Mai banali e nemmeno diplomatici i due professori bocconiani, Alesina e Giavazzi, punta di lancia del pensiero economico tra gli editorialisti del Corsera.
Nell'editoriale di domenica, hanno affrontato senza peli sulla lingua il problema del rapporto tra debito e spesa pubblica , chiarendo senza se e senza ma che è ottima cosa ridurre il debito pubblico , anzi, indispensabile e inevitabile. E quindi l'idea di destinare i beni dello Stato a questo scopo per riportare il debito sotto quota 100% e agevolare il raggiungimento dell'obiettivo ambizioso posto al 60% del PIL per tutti i paesi UE in venti anni, è corretta. MA SE NON SI RIDUCE ANCHE LA SPESA PUBBLICA tutto questo sarà vano, come già è accaduto in passato. E anche l'idea della patrimoniale (perché, osservano giustamente i due, l'IMU sulla prima casa che altro è se non una patrimoniale bella e buona ??). tanto cara a Bersani e alla sinistra tutta, che noin sa partorire altre idee economiche, oltre naturalmente la guerra all'evasione fiscale, viene criticata come velleitaria, inutile e depressiva.
Tanto più poi volendola stabilire come misura PERMANENTE (una nuova tassa), laddove anche liberali illustri come Einaudi ammettevano il ricorso a questo strumento in momenti di assoluta emergenza, quali una guerra o il suo "dopo", ma MAI come misura corrente.
Si potrebbe anche paragonare l'attuale momento ad un conflitto, però , ricordano i due esperti, gli strumenti devono essere ALTRI, e tra questi l'accettazione, una volta per tutte, che il sistema di welfare deve essere riformato e anche ristretto, il sistema di uno Stato provvidenziale abbandonato, per ridurre il fabbisogno di denaro della sfera pubblica e ridare risorse alle imprese e ai consumatori, favorendo finalmente la cosa più importante e più latitante da quasi tre lustri nel nostro Paese : la CRESCITA.
Vasto Programma.
Ma le migliori menti sempre questo dicono ormai , un motivo ci sarà.
Buona Lettura
I COMPROMESSI CHE NON SERVONO
Riduzione del debito e crescita
Aver cominciato a discutere di come ridurre il debito
pubblico è un passo avanti importante. Se questo tema divenisse il fulcro della
campagna elettorale, finalmente ci staremmo chiedendo chi meglio difenderà gli
interessi dei nostri figli. Ma le discussioni su come ridurre il debito sono
anche piene di tranelli insidiosi. Innanzitutto ciò che conta non è il debito
in sé, ma il rapporto fra il debito e il reddito nazionale (il Pil). Se
l’economia non ricomincia a crescere quel rapporto non scenderà mai abbastanza.
Diffidate quindi di chi propone fantasiose ricette finanziarie per ridurre il
debito sostenendo che tutto il resto è secondario. E fra costoro diffidate di
chi invoca imposte patrimoniali: i contribuenti onesti di imposte ne pagano già
troppe. Se non si ricomincia a crescere, una patrimoniale ridurrebbe il
rapporto debito-Pil per qualche anno, ma poi saremmo al punto di prima, con le
stesse persone a invocare una nuova patrimoniale. Le privatizzazioni attuate
nella seconda parte degli anni Novanta ridussero il rapporto debito-Pil di
circa dieci punti, ma poi la crescita si fermò e quel beneficio in pochi anni
svanì (anche perché all’inizio del decennio scorso la spesa pubblica aumentò di
oltre 15 miliardi in euro di oggi). Chi poi parla di consolidare il debito (un
eufemismo per ripudiarlo) è un irresponsabile che altro non fa che aumentare il
costo del debito stesso e quindi le imposte. Per ridurre il rapporto debito-Pil
deve quindi ripartire il denominatore, cioè la crescita. Ma questo non accadrà
finché non si riduce la spesa pubblica, altrimenti la pressione fiscale rimarrà
elevatissima. Meno spesa e più crescita. Diversamente da quanto vorrebbero
farci credere alcuni economisti che interpretano Keynes in modo schematico, si
può crescere pur tagliando le spese. Non bisogna dimenticare che ai tempi di
Keynes lo Stato spendeva e tassava meno del 20% del Pil: oggi quasi il 50%. In
nove mesi il governo Monti ha fatto per la crescita più di quanto aveva fatto
il precedente in nove anni. Ma ha appena incominciato, c’è ancora molto da fare
per creare un mercato del lavoro che superi la segmentazione fra giovani
precari e anziani protetti, per smantellare le rendite che ingessano i mercati
dei beni e soprattutto dei servizi e per ridurre la spesa così da poter poi
ridurre le tasse, soprattutto quelle che gravano su chi lavora. Diffidate di
chi usa le discussioni su come ridurre il debito per dribblare l’esigenza di
tagliare la spesa. Non si scappa: per ridurre stabilmente il debito (con una
pressione fiscale che non ammazzi la crescita) dovremmo prima ridurre le spese.
Di quanto? Consideriamo ad esempio la Germania. Questo Paese, pur spendendo 2
punti di Pil (circa 30 miliardi) meno di noi, ha uno Stato sociale che funziona
molto meglio del nostro. Se poi volessimo anche avere la medesima pressione
fiscale e il medesimo deficit pubblico della Germania, sarebbe necessario
tagliare altri 25 miliardi, quindi un totale di 55 miliardi (per questi
confronti, che sono relativi al 2010, si legga Aldo Lanfranconi su
noisefromamerika.org ). Ciò non significa che mentre si fa tutto questo (ma non
invece di fare tutto questo) lo Stato non debba cominciare a ridurre il debito
vendendo. Ma vendere davvero, non offrire agli investitori quote di improbabili
polpettoni (qualche azione dell’Eni, un po’ di Enel, qualche caserma, qualche
azione di Finmeccanica) il tutto costruito in modo che la politica non perda il
controllo di queste aziende. Vendere simili quote a investitori veri sarebbe
praticamente impossibile; a meno che non si voglia obbligare banche,
assicurazioni e risparmiatori italiani a comprarle, che sarebbe una forma
nascosta (ma non poi tanto) di imposta patrimoniale. Vendere vuol dire, ad
esempio, collocare in Borsa tutta Terna (l’azienda che possiede la rete di
trasmissione elettrica), tutta Snam Rete Gas, le Poste. L’argomento che sono
aziende strategiche è risibile: davvero temiamo che qualcuno smonti i pali
dell’alta tensione, i tubi del gas o gli sportelli postali, e li porti in Cina?
Insomma, siamo ad un bivio. I compromessi gradualisti non bastano più. Per
farcela da soli ci vuole un po’ di coraggio. Ma i partiti tradizionali sono
disposti a farlo?]
Aver cominciato a discutere di come ridurre il debito
pubblico è un passo avanti importante. Se questo tema divenisse il fulcro della
campagna elettorale, finalmente ci staremmo chiedendo chi meglio difenderà gli
interessi dei nostri figli. Ma le discussioni su come ridurre il debito sono
anche piene di tranelli insidiosi.
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