Non mi piacciono i cosiddetti "complottisti", per la semplice ragione che mi ritengo un volterriano, uno cioè che si affida alla ragione. Sono ben consapevole che noi essere umani siamo essenzialmente, profondamente irrazionali , e molti dei nostri comportamenti sono determinati, "agiti" dicono gli psicanalisti , da una forza interiore con la quale non siamo mentalmente in contatto (Freud lo battezzò "Inconscio" ) .
Però siamo anche in grado di Logica, di analisi basate su fatti obiettivi che ci consentono una ricerca "razionale" delle risposte che cerchiamo.
Ecco, i complottisti fanno finta di operare secondo logica. Partono da un fatto storico , una BOMBA, e su questo tessono teorie che nel migliore dei casi sono verosimili ma di cui non hanno mai le prove.
"E grazie", rispondono a questa obiezione, "coloro che ordiscono un complotto mica sono stupidi ! Prove certe non le lasciano !" E così il complotto, per loro, è bello che dimostrato....
Ci sono giornalisti che ci hanno fondato una carriera sul complottismo. Famoso da noi è Giulietto Chiesa, anche se poi al filone sono molti gli iscritti ma non tutti a tempo pieno come il citato cronista (Beppe Grillo per esempio ama i complotti, però non si dedica solo a quello..peccato ! ).
La cosa che colpisce è che coloro a cui "non si può darla da bere" sembrano paradossalmente (perché il loro intento sarebbe opposto : tutto va ricondotto ad una spiegazione razionale, la LORO ) tradire un approccio laico alla vita per abbracciare un'altra forma di fede : quella del determinismo "ALTRO". Il mondo non guidato da Dio, ma da un gruppo di potenti, sconosciuti ai più ( ma non a LORO...), che tutto decidono.
Una paranoia.
Da cui guardarsi, e non "bersi" le fantasiose teorie proprie di coloro a cui "darla a bere" non si può...
A questo tema dedica un suo intervento sul supplemento domenicale del Corsera - LA Lettura - Antonio Polito.
Quello che trovate evidenziato, corrisponde evidentemente a ciò che condivido.
Buona Lettura
QUELLI CHE NON SI BEVONO IL COMPLOTTO
La sensazione di
essere stati manipolati e ingannati in un complotto, ordito da un’entità
onnipotente e segreta, è tra le più umilianti che l’amor proprio dell’uomo
conosca. Dà letteralmente la nausea. Tom Haley, il protagonista dell’ultimo
romanzo di Ian McEwan Sweet Tooth, ha un conato di vomito nello scoprirlo:
l’urgenza di «gettare il sapore fuori dallo stomaco». Piacerà dunque il plot di
questo sorprendente meta-libro agli amanti nostrani del «complotto». Tra
l’altro, come ci ha ricordato Alessandro Campi sulla «Rivista di Politica», la
parola «complotto» ha questa comune etimologia in tutta Europa, sia nelle
lingue neo latine («complot» in francese e spagnolo), sia in quelle germaniche
(«komplott» in tedesco e svedese). E in effetti qualcosa a che fare con la
letteratura le teorie del complotto l’hanno sempre avuta. Perfino il grumo
originale della più celebre tra queste, il falso dei Protocolli dei Savi di
Sion, compare per la prima volta in un romanzo, il modesto Biarritz, scritto
nel 1868 da un funzionario delle poste prussiane appena licenziato.
Sempre ammesso che
gli appassionati italiani del genere abbiano il tempo per leggere romanzi. In
queste settimane sono infatti impegnatissimi con ben altre trame, molto più
politiche, in un crescendo di intrecci che si annoda ormai così strettamente da
rendere impossibile districarne il filo logico. Per esempio: coloro che si
dicono convinti che la Seconda Repubblica sia nata da un patto di sangue tra
Stato e Mafia, in una trattativa che dura ormai da vent’anni, respingono però
inferociti ogni ipotesi che la Prima Repubblica sia finita a causa di un
complotto, questa volta della Cia con Di Pietro. E viceversa. Di più: chi
sostiene la tesi del cedimento alla Mafia, afferma che lo Stato seppe resistere
solo finché al governo ci fu Andreotti, che in altra epoca ma dagli stessi
cercatori di complotti era stato invece accusato di esserne il Grande Vecchio;
e indica il regista dell’immonda trattativa in Oscar Luigi Scalfaro, il
presidente in altra epoca nobilitato per aver sbarrato la strada al Grande
Corruttore. Non a caso Machiavelli, che pure era machiavellico per antonomasia,
diffidava della congiura: «Perché la è difficile e pericolosissima in ogni sua
parte; donde ne nasce che molte se ne tentano e pochissime hanno il fine
desiderato».
