lunedì 9 luglio 2012

QUALCUNO HA CAPITO COSA VUOLE CONFINDUSTRIA?

Io sono stato (e sono) un grande fan dell'Avvocato Gianni Agnelli. Non era tanto per il suo tifare e sostenere economicamente la Juventus, ma per la sua cultura, intelligenza, quell'aplomb ironico aristocratico così poco italiano. Un principe rinascimentale lo hanno definito in molti, e nonostante la sua ricchezza, anche poco sudata diciamolo, è stato un uomo che ha suscitato molta più ammirazione e consenso che non critiche e invidia.
Bene, Gianni Agnelli fu lo sciagurato coautore, con Luciano Lama, della famigerata scala mobile. Un meccanismo , ideato nel 1975, quando il primo era presidente di confindustria e il secondo della CGIL, per la quale i salari dei lavoratori dovevano rivalutarsi in ragione dell'inflazione, a prescindere dal contratto e dall'andamento aziendale. Nasceva la retribuzione svincolata dalla produzione. 
Ci volle un socialista, Craxi, per abbattere questo mostro, e gli italiani stupirono positivamente quando bocciarono il referendum abrogativo della legge che aveva eliminato l' "Indennità di contingenza", promosso dal buon Berlinguer ( a volte, nel beatificare l'ultimo grande segretario del pci, si è un po' fuorviati dalla indubbia onestà, quasi ascetica, del personaggio, e la sua dedizione assoluta al proprio ideale. COse verissime, e nobili. Però Berlinguer era un comunista vero, con tutte le controindicazioni del caso, in campo economico e sociale). 
Questo per dire che Confindustria non infrequentemente si muove male, fino a concludere patti assolutamente rovinosi, quale fu appunto la Scala Mobile (che l'estrema sinistra vorrebbe reintrodurre, sai che festa i mercati?!?!).
Questi pensieri mi sono venuti in mente leggendo le esternazioni di Squinzi, attuale presidente dell'organo associativo dell'industria italiana. Presente ad un convegno CGIL ha definito i provvedimenti del Governo in ordine alla Spending Review "macelleria sociale". Ovviamente gli astanti, rassicurati di aver capito bene, si sono spellate le mani dagli applausi. Indispettito da morire Monti, che di Squinzi ha già piene le tasche ( gli aveva definito una "boiata" la riforma del lavoro ) , ma perplessi anche tutti noialtri.
I tagli alla spesa pubblica si capisce che vengano disapprovati i settori che ci campano, e i sindacati indubbiamente sono tra essi, ma Confindustria ? Semmai si potrebbe criticare il governo per la "timidezza" degli stessi. Ma fosse che anche la Grande Industria ci campa sulla spesa pubblica ??? Altro che capitalismo liberale...questi conoscono solo quello sovvenzionato dallo Stato.
Tra l'altro, il Presidente di viale dell'Astronomia non sembra brillare per originalità ed eleganza dell'eloquio : sembra di sentire DI Pietro.
Forse sarebbe opportuno che il Dr. Squinzi si fermi un attimo e decida cosa vorrebbe che il governo facesse, invece di criticarlo e basta, ricordandosi tra l'altro che oggi, quando parla, non lo fa a titolo personale ma in rappresentanza del mondo imprenditoriale, piccole e medie imprese incluse. 
Ecco l'articolo assai critico di Dario DI Vico sul Corsera di oggi

LE CRITICHE AI TAGLI DEL GOVERNO
L'inatteso fuoco amico

Il mondo evidentemente cambia. Carlo Sangalli, uno degli esponenti di punta di Rete Imprese Italia, non è annoverato sicuramente tra i discepoli della signora Thatcher, anzi si considera democristiano a vita. Eppure ha difeso a spada tratta i tagli alla spesa pubblica decisi dal governo Monti. Giorgio Squinzi, presidente di una Confindustria che da sempre ha insistito sul drastico dimagrimento della pubblica amministrazione, ha invece clamorosamente accusato Palazzo Chigi di aver in mente «una macelleria sociale». Un testa-coda che in una pigra domenica di luglio ha messo in gran fermento gli industriali italiani creando un incidente che non ha precedenti. Mai un neopresidente era stato contestato, anche da chi lo aveva supportato ed eletto (leggi Assolombarda), ad appena 40 giorni dal suo insediamento.

