lunedì 9 luglio 2012

I TAGLI? SONO GIUSTI MA TRA UN PO' ....IL TEMPO NECESSARIO CHE "IO ME LA CAVI"...


Molto interessanti e puntuali, come sempre aggiungo, le riflessioni della coppia Alesina - Giavazzi in ordine al decreto ultimo del governo Monti, quello sui tagli.
Al solito, i due professori di economia, editorialisti del Corsera, rimarcano come si possa e si debba fare molto di più. Tuttavia auspicano che il decreto venga approvato in quanto è bene comunque iniziare, paventando che, come accaduto per le liberalizzazioni (mediocri), le privatizzazioni (assenti) e la riforma del lavoro (deludente se non peggio), il Parlamento e le varie corporazioni non riescano a fare strame di quel poco che comunque il governo ha messo in cantiere. Il PD è già in fibrillazione, come ogni volta che si tocca il VERO tumore del paese : la spesa pubblica, che non è solo sprechi (ce ne sono eccome) e clientelismo ( di più ) , ma anche l'idea di un welfare presuntuoso ( non ci possiamo permettere uno stato svedese, anche perché loro sono 9 milioni e noi 60 ) , che oltretutto funziona male , con la sua concezione di dare a tutti, o quasi,  e non concentrandosi solo. o quasi,  su quelli veramente deboli. 
Prima di lasciarvi all'articolo annunciato, un breve commento sul sondaggio eseguito da Mannheimer per il Corriere della Sera sempre sul tema della Spending Review".
A un primo quesito di carattere generale sull'opportunità dei tagli, il 34% dei cittadini si dichiara decisamente favorevole, a fronte di circa un italiano su cinque (20%) che si oppone nettamente. Gli altri si collocano in una posizione diplomatica : farli sì ma più gradualmente (diciamo il tempo necessario perché "io me la cavi"...) . Curioso un altro dato : dal punto di vista dell'orientamento politico, risultano in linea di principio più convinti dell'opportunità dei tagli gli elettori del Pd, mentre quelli del centrodestra appaiono più perplessi. La più decisa contrarietà si registra tra i votanti per i partiti dell'estrema sinistra. 
Forse questo spiegherebbe come mai, con due governi Berlusconi durati 5 e 3 anni, dell'annunciata rivoluzione liberale si è visto NULLA. 
Ovviamente i tagli da operare sono sempre quelli in casa d'altri...e non a caso i più gettonati sono quelli a carico della politica e della burocrazia (sacrosanti ma non sufficienti e anzi , i primi, poco significativi a livello di Cassa ) , mentre quello più impopolare riguarda la sanità. In questo caso, osserva giustamente Mannheimer, il Governo dovrebbe fare anche un lavoro accorto di informazione, spiegando come una spesa elefantiaca non significhi efficienza, e che razionalizzando e snellendo oltre a spendere di meno si otterrebbero anche servizi più efficienti.

Al di là dello specifico - e delicato - settore della sanità, gli italiani appaiono comunque tendenzialmente persuasi della necessità dei tagli, però sottolineano in ogni caso la necessità di mantenere inalterato il livello dei servizi offerti dalla pubblica amministrazione. Siccome questo è pessimo, non dovrebbe essere difficili accontentarli, resta però che il concetto appaia "fanciullo" : pagare di meno per avere la stessa cosa....la parola "sacrificio" a noi è proprio indigesta.
Un dato sorprendente però sembra esserci : per la prima volta dai maledetti anni 70 la gente sembra finalmente iniziare  a orientarsi sull'idea che sia meglio avere qualche servizio in meno pur di alleggerire una pressione fiscale che solo agli stipendiati pare in qualche modo un male sopportabile.
Anche qui, a mio avviso, per una cattiva informazione. Avete mai sentito dire ad un impiegato che lui guadagna 2.500 euro al mese, quando poi, netti, ne prende 1.300? Ovviamente no. Per lui conta solo il netto, il resto non lo ha mai visto, non lo ha mai percepito. Fateglielo incassare, e poi vediamo se a luglio e novembre, al momento di dover tirare fuori, tra tasse e contributi, oltre il 40% di quello che ha guadagnato, non inizierà anche lui a strillare come un'aquila!!
Ma ecco Alesina e Giavazzi
Buona Lettura

