca
intestato al figlio o alla figlia. E qualora si risposi, perde anche il diritto
alla custodia dei figli minori di 7 anni.
Per quanto riguarda il diritto all’eredità, la donna
iraniana è molto semplicemente considerata dalla legge la metà dell’uomo.
L’articolo 906 del codice civile prevede che se il defunto ha i genitori, il
padre eredita i due terzi, la madre un terzo. Se non ha genitori – dicono
l’articolo 907 e il 908 – i figli maschi devono ereditare il doppio delle figlie
femmine. Se ci sono fratelli e sorelle, di nuovo, ai maschi spetta il doppio
delle femmine. L’articolo 949 afferma che, in assenza di altri parenti, in caso
di morte della moglie, il marito eredita l’intero patrimonio di lei; se invece
a morire è il marito, la moglie eredita un quarto dei beni e il resto va allo
stato.
Le cose non migliorano per quanto riguarda la cittadinanza.
Secondo gli articoli 976 e 986 del codice civile, il figlio di padre iraniano è
cittadino iraniano anche se la madre è straniera, mentre il figlio di madre
iraniana e padre straniero non ha diritto alla cittadinanza, a meno che non sia
nato in Iran e non viva per almeno un anno in Iran dopo aver compiuto i 18
anni. Questa impossibilità di trasferire la cittadinanza iraniana dalla madre
ai figli di padre straniero ha delle precise ricadute sociali: basti pensare
alle decine di migliaia di bambini figli di padre afgano o iracheno che non
hanno diritto ad accedere all’educazione, alle cure mediche e a tutti quei
diritti che spettano a un cittadino iraniano.
C’è poi la parte che riguarda il codice penale. L’età mimima
per l’incriminazione è di 15 anni per i ragazzi e di appena 9 per le bambine.
Il “Diye” e cioè la sanzione da pagare a una persona che subisce un danno
fisico, per le donne soggette al danno è la metà di quella per gli uomini per
lo stesso danno della stessa entità. Questo vale anche per il caso del prezzo
da pagare come retribuzione in caso di omicidio; il prezzo per un uomo
musulmano è il doppio di quello per una donna musulmana.
L’articolo 630 codifica il delitto d’onore. Il marito che
scopra la moglie adultera nell’atto consumare con un altro uomo può uccidere
entrambi. Solo nel caso in cui la donna non fosse consenziente può essere
risparmiata.
Ricordiamo infine che in tribunale la testimonianza di un
uomo vale quanto quella di due donne e che la donna che compare in pubblico
senza hijab, cioè senza velo, può essere punita con una pena che va dai 2 ai 10
mesi di prigione.
Nel 2006 un gruppo di attiviste iraniane ha fondato la
campagna Un milione di firme, che aveva lo scopo di raccogliere un milione di
firme per una petizione indirizzata al parlamento iraniano per l’abolizione
delle leggi discriminatorie. Il gruppo è stato decimato dagli arresti e dalle
persecuzioni.
Tralasciamo le sue osservazioni sulla situazione economica
del paese, perché richiederebbero valutazioni politiche che non competono a
un’associazione per i diritti umani come la nostra, ma un’ultima considerazione
ci sia permessa a proposito della sua frase: “Quelli che scappano sono
oppositori.”
Comprenderà bene lei, come chiunque, che non si tratta di
una situazione né normale né incoraggiante. Laddove un oppositore o un
dissidente è costretto a lasciare il proprio paese perché la sua attività
politica e la manifestazione del suo pensiero ne mettono a rischio la libertà o
l’incolumità, siamo di fronte a una chiara violazione dei diritti elementari
dell’uomo. Ed è esattamente ciò che accade nella Repubblica Islamica dell’Iran,
dove dopo le contestate elezioni presidenziali del 2009, migliaia di
dissidenti, studenti, giornalisti, intellettuali, artisti, difensori dei
diritti umani, attivisti per la parità di genere, esponenti di minoranze
etniche, politiche e religiose sono stati arrestati, spesso posti in isolamento
e torturati, sottoposti a processi iniqui (alcuni dei quali di massa e
teletrasmessi dalla televisione di stato) in cui è stato loro negato l’accesso
agli avvocati e che si sono conclusi con condanne a pene detentive molto
severe, e talvolta alla pena capitale.
Molti altri sono stati costretti a lasciare il paese per sfuggire a tutto
questo, e certo non solo perché il quadro politico del paese non era di loro
gradimento.
Questo le dovevamo, proprio perché è vero, come lei afferma,
che “le nostre paure nascono da cose che non conosciamo” e in questo caso non è
la paura il sentimento che vorremmo evocare, ma – proprio attraverso la
conoscenza dei fatti – un sincero moto di adesione alla causa dei diritti umani
in Iran, per la quale continueremo a batterci.
Ecco, io con stima lo avrei evitato.
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