lunedì 6 agosto 2012

IL COMMISSARIAMENTO DELL'ITALIA PROSSMO VENTURO. STAVOLTA "VERO".

 Si iniziò l'estate scorsa a parlare di "commissariamento" dell'Italia, leggendo la famosa lettera inviata da Trichet, allora capo della BCE, e controfirmata da Draghi, governatore della Banca Centrale italiana. Era una lettera nella quale si indicavano al governo Berlusconi una serie di inizative da adottare per risanare i conti e l'economia del paese. Quei "consigli" dovevano trovare attuazione se si voleva l'aiuto della Banca Centrale Europea sul mercato dei titoli di Stato. Berlusconi firmò al riguardo una lettera d'intenti, che prevedeva, tra l'altro, il pareggio di bilancio nel 2013 - anziché il 2014 come preventivato nella precedente manovra finanziaria - , l'accettazione della introduzione del vincolo del pareggio in Costituzione e altre cosucce. Inizialmente la sinistra non credette all'esistenza di questa lettera, si disse che era una scusa inventata dal Berlusca per giustificare il giro di vite (fu allora che l'IVA fu aumentata di 1 punto percentuale). Poi il Corriere della Sera pibblicò il testo integrale della missiva e si cominciò a parlare di Italia commissariata.
Ottenuto l'aiuto della BCE Berlusconi rallentò subito il cammino del rigore riformista, ma obiettivamente non avrebbe mai avuto la forza parlamentare per adottare le misure, ancorché insufficienti, di Monti, e a novembre ci fu il cambio di governo.
Ma i compiti a casa non si sono rivelati adeguati se a distanza di nove mesi abbiamo uno spread costantemente sopra quota 400 , con puntate ocima 500 (la scorsa settimana ci fu il ripristino della perfetta parità con l'azimut toccato da Berlusconi: 567. E questo dopo mesi di sacrifici veri, IMU compresa). In realtà, come ormai scrivono tutti, ma un anno fa in pochi (Giacalone tra questi pochi) la crisi dei debiti sovrani è un toro a due corna ; da una parte i conti in disordine della zona B europea, dall'altra la contraddizione rivelatasi drammatica tra l'esistenza di una moneta unica, cui non corrisponde alcune struttura istituzionale europea veramente unitaria. L'Europa è e resta, e lo si vede in mille occasioni, un agglomerato di Stati che si muovono cisascuno per conto proprio, con limiti essenzialmente commerciali (i divieti degli aiuti di stato alle proprie industrie nazionali, aggirati spesso e volentieri, i regolamente europei a cui adeguarsi, anche questi con molta lentezza e precarietà). E' questa disunione che ha messo in crisi l'EURO, che viene vista come una monetta attaccabile, a differenza del dollaro, della sterlina e dello yen, paesi che  hanno debiti pubblici niente male (il Giappone il doppio del nostro) ma con nessun speculatore che si azzarda a scommettere contro quelle monete.
Detto questo, resta che determinati paesi hanno grosse difficioltà a continuare a finanziare il proprio debito, e in questo senso sono immaginati degli aiuti il cui rilascio però è subordinato a condizioni ben precise. Soprattutto, l'accettazione di una sovranità nazionale ridotta, e questo non in un contesto GENERALE, di ridimensionamento degli Stati Nazionali in nome della crescita di uno Stato Europeo, che è molto di là da venire.
No, in realtà la BCE invece di diventare una simil FED (La Banca Centrale statunitense) sembra ispirarsi al Fondo Monetario Internazionale, che nel momento in cui scuce i suoi denari poi ti manda gli ispettori a vedere se fai i compiti, e stavolta per davvero!).
Contro questa prospettiva si stanno ribellando in tanti e non solo da sinistra, dove in effetti l'idea di andare al governo e poi vedersi l'agenda degli interventi dettata da Bruxelles e Francofrote non piace per nulla. Ve li immaginate Fassina, Vendola e la Camusso costretti, se vogliono qualche centinaio di miliardi per sopravvivere, costretti LORO ad abolire l'articolo 18???
L'idea di una Italia a sovranità limitata, in un'Europa ancora così lontanadall'essere una e federata, non piace nemmeno agli osservatori moderati. L'altro giorno avevamo riportato lo sprone di Giavazzi, un economista liberale, oggi si esprime con toni simili Ernesto Galli della Loggia.
Membri paritari di un club unico, con regole comuni e quindi limiti alle proprie, sì, vassalli di altri, NO.
Buona Lettura