I COSTI DELLO STATO SOCIALE
Scomode verità, residue illusioni

Alla fine degli anni Novanta, dopo lo sforzo fatto per entrare nell'unione monetaria, la spesa delle nostre amministrazioni pubbliche (senza contare gli interessi sul debito) era scesa sotto il 40 per cento del reddito nazionale: 39,8%. Negli anni successivi, fra il 2001 e il 2006 (secondo governo Berlusconi), risalì al 44%, due punti sopra il livello degli anni Ottanta, durante i governi di coalizione fra democristiani e socialisti, quando il nostro debito pubblico cominciò a crescere rapidamente. Lo scorso anno aveva superato il 45%.

In passato i tentativi di ridurre la spesa non duravano nel tempo perché attuati con misure una tantum , oppure con tagli «lineari», cioè uguali per tutti, che tagliando nella stessa misura spese inefficienti ed efficienti si rivelavano nel tempo insostenibili. Il merito del governo Monti è di essere entrato nel dettaglio, aver avuto il coraggio di decidere quali spese tagliare, indicandole «con nome e cognome», ad esempio la chiusura di 37 tribunali e 220 sedi distaccate. La proliferazione delle sedi giudiziarie era stata da tempo indicata come una delle ragioni per la lentezza e i costi, soprattutto della giustizia civile, ma finora nessuno aveva avuto il coraggio di opporsi alle lobby che difendono i loro piccoli monopoli locali. Questo è stato possibile anche perché il governo ha informato, ma non ha «concertato», le sue decisioni. La scelta di Mario Monti di affidare queste proposte a Enrico Bondi, un manager lontano dalla politica ed esperto di ristrutturazioni aziendali, si è rivelata vincente. I tagli alla spesa sono un passo che si è fatto attendere un po' a lungo, ma che ora si aggiunge ai risparmi sulle pensioni decisi a Natale.

Vanno però dette alcune verità scomode. Primo: non è pensabile che si possa ridurre in modo significativo la spesa solo riducendo gli sprechi. È ovvio, ad esempio, che il governo deve tagliare i costi della politica in modo drastico, come indicano le misure sulle Province, non solo per un senso di equità e di etica, ma perché altrimenti fra poco vi sarà la rivolta dei cittadini. Ma purtroppo non basta. La dimensione dei tagli necessari affinché si possa poi abbassare la pressione fiscale significherà meno servizi ad alcuni cittadini. Negli anni lo Stato sociale italiano si è disperso in mille direzioni. Fornisce servizi senza distinzione di reddito a classi medie e medio alte, il più delle volte non riuscendo a proteggere i veri deboli. Bisogna riformarlo, rendendolo più snello e più efficiente. Si può fare, e nel lontano 1997 la commissione Onofri (primo governo Prodi) aveva spiegato come. Se solo si fosse incominciato allora!

Secondo: bisogna resistere alla tentazione di usare i risparmi ottenuti riducendo una spesa per finanziarne un'altra, anche se qualcuno pensa che così si aiuterebbe la crescita. Ad esempio tagliare i tribunali per costruire nuove infrastrutture. Innanzitutto non è detto che così si aiuterebbe la crescita: e comunque l'unica strada per uscire dalla stagnazione in cui ci siamo avvitati è abbassare la pressione fiscale, incominciando dalle tasse che gravano sul lavoro. Evitare aumenti dell'Iva è meritorio ma non basta. La dimensione dei tagli deve essere sufficiente per consentire di abbassare la pressione fiscale (e bene ha fatto Mario Monti a dire che questo è solo un primo passo). Terzo: il governo deve prepararsi a una dura battaglia parlamentare. Non deve ripetersi ciò che è accaduto con il decreto legge sulle liberalizzazioni, quando un ottimo testo del governo è stato snaturato dal Parlamento. La cartina di tornasole sarà la tenuta dell'elenco delle Province e dei tribunali cancellati. Le dichiarazioni di politici e sindacalisti in queste ore mostrano che non sarà un compito facile.

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