Molto interessanti e puntuali, come sempre aggiungo, le
riflessioni della coppia Alesina - Giavazzi in ordine al decreto ultimo del
governo Monti, quello sui tagli.
Al solito, i due professori di economia, editorialisti del
Corsera, rimarcano come si possa e si debba fare molto di più. Tuttavia
auspicano che il decreto venga approvato in quanto è bene comunque iniziare,
paventando che, come accaduto per le liberalizzazioni (mediocri), le
privatizzazioni (assenti) e la riforma del lavoro (deludente se non peggio), il
Parlamento e le varie corporazioni non riescano a fare strame di quel poco che
comunque il governo ha messo in cantiere. Il PD è già in fibrillazione, come
ogni volta che si tocca il VERO tumore del paese : la spesa pubblica, che non è
solo sprechi (ce ne sono eccome) e clientelismo ( di più ) , ma anche l'idea di
un welfare presuntuoso ( non ci possiamo permettere uno stato svedese,
anche perché loro sono 9 milioni e noi 60 ) , che oltretutto funziona male
, con la sua concezione di dare a tutti, o quasi, e non concentrandosi
solo. o quasi, su quelli veramente deboli.
Prima di lasciarvi all'articolo annunciato, un breve
commento sul sondaggio eseguito da Mannheimer per il Corriere della Sera sempre
sul tema della Spending Review".
A un primo quesito di carattere generale sull'opportunità
dei tagli, il 34% dei cittadini si dichiara decisamente favorevole, a fronte di
circa un italiano su cinque (20%) che si oppone nettamente. Gli altri si
collocano in una posizione diplomatica : farli sì ma più gradualmente (diciamo
il tempo necessario perché "io me la cavi"...) . Curioso un
altro dato : dal punto di vista dell'orientamento politico, risultano in linea
di principio più convinti dell'opportunità dei tagli gli elettori del Pd,
mentre quelli del centrodestra appaiono più perplessi. La più decisa
contrarietà si registra tra i votanti per i partiti dell'estrema
sinistra.
Forse questo spiegherebbe come mai, con due governi
Berlusconi durati 5 e 3 anni, dell'annunciata rivoluzione liberale si è visto
NULLA.
Ovviamente i tagli da operare sono sempre quelli in casa
d'altri...e non a caso i più gettonati sono quelli a carico della politica e
della burocrazia (sacrosanti ma non sufficienti e anzi , i primi, poco
significativi a livello di Cassa ) , mentre quello più impopolare riguarda la
sanità. In questo caso, osserva giustamente Mannheimer, il Governo dovrebbe fare
anche un lavoro accorto di informazione, spiegando come una spesa elefantiaca
non significhi efficienza, e che razionalizzando e snellendo oltre a spendere
di meno si otterrebbero anche servizi più efficienti.
Al di là dello specifico - e delicato - settore della
sanità, gli italiani appaiono comunque tendenzialmente persuasi della necessità
dei tagli, però sottolineano in ogni caso la necessità di mantenere inalterato
il livello dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione. Siccome questo è
pessimo, non dovrebbe essere difficili accontentarli, resta però che il
concetto appaia "fanciullo" : pagare di meno per avere la stessa
cosa....la parola "sacrificio" a noi è proprio indigesta.
Un dato sorprendente però sembra esserci : per la prima
volta dai maledetti anni 70 la gente sembra finalmente iniziare a
orientarsi sull'idea che sia meglio avere qualche servizio in meno pur di
alleggerire una pressione fiscale che solo agli stipendiati pare in qualche
modo un male sopportabile.
Anche qui, a mio avviso, per una cattiva informazione. Avete
mai sentito dire ad un impiegato che lui guadagna 2.500 euro al mese, quando
poi, netti, ne prende 1.300? Ovviamente no. Per lui conta solo il netto, il
resto non lo ha mai visto, non lo ha mai percepito. Fateglielo incassare, e poi
vediamo se a luglio e novembre, al momento di dover tirare fuori, tra tasse e
contributi, oltre il 40% di quello che ha guadagnato, non inizierà anche lui a
strillare come un'aquila!!
