Ilvo Diamanti è uno dei collaboratori di Repubblica che rimpiango non acquistando più il giornale di Largo Focherini. Uno di quei liberali di sinistra, come Ricolfi, come il compianto Berselli, che era bello leggere e scoprire di essere d'accordo anche avendo posizioni di partenza diverse. La famosa onestà intellettuale. Ora, grazie al Blog di Giovanni Taurasi, Quinto Stato, a cui mi sono iscritto (fatto molto bene ), ho una buona selezione di articoli a cui attingere e così non sono stato sorpreso di ritrovarmi oggi proprio il post del bravo ricercatore statistico del mio ex quotidiano.
Diamanti è stato il primo credo a predire che la fine di Berlusconi sarebbe stato un trauma per il sistema politico italiano che si era viziato e impigrito nel sistema incancrenito di PRO e CONTRO. Non serviva partorire un programma, avere un'idea di governo, bastava solo chiamare alle armi le truppe imbelvite.
Ora che il Diavolo non c'è più, ecco che tornare a fare politica seriamente si rivela un problema GRANDE, a cui in pochissimi sembrano essere preparati. Certo NON quelli che sul giochino VIVA e ABBASSO ci hanno campato per ben venti anni !
Ecco quindi la crisi di questa campagna elettorale, dove il primo partito nei sondaggi, non va oltre il 25/26% , e non riesce ad offrire un'idea di coalizione omogenea e coerente (esattamente come in passato), oscillando tra la sinistra di SEL e il centro di Casini. Dall'altra parte, il PDL è prigioniero di Berlusconi. Senza di lui, si sfalderebbe, con lui, forse prenderebbe il 20%, risultato che garantirebbe la sopravvivenza della formazione berlusconiana ma impedirebbe ogni rinnovo nel campo liberal-moderato.
In tutto questo, permane l'anomalia MONTIANA.
Non si candida, però resta a "disposizione"....Se lo vorranno, risponderà "obbedisco!".
E così Casini, Fini (ma che parla a fa Fini ?? l'ha letto quanti "battaglioni" ha il suo "esercito ?? meno di Storace !!! ) , ora anche Montezemolo, si iscrivono al cartello del Monti bis : votateci, e noi , vincendo, vi riporteremo Monti a Palazzo Chigi.
Pensa un po' che figata.....
Comunque Diamanti va letto
“PERCHÉ VOTARE, UN DILEMMA ITALIANO”
VOTARE per scegliere chi governerà. Oppure scegliere chi
governerà indipendentemente dal voto e dal risultato. Questo è il dilemma.
Amplificato dalle recenti dichiarazioni di Monti, che ha confermato
l’intenzione di non candidarsi come premier, alle prossime elezioni. Ma non ha
escluso l’ipotesi di «dare una mano, se fosse richiesto ». Per proseguire
nell’impegno avviato da quasi un anno. Un messaggio raccolto, per primo, da
Montezemolo. Che ha annunciato, infine, la sua “discesa in campo”. A sostegno
di Monti. Con la convinta adesione di Casini e Fini. Che hanno proposto un
“cartello elettorale”. Nel nome del Professore. Al quale, però, interessa
presentarsi e agire – come premier al di sopra delle