Alcuni miei amici di FB e del Tea Party italiano, in particolare Giacomo Zucco e anche Mauro Gargaglione, hanno , con toni diversi, sottolineato come il Tremontismo e il Montismo ci abbiano ormai vaccinato all'eventualità , non remota, di un governo di sinistra. Della serie : peggio di così ? Giacomo Zucco ricorda, con ragione, che la sinistra è molto più efficace quando è opposizione, e mobilita i suoi in continui veti tribunizi che impediscono, di fatto, qualunque riforma VERA. Quando governano, sono meno "efficienti", perché distruggere si sa, è più semplice che costruire. Oltretutto le loro costruzioni facilmente si scontreranno con una realtà economica che continua ad essere aliena ai loro sogni....Parlo di quelli della sinistra più radicale e pura, che ormai si è rifatta una solida posizione nel PD, dove vedo prevalere la fazione dei giovani turchi, che possono contare sull'alleanza con CGIL e FIOM, e sul complesso antico di non avere mai nemici che stiano ancora più a sinistra. Ora, che il mondo descritto da Camusso, Landini, Fassina o Vendola sia fattibile, io non lo credo. E siccome lo Stato sociale onnipresente, gratuito per tutti, deve trovare immense risorse per pagarsi, non vedo dove questi signori le possano trovare. Si ok, la patrimoniale, la caccia agli evasori...Non bastano. Gliene servono di più. E dove le trovano ?
Detto questo, è comunque preoccupante leggere l'articolo di Bedeschi sul Corriere dove l'opinionista riporta il contenuto di un libro edito da La Terza " Pensare la sinistra. Tra equità e libertà ", di Pietro Reichlin e Aldo Rustichini, e le reazioni allo stesso. Si tratta di due autori chiaramente di sinistra, che solo osando parlare di efficienza, di merito nel campo dell'istruzione, di riforma del lavoro moderna, si meritano l'etichetta biasimante di "neo liberisti" da parte dei soliti noti (Fassina, Bevilacqua, gente così).
Ora, cari Giacomo e Mauro, voi avete ragione, ma la paura irrazionale di un giovane turco al ministero dell'economia io devo confessarvi CE L'HO.
Buona Lettura
La grave crisi che ha investito gli Stati Uniti e l’Europa
ha sollecitato gli economisti a riflettere sui meccanismi dello sviluppo
economico quale si è realizzato negli ultimi decenni, a rivedere convincimenti
che sembravano ormai assodati, a rimettere in discussione teoremi che
apparivano acquisiti una volta per tutte. Questo ripensamento ha luogo sia
nello schieramento di centrosinistra che in quello di centrodestra. Ma direi
che a sinistra la ricerca e il dibattito mostrano un impegno e una intensità
maggiori. Una interessantissima testimonianza di ciò è il saggio di due
economisti, Pietro Reichlin e Aldo Rustichini, Pensare la sinistra. Tra equità
e libertà (ed. Laterza), che essi hanno sottoposto a un buon numero di
personalità (economisti, sociologi, giuristi, politologi). Secondo un pensiero
molto diffuso a sinistra, essi dicono, la crisi che l’Italia e altri Paesi
attraversano è il risultato della speculazione, della globalizzazione
finanziaria e di un mercato libero da ogni vincolo. Essendo queste le cause, i
rimedi sarebbero la crescita della spesa pubblica e una maggiore presenza dello
Stato nell’economia. Ma, dicono gli autori, nel caso dell’Italia gridare contro
la speculazione e la finanza globale significa schivare questioni reali e
parlare d’altro. «I nostri problemi non nascono con la crisi del 2008, ma sono
stati prodotti in un arco di tempo molto più ampio. Un trentennio in cui le
scelte pubbliche hanno sacrificato la crescita economica e l’equità
intergenerazionale, provocato una lievitazione incontrastata della pressione
fiscale e prodotto una crisi del patto sociale». Ci piacerebbe, incalzano gli
autori, che la sinistra riconoscesse queste premesse e tornasse a discutere
come migliorare le politiche e le istituzioni pubbliche, in nome della
giustizia sociale sì, ma anche dell’efficienza. Ma per fare ciò la sinistra dovrebbe
assumere «un volto moderno che, noi crediamo, non è ancora riuscita ad avere»;
dovrebbe «trovare il modo di parlare alle nuove generazioni e all’insieme della
società presentandosi come agente di cambiamento e non di conservazione». In
particolare, la sinistra dovrebbe affrontare di petto alcuni nodi di grande
rilevanza. C’è in primo luogo l’enorme problema del lavoro. Qui bisogna cercare
di eliminare il dualismo del nostro mercato del lavoro e fare in modo che i
giovani (oltre che le donne e gli immigrati) abbiano un trattamento migliore,
cioè salari più elevati e più contratti a tempo indeterminato. Ma questo
risultato può essere ottenuto solo riducendo i costi di licenziamento e
allineando i salari alla produttività. La recente riforma del mercato del
lavoro in tema di licenziamenti, varata dal governo Monti, è solo un primo
tentativo in questa direzione. Ma è evidente, dicono gli autori, che bisogna
fare di più (e rinviano al disegno di legge del senatore Ichino).
Un altro fronte sul quale la sinistra dovrebbe realizzare un
ripensamento radicale è quello del nostro Mezzogiorno. «Ha senso, ad esempio,
che le organizzazioni sindacali nazionali si sforzino di imporre condizioni
contrattuali uniformi su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalle
condizioni economiche regionali, come la produttività, le infrastrutture e il
costo della vita?» No, non ha senso. Del resto la contrattazione collettiva
nazionale ha perso terreno rispetto alla contrattazione a livello aziendale
quasi ovunque, anche nei Paesi a tradizione socialdemocratica, come la Germania
e la Svezia.
Un altro grande problema da ripensare è quello
dell’istruzione. Si sente spesso affermare che l’istruzione deve essere
gratuita per consentire anche ai figli dei poveri di andare a scuola o
all’Università. Ma l’obiettivo dell’equità può essere raggiunto in tanti modi
diversi, e, probabilmente, lo strumento della scuola gratuita per tutti non è
quello più efficace. Nel caso della nostra istruzione universitaria, con tasse
uguali per tutti facciamo un grande regalo alle famiglie benestanti, e mettiamo
in difficoltà le famiglie povere (fino a escluderle completamente
dall’educazione terziaria). Sarebbe molto più equo aumentare il costo
d’iscrizione all’Università e, nello stesso tempo, creare un ampio sistema di
borse di studio, di «prestiti d’onore» ecc. per gli studenti economicamente
svantaggiati.
Queste alcune delle argomentazioni di Reichlin e Rustichini.
Come hanno reagito i loro interlocutori? Alcuni con vivo interesse (Michele
Salvati, Claudia Mancina ecc.), altri assai negativamente. Così Salvatore
Biasco dichiara che la discussione avviata dai due economisti, è «del tutto
estranea alla sinistra»; Stefano Fassina rifiuta con forza l’idea che l’unica
ideologia possibile per una sinistra dinamica e innovativa sia quella
liberista; Piero Bevilacqua afferma che la critica di Reichlin e Rustichini
alla sinistra «è un distillato ideologico del neoliberismo», e come tale da
respingere fermamente. Anche in questo confronto appare evidente che nella
cultura della sinistra ci sono (nettamente distinte, anzi contrapposte) due
anime.
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