Ma ecco Alesina e Giavazzi
Buona Lettura
I COSTI DELLO STATO SOCIALE
Scomode verità, residue illusioni
Alla fine degli anni Novanta, dopo lo sforzo fatto per
entrare nell'unione monetaria, la spesa delle nostre amministrazioni pubbliche
(senza contare gli interessi sul debito) era scesa sotto il 40 per cento del
reddito nazionale: 39,8%. Negli anni successivi, fra il 2001 e il 2006 (secondo
governo Berlusconi), risalì al 44%, due punti sopra il livello degli anni
Ottanta, durante i governi di coalizione fra democristiani e socialisti, quando
il nostro debito pubblico cominciò a crescere rapidamente. Lo scorso anno aveva
superato il 45%.
In passato i tentativi di ridurre la spesa non duravano nel
tempo perché attuati con misure una tantum , oppure con tagli «lineari», cioè
uguali per tutti, che tagliando nella stessa misura spese inefficienti ed
efficienti si rivelavano nel tempo insostenibili. Il merito del governo Monti è
di essere entrato nel dettaglio, aver avuto il coraggio di decidere quali spese
tagliare, indicandole «con nome e cognome», ad esempio la chiusura di 37
tribunali e 220 sedi distaccate. La proliferazione delle sedi giudiziarie era
stata da tempo indicata come una delle ragioni per la lentezza e i costi,
soprattutto della giustizia civile, ma finora nessuno aveva avuto il coraggio di
opporsi alle lobby che difendono i loro piccoli monopoli locali. Questo è stato
possibile anche perché il governo ha informato, ma non ha «concertato», le sue
decisioni. La scelta di Mario Monti di affidare queste proposte a Enrico Bondi,
un manager lontano dalla politica ed esperto di ristrutturazioni aziendali, si
è rivelata vincente. I tagli alla spesa sono un passo che si è fatto attendere
un po' a lungo, ma che ora si aggiunge ai risparmi sulle pensioni decisi a
Natale.
Vanno però dette alcune verità scomode. Primo: non è
pensabile che si possa ridurre in modo significativo la spesa solo riducendo
gli sprechi. È ovvio, ad esempio, che il governo deve tagliare i costi della
politica in modo drastico, come indicano le misure sulle Province, non solo per
un senso di equità e di etica, ma perché altrimenti fra poco vi sarà la rivolta
dei cittadini. Ma purtroppo non basta. La dimensione dei tagli necessari
affinché si possa poi abbassare la pressione fiscale significherà meno servizi
ad alcuni cittadini. Negli anni lo Stato sociale italiano si è disperso in
mille direzioni. Fornisce servizi senza distinzione di reddito a classi medie e
medio alte, il più delle volte non riuscendo a proteggere i veri deboli.
Bisogna riformarlo, rendendolo più snello e più efficiente. Si può fare, e nel
lontano 1997 la commissione Onofri (primo governo Prodi) aveva spiegato come.
Se solo si fosse incominciato allora!
Secondo: bisogna resistere alla tentazione di usare i
risparmi ottenuti riducendo una spesa per finanziarne un'altra, anche se
qualcuno pensa che così si aiuterebbe la crescita. Ad esempio tagliare i
tribunali per costruire nuove infrastrutture. Innanzitutto non è detto che così
si aiuterebbe la crescita: e comunque l'unica strada per uscire dalla
stagnazione in cui ci siamo avvitati è abbassare la pressione fiscale,
incominciando dalle tasse che gravano sul lavoro. Evitare aumenti dell'Iva è
meritorio ma non basta. La dimensione dei tagli deve essere sufficiente per
consentire di abbassare la pressione fiscale (e bene ha fatto Mario Monti a
dire che questo è solo un primo passo). Terzo: il governo deve prepararsi a una
dura battaglia parlamentare. Non deve ripetersi ciò che è accaduto con il
decreto legge sulle liberalizzazioni, quando un ottimo testo del governo è
stato snaturato dal Parlamento. La cartina di tornasole sarà la tenuta
dell'elenco delle Province e dei tribunali cancellati. Le dichiarazioni di
politici e sindacalisti in queste ore mostrano che non sarà un compito facile.
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