Ottenuto l'aiuto della BCE Berlusconi rallentò subito il cammino del rigore riformista, ma obiettivamente non avrebbe mai avuto la forza parlamentare per adottare le misure, ancorché insufficienti, di Monti, e a novembre ci fu il cambio di governo.
Ma i compiti a casa non si sono rivelati adeguati se a distanza di nove mesi abbiamo uno spread costantemente sopra quota 400 , con puntate ocima 500 (la scorsa settimana ci fu il ripristino della perfetta parità con l'azimut toccato da Berlusconi: 567. E questo dopo mesi di sacrifici veri, IMU compresa). In realtà, come ormai scrivono tutti, ma un anno fa in pochi (Giacalone tra questi pochi) la crisi dei debiti sovrani è un toro a due corna ; da una parte i conti in disordine della zona B europea, dall'altra la contraddizione rivelatasi drammatica tra l'esistenza di una moneta unica, cui non corrisponde alcune struttura istituzionale europea veramente unitaria. L'Europa è e resta, e lo si vede in mille occasioni, un agglomerato di Stati che si muovono cisascuno per conto proprio, con limiti essenzialmente commerciali (i divieti degli aiuti di stato alle proprie industrie nazionali, aggirati spesso e volentieri, i regolamente europei a cui adeguarsi, anche questi con molta lentezza e precarietà). E' questa disunione che ha messo in crisi l'EURO, che viene vista come una monetta attaccabile, a differenza del dollaro, della sterlina e dello yen, paesi che hanno debiti pubblici niente male (il Giappone il doppio del nostro) ma con nessun speculatore che si azzarda a scommettere contro quelle monete.
Detto questo, resta che determinati paesi hanno grosse difficioltà a continuare a finanziare il proprio debito, e in questo senso sono immaginati degli aiuti il cui rilascio però è subordinato a condizioni ben precise. Soprattutto, l'accettazione di una sovranità nazionale ridotta, e questo non in un contesto GENERALE, di ridimensionamento degli Stati Nazionali in nome della crescita di uno Stato Europeo, che è molto di là da venire.
No, in realtà la BCE invece di diventare una simil FED (La Banca Centrale statunitense) sembra ispirarsi al Fondo Monetario Internazionale, che nel momento in cui scuce i suoi denari poi ti manda gli ispettori a vedere se fai i compiti, e stavolta per davvero!).
Contro questa prospettiva si stanno ribellando in tanti e non solo da sinistra, dove in effetti l'idea di andare al governo e poi vedersi l'agenda degli interventi dettata da Bruxelles e Francofrote non piace per nulla. Ve li immaginate Fassina, Vendola e la Camusso costretti, se vogliono qualche centinaio di miliardi per sopravvivere, costretti LORO ad abolire l'articolo 18???
L'idea di una Italia a sovranità limitata, in un'Europa ancora così lontanadall'essere una e federata, non piace nemmeno agli osservatori moderati. L'altro giorno avevamo riportato lo sprone di Giavazzi, un economista liberale, oggi si esprime con toni simili Ernesto Galli della Loggia.
Membri paritari di un club unico, con regole comuni e quindi limiti alle proprie, sì, vassalli di altri, NO.
Buona Lettura
:EURO, SOVRANITÀ E
COSTITUZIONE
La moneta dei più forti.
L’Italia è di fronte a una scelta
decisiva: continuare a sopportare lo spread assai alto che sappiamo (e che
domani potrebbe essere ancora più alto), ovvero chiedere l’intervento del fondo
salva Stati. La conseguenza nel primo caso sarebbe un declino economico certo.