Ma è inutile
impiccarsi alla logica: in materia di complotti non conta molto. I fortunati
autori di questo genere seguono infatti una logica superiore, in cui la
mancanza di prove è essa stessa la prova dell’occultamento delle prove da parte
di menti così «raffinatissime » che figurati se lasciano prove. Fatto sta che
per i complottisti (che un tempo nel giornalismo si chiamavano più modestamente
«pistaroli») è un momento d’oro, sancito dall’arrivo sulla scena perfino
dell’avvocato Taormina. La credulità popolare, in un’epoca di grandi
rivolgimenti e angoscia, è elevata; come lo era nel 1922, quando Giuseppe
Prezzolini scriveva su «La rivoluzione liberale»: «Caro Gobetti, oggi tutto è
accettato dalle folle: il documento falso, la leggenda grossolana, la
superstizione primitiva vengono ricevute senza esame, a occhi chiusi, e
proposte come rimedio materiale e spirituale». Si afferma così anche da noi ciò
che già negli Usa fu analizzato da Richard Hofstadter come «lo stile paranoico»
nella lotta politica, così definito «semplicemente perché non c’è altro termine
che evochi adeguatamente le caratteristiche di accesa esagerazione, diffidenza
e fantasia cospirativa».
Ma ciò che
meriterebbe di essere oggetto di riflessione è il perché, sociologico o
esistenziale, di questo fenomeno. Perché in tanti, mentre vanno orgogliosi
della loro intelligenza laica in quanto basata sui fatti, in realtà sembrano
alla ricerca quasi religiosa di un «disegno intelligente» nel caos
dell’esistenza. Quasi come se sperassero che possa essere il Male, dopo la scomparsa
del Bene, a dare un senso a un mondo che ai loro occhi non ne ha più.
In effetti qualcosa
di «religioso» in questa credulità c’è, una concezione teleologica della Storia
che rifiuta la possibilità che essa non abbia una direzione, o che non ci sia
nessuno a imprimergliela. Questa almeno è la spiegazione che dà Popper alla
«teoria sociale della cospirazione»: «Una teoria — scrive ne La società aperta
e i suoi nemici — che è molto più primitiva della maggior parte delle forme di
teismo, ed è simile alla teoria che aveva Omero della società. Omero concepiva
il potere degli dèi in modo tale che qualsiasi cosa accadesse nella pianura di
Troia non era altro che un riflesso delle varie cospirazioni che accadevano
nell’Olimpo. La teoria cospirativa della società non è altro che una moderna
versione del teismo, della credenza in dèi i cui capricci e desideri comandano
su tutto». L’unica differenza è che oggi contro gli dèi si può organizzare una
raccolta di firme online. Ne consegue, secondo Daniel Pipes, «un bisogno quasi
paranoico di ordine, di una risposta appagante all’irrazionalità diffusa».
Tutto il reale deve diventare razionale; e se si rifiuta, ci penserà una teoria
cospirativa a rimettere le cose a posto.
Il guaio, dal punto
di vista democratico, è che questi sentimenti, pur in apparenza così
combattivi, tendono ad assumere un retrogusto nichilista. Contengono cioè
un’implicita dichiarazione di impotenza dell’uomo comune, diffondono sfiducia
nella possibilità di farsi padroni della propria Storia, ci fanno sentire
poveri burattini nelle mani dellemultiformimacchinazioni del Potere. Così «il
sospetto — ha scritto Leonardo Varasano — cessa di essere un utile meccanismo
critico per diventare un morbo che infetta il dibattito pubblico: portato
all’estremo, lo scetticismo diventa nichilismo, politico ed esistenziale». E
infatti per chi crede ai complotti è indifferente chi eserciti il Potere,
perché il problema è il Potere in sé. La lotta politica democratica, che fu
inventata proprio per cambiare periodicamente chi gestisce il potere senza
spargimenti di sangue, perde così gran parte del suo senso.
Ecco perché per ogni
riforma morale del Paese servirebbe prima ricostruire un ethos e una Storia
comune, attraverso una pedagogia che riconsegni il potere di comprendere la
realtà a masse sempre più ricche di tecnologia ma sempre più «povere di
esperienza», secondo l’espressione di Walter Benjamin. Allo scopo potrebbe
tornare utile il suggerimento di Prezzolini che, in quell’articolo del ’22,
proponeva la costituzione di una «Congregazione degli Àpoti», composta cioè da
«coloro che non se le bevono». E che, di conseguenza, non la danno a bere.
GRILLO può fare coppia con BERLUSCA . Uno è la spalla dell'altro.-
RispondiEliminaGrillo che parla di 5 stelle .- le ha rilevate da un Albergo od è competente dell'Orsa Maggiore . Ed Orsa Minore.??? ... necessarie per navigare al buio in mare.???
Prima o poi io lo vedo naufrago.!!!