Cosa accadrà è difficile prevederlo ma Squinzi è così. Dentro i rituali si sente stretto e alla dichiarazione ufficiale preparata dagli addetti stampa preferisce la battuta secca, quella che resta impressa e che si può definire «da bar». Del resto non è un caso che in tanti anni di onorata attività sia rimasto sempre amministratore unico delle sue aziende e non abbia mai pensato di creare anche solo un simulacro di consiglio o di board . Gli piace far di testa sua, al massimo ascolta il fido e onnisciente Francesco Fiori. Il guaio però è che a un mese e mezzo dal suo arrivo al vertice di Viale dell'Astronomia e per ben tre volte il neopresidente, con le sue dichiarazioni ad effetto, è entrato in rotta di collisione con il governo Monti. Aveva cominciato bollando come una «boiata» la riforma Fornero del lavoro, aveva continuato alla vigilia del super vertice di Bruxelles dipingendo l'Italia come un Paese «sull'orlo dell'abisso», ha insistito al Festival della Cgil di Serravalle Pistoiese con la sortita sulla macelleria sociale. Mario Monti sicuramente non è un nazionalista ma se c'è una cosa che lo irrita profondamente è il «fuoco amico» e dover constatare che ogni volta che c'è un appuntamento clou, con gli altri leader o con il giudizio dei mercati, la Confindustria lo colpisce da dietro le linee, ha per lui dell'incredibile.

Da quando è presidente, Squinzi si è sottoposto a un tour de force impressionante, non c'è stata assemblea delle associazioni territoriali e di categoria alla quale non abbia presenziato, magari arrivando all'ultimo momento in elicottero. Non si può dire dunque che abbia preso sottogamba la nuova carica, sapeva di dover affrontare un noviziato e l'ha fatto con grande scrupolo. Di sicuro non è un oratore provetto, non sa scaldare le platee e di conseguenza spesso legge i suoi discorsi pagando inevitabilmente qualche prezzo in termini di attenzione e feeling con gli astanti. Proprio per questo motivo era evidente che temesse il botta e risposta con Susanna Camusso (per di più in casa Cgil), tanto che in una dichiarazione riportata il giorno prima dal Sole 24 Ore aveva candidamente ammesso: «Lei dialetticamente è più brava di me, mi farà blu». Ma nessuno dei confindustriali di prima fila, nessuno dei tanti che lo avevano sostenuto per il dopo-Emma avrebbe mai pensato che per evitare di diventare blu si facesse rosso. Aderisse alle tesi della Cgil che da sempre difende la sua constituency del pubblico impiego interpretando i tagli alla spesa pubblica come l'albero dove si sarebbe dovuto impiccare Bertoldo e che ovviamente non si trova mai.

L'attacco alla spending review è stato ancor più sorprendente perché l'editoriale del quotidiano della Confindustria di sabato 7 luglio, affidato al commentatore di punta Guido Gentili, recitava: «Si poteva osare di più». Nessuno avrebbe pensato che Squinzi poche ore più tardi avrebbe chiesto al premier Monti un'inversione a U: osare di meno. Ma come, si chiedono in queste ore nelle Unioni Industriali di provincia, all'assemblea annuale non era stato lo stesso Squinzi a indicare quella della pubblica amministrazione come «la madre di tutte le riforme»? E come poteva pensare che lo Stato si potesse modernizzare senza toccare gli organici e senza ridurre gli sprechi?
Dubbi e malizie a parte, è evidente che i rapporti tra governo e Confindustria sono tesi come non mai. E Palazzo Chigi ha tutte le ragioni per temere un asse con la Cgil, un'alleanza che se storicamente si identificava come «patto dei produttori» oggi apparirebbe come un patto degli oppositori, con gli industriali schierati de facto a favore dello sciopero generale promesso dalla Camusso. Eppure se c'è un momento nel quale le parti sociali dovrebbero fare esercizio di responsabilità è proprio questo e in qualche maniera lo ha sostenuto anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, chiedendo ai corpi intermedi di far propria la riforma del lavoro targata Fornero. Il paradosso è che Rete Imprese Italia, l'alleanza dei Piccoli che pure non attraversa uno dei suoi momenti migliori, è sembrata più attenta, ricettiva e sistemica di quanto si sia dimostrata la Confindustria.
Alla fine, però, può capitare che dalle sortite di Squinzi come per un miracolo possa derivare, ex malo bonum , un processo di chiarimento. È evidente che l'associazione degli industriali in questo momento non ha delle priorità evidenti e scolpite nella pietra. E per sua natura non può essere governata con battute da bar. C'è bisogno, dunque, di una bussola, di un orientamento di medio periodo che ridia autorevolezza all'organizzazione e la metta in grado di affrontare i mesi che vanno da qui alle elezioni politiche del 2013. Siamo nell'epoca del budget statale zero e le organizzazioni di rappresentanza che non ne hanno voluto prendere atto sono destinate comunque ad aggiornarsi, a fare i conti con la discontinuità. Prima succede, meglio è.

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