Ma ancora più grave sarebbe la conseguenza nel secondo caso, e cioè - in forza
delle condizioni che accompagneranno l’aiuto della Bce, volute dalla Germania e
da altri Paesi forti dell’eurozona - un vero e proprio commissariamento del
governo italiano attuale e di quelli successivi. Che dunque sarebbero obbligati
per anni ad attenersi a una serie di direttive dettate dall’esterno. Insomma,
una radicale perdita di sovranità da parte della Repubblica. È la conferma di
un dato drammatico che la crisi dell’euro sta sempre più mettendo in luce: vale
a dire che a distanza di circa sessant’anni dalla sua origine, e al di là di
ogni apparenza formale, nell’ambito dell’Unione Europea non esiste alcun organo
realmente sopranazionale, neppure la Banca centrale europea. Non esiste cioè
alcun organo che in materie rilevanti possa - ispirandosi a un interesse
collettivo o comunque a suo insindacabile giudizio ritenuto tale - decidere
indipendentemente dalla volontà dei governi dei singoli Stati. Per esempio,
stabilendo di distribuire con una certa equanimità fra tutti i membri i costi e
i benefici delle sue decisioni. In queste condizioni l’euro è solo formalmente
una moneta «europea», adottata su base paritaria e concordata: come i suoi
padri s’illudevano che fosse. In realtà, essendo una moneta «unica» che alle
spalle non ha però alcuna unità (nessuna unità vera, cioè politico-statale: la
sola che conta per le classi politiche chiamate a rispondere a degli elettorati
nazionali), esso è destinato inevitabilmente, alle prime difficoltà, a divenire
qualcos’altro. E cioè il semplice paravento dietro il quale si manifestano,
insopprimibili, i tradizionali contrasti e rivalità tra gli Stati. Peggio:
l’euro diviene un arma insidiosissima nelle mani dei Paesi economicamente più
forti contro quelli più deboli. Infatti, nei tempi di tempesta la coesistenza
da un lato di autonome individualità statali, e dall’altro della moneta unica,
rischia di sortire il virtuale effetto, prendendo a motivo i vincoli «unitari»
che questa comporta, di spezzare il nerbo degli Stati di serie B.
Trasformandoli di fatto in autentici Stati vassalli. L’autonomia del «politico»
si prende in tal modo la più beffarda vendetta a spese dell’immaginario primato
dell’economia sul quale tutta la costruzione europea è stata edificata. Ma ciò
detto, va aggiunto subito dopo che quanto sta accadendo pone all’Italia, mi
pare, tra le tante, anche una delicatissima questione di costituzionalità (e a
mio giudizio sarebbe stato bene che non si fosse posta oggi per la prima volta:
sennonché la nostra Corte Costituzionale, per ragioni che ignoro, non ha mai
ritenuto di dovere imboccare quella via di rigida salvaguardia della sovranità
nazionale nei confronti della costruzione europea che invece ha imboccato a suo
tempo la Corte Costituzionale tedesca; dalle cui decisioni, così, anche noi finiamo
oggi grottescamente per dipendere). Nella nostra Carta, infatti, esiste un
articolo 11 secondo il quale l’Italia può consentire alle limitazioni di
sovranità ma «in condizioni di parità con gli altri Stati», ed evidentemente
solo a queste condizioni. Non sembra allora inappropriata la domanda: quali mai
«condizioni di parità» sarebbero garantite nell’eventuale cessione di sovranità
alla quale ci vedessimo costretti in base alla richiesta di aiuto alla Banca
centrale europea? Qui si tratta evidentemente di condizioni decise di volta in
volta per diretto impulso dei governi, con contenuti ogni volta mutevoli. E
dunque mi chiedo: che certezza può mai esservi che il trattamento oggi
riservato all’Italia lo sarebbe domani, mettiamo, anche alla Germania? Cioè che
siano effettivamente rispettate le «condizioni di parità» volute dalla
Costituzione? Senza contare - altra considerazione all’apparenza non
irrilevante - che sempre la nostra Costituzione stabilisce nel medesimo
articolo che le limitazioni di sovranità di cui si sta dicendo possono essere
fatte solo se «necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le nazioni». E allora ecco una nuova domanda: di quale «giustizia» è
questione negli obblighi che dovremmo eventualmente prendere per salvarci dallo
spread ? La giustizia del «guai ai vinti» o quale?
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