martedì 30 ottobre 2012

EPPURA C'E' UNA SINISTRA ANCORA PEGGIORE



Alcuni miei amici di FB e del  Tea Party italiano, in particolare Giacomo Zucco e anche Mauro Gargaglione, hanno , con toni diversi, sottolineato come il Tremontismo e il Montismo ci abbiano ormai vaccinato all'eventualità , non remota, di un governo di sinistra. Della serie : peggio di così ? Giacomo Zucco ricorda, con ragione, che la sinistra è molto più efficace quando è opposizione, e mobilita i suoi in continui veti tribunizi che impediscono, di fatto, qualunque riforma VERA. Quando governano, sono meno "efficienti", perché distruggere si sa, è più semplice che costruire. Oltretutto le loro costruzioni facilmente si scontreranno con una realtà economica che continua ad essere aliena ai loro sogni....Parlo di quelli della sinistra più radicale e pura, che ormai si è rifatta una solida posizione nel PD, dove vedo prevalere la fazione dei giovani turchi, che possono contare sull'alleanza con CGIL e FIOM, e sul complesso antico di non avere mai nemici che stiano ancora più a sinistra. Ora, che il mondo descritto da Camusso, Landini, Fassina o Vendola sia fattibile, io non lo credo. E siccome lo Stato sociale onnipresente, gratuito per tutti, deve trovare immense risorse per pagarsi, non vedo dove questi signori le possano trovare. Si ok, la patrimoniale, la caccia agli evasori...Non bastano. Gliene servono di più. E dove le trovano ?
Detto questo, è comunque preoccupante leggere l'articolo di Bedeschi sul Corriere dove l'opinionista riporta il contenuto di un libro edito da La Terza " Pensare la sinistra. Tra equità e libertà ", di Pietro Reichlin e Aldo Rustichini, e le reazioni allo stesso.  Si tratta di due autori chiaramente di sinistra, che solo osando parlare di efficienza, di merito nel campo dell'istruzione, di riforma del lavoro moderna, si meritano l'etichetta biasimante di "neo liberisti" da parte dei soliti noti (Fassina, Bevilacqua, gente così).
Ora, cari Giacomo e Mauro, voi avete ragione, ma la paura irrazionale di un giovane turco al ministero dell'economia io devo confessarvi CE L'HO.
Buona Lettura


La grave crisi che ha investito gli Stati Uniti e l’Europa ha sollecitato gli economisti a riflettere sui meccanismi dello sviluppo economico quale si è realizzato negli ultimi decenni, a rivedere convincimenti che sembravano ormai assodati, a rimettere in discussione teoremi che apparivano acquisiti una volta per tutte. Questo ripensamento ha luogo sia nello schieramento di centrosinistra che in quello di centrodestra. Ma direi che a sinistra la ricerca e il dibattito mostrano un impegno e una intensità maggiori. Una interessantissima testimonianza di ciò è il saggio di due economisti, Pietro Reichlin e Aldo Rustichini, Pensare la sinistra. Tra equità e libertà (ed. Laterza), che essi hanno sottoposto a un buon numero di personalità (economisti, sociologi, giuristi, politologi). Secondo un pensiero molto diffuso a sinistra, essi dicono, la crisi che l’Italia e altri Paesi attraversano è il risultato della speculazione, della globalizzazione finanziaria e di un mercato libero da ogni vincolo. Essendo queste le cause, i rimedi sarebbero la crescita della spesa pubblica e una maggiore presenza dello Stato nell’economia. Ma, dicono gli autori, nel caso dell’Italia gridare contro la speculazione e la finanza globale significa schivare questioni reali e parlare d’altro. «I nostri problemi non nascono con la crisi del 2008, ma sono stati prodotti in un arco di tempo molto più ampio. Un trentennio in cui le scelte pubbliche hanno sacrificato la crescita economica e l’equità intergenerazionale, provocato una lievitazione incontrastata della pressione fiscale e prodotto una crisi del patto sociale». Ci piacerebbe, incalzano gli autori, che la sinistra riconoscesse queste premesse e tornasse a discutere come migliorare le politiche e le istituzioni pubbliche, in nome della giustizia sociale sì, ma anche dell’efficienza. Ma per fare ciò la sinistra dovrebbe assumere «un volto moderno che, noi crediamo, non è ancora riuscita ad avere»; dovrebbe «trovare il modo di parlare alle nuove generazioni e all’insieme della società presentandosi come agente di cambiamento e non di conservazione». In particolare, la sinistra dovrebbe affrontare di petto alcuni nodi di grande rilevanza. C’è in primo luogo l’enorme problema del lavoro. Qui bisogna cercare di eliminare il dualismo del nostro mercato del lavoro e fare in modo che i giovani (oltre che le donne e gli immigrati) abbiano un trattamento migliore, cioè salari più elevati e più contratti a tempo indeterminato. Ma questo risultato può essere ottenuto solo riducendo i costi di licenziamento e allineando i salari alla produttività. La recente riforma del mercato del lavoro in tema di licenziamenti, varata dal governo Monti, è solo un primo tentativo in questa direzione. Ma è evidente, dicono gli autori, che bisogna fare di più (e rinviano al disegno di legge del senatore Ichino).
Un altro fronte sul quale la sinistra dovrebbe realizzare un ripensamento radicale è quello del nostro Mezzogiorno. «Ha senso, ad esempio, che le organizzazioni sindacali nazionali si sforzino di imporre condizioni contrattuali uniformi su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalle condizioni economiche regionali, come la produttività, le infrastrutture e il costo della vita?» No, non ha senso. Del resto la contrattazione collettiva nazionale ha perso terreno rispetto alla contrattazione a livello aziendale quasi ovunque, anche nei Paesi a tradizione socialdemocratica, come la Germania e la Svezia.
Un altro grande problema da ripensare è quello dell’istruzione. Si sente spesso affermare che l’istruzione deve essere gratuita per consentire anche ai figli dei poveri di andare a scuola o all’Università. Ma l’obiettivo dell’equità può essere raggiunto in tanti modi diversi, e, probabilmente, lo strumento della scuola gratuita per tutti non è quello più efficace. Nel caso della nostra istruzione universitaria, con tasse uguali per tutti facciamo un grande regalo alle famiglie benestanti, e mettiamo in difficoltà le famiglie povere (fino a escluderle completamente dall’educazione terziaria). Sarebbe molto più equo aumentare il costo d’iscrizione all’Università e, nello stesso tempo, creare un ampio sistema di borse di studio, di «prestiti d’onore» ecc. per gli studenti economicamente svantaggiati.
Queste alcune delle argomentazioni di Reichlin e Rustichini. Come hanno reagito i loro interlocutori? Alcuni con vivo interesse (Michele Salvati, Claudia Mancina ecc.), altri assai negativamente. Così Salvatore Biasco dichiara che la discussione avviata dai due economisti, è «del tutto estranea alla sinistra»; Stefano Fassina rifiuta con forza l’idea che l’unica ideologia possibile per una sinistra dinamica e innovativa sia quella liberista; Piero Bevilacqua afferma che la critica di Reichlin e Rustichini alla sinistra «è un distillato ideologico del neoliberismo», e come tale da respingere fermamente. Anche in questo confronto appare evidente che nella cultura della sinistra ci sono (nettamente distinte, anzi contrapposte) due anime.

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