 :EURO, SOVRANITÀ E COSTITUZIONE 
La moneta dei più forti. 
L’Italia è di fronte a una scelta decisiva: continuare a sopportare lo spread assai alto che sappiamo (e che domani potrebbe essere ancora più alto), ovvero chiedere l’intervento del fondo salva Stati. La conseguenza nel primo caso sarebbe un declino economico certo. Ma ancora più grave sarebbe la conseguenza nel secondo caso, e cioè - in forza delle condizioni che accompagneranno l’aiuto della Bce, volute dalla Germania e da altri Paesi forti dell’eurozona - un vero e proprio commissariamento del governo italiano attuale e di quelli successivi. Che dunque sarebbero obbligati per anni ad attenersi a una serie di direttive dettate dall’esterno. Insomma, una radicale perdita di sovranità da parte della Repubblica. È la conferma di un dato drammatico che la crisi dell’euro sta sempre più mettendo in luce: vale a dire che a distanza di circa sessant’anni dalla sua origine, e al di là di ogni apparenza formale, nell’ambito dell’Unione Europea non esiste alcun organo realmente sopranazionale, neppure la Banca centrale europea. Non esiste cioè alcun organo che in materie rilevanti possa - ispirandosi a un interesse collettivo o comunque a suo insindacabile giudizio ritenuto tale - decidere indipendentemente dalla volontà dei governi dei singoli Stati. Per esempio, stabilendo di distribuire con una certa equanimità fra tutti i membri i costi e i benefici delle sue decisioni. In queste condizioni l’euro è solo formalmente una moneta «europea», adottata su base paritaria e concordata: come i suoi padri s’illudevano che fosse. In realtà, essendo una moneta «unica» che alle spalle non ha però alcuna unità (nessuna unità vera, cioè politico-statale: la sola che conta per le classi politiche chiamate a rispondere a degli elettorati nazionali), esso è destinato inevitabilmente, alle prime difficoltà, a divenire qualcos’altro. E cioè il semplice paravento dietro il quale si manifestano, insopprimibili, i tradizionali contrasti e rivalità tra gli Stati. Peggio: l’euro diviene un arma insidiosissima nelle mani dei Paesi economicamente più forti contro quelli più deboli. Infatti, nei tempi di tempesta la coesistenza da un lato di autonome individualità statali, e dall’altro della moneta unica, rischia di sortire il virtuale effetto, prendendo a motivo i vincoli «unitari» che questa comporta, di spezzare il nerbo degli Stati di serie B. Trasformandoli di fatto in autentici Stati vassalli. L’autonomia del «politico» si prende in tal modo la più beffarda vendetta a spese dell’immaginario primato dell’economia sul quale tutta la costruzione europea è stata edificata. Ma ciò detto, va aggiunto subito dopo che quanto sta accadendo pone all’Italia, mi pare, tra le tante, anche una delicatissima questione di costituzionalità (e a mio giudizio sarebbe stato bene che non si fosse posta oggi per la prima volta: sennonché la nostra Corte Costituzionale, per ragioni che ignoro, non ha mai ritenuto di dovere imboccare quella via di rigida salvaguardia della sovranità nazionale nei confronti della costruzione europea che invece ha imboccato a suo tempo la Corte Costituzionale tedesca; dalle cui decisioni, così, anche noi finiamo oggi grottescamente per dipendere). Nella nostra Carta, infatti, esiste un articolo 11 secondo il quale l’Italia può consentire alle limitazioni di sovranità ma «in condizioni di parità con gli altri Stati», ed evidentemente solo a queste condizioni. Non sembra allora inappropriata la domanda: quali mai «condizioni di parità» sarebbero garantite nell’eventuale cessione di sovranità alla quale ci vedessimo costretti in base alla richiesta di aiuto alla Banca centrale europea? Qui si tratta evidentemente di condizioni decise di volta in volta per diretto impulso dei governi, con contenuti ogni volta mutevoli. E dunque mi chiedo: che certezza può mai esservi che il trattamento oggi riservato all’Italia lo sarebbe domani, mettiamo, anche alla Germania? Cioè che siano effettivamente rispettate le «condizioni di parità» volute dalla Costituzione? Senza contare - altra considerazione all’apparenza non irrilevante - che sempre la nostra Costituzione stabilisce nel medesimo articolo che le limitazioni di sovranità di cui si sta dicendo possono essere fatte solo se «necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». E allora ecco una nuova domanda: di quale «giustizia» è questione negli obblighi che dovremmo eventualmente prendere per salvarci dallo spread ? La giustizia del «guai ai vinti» o quale? 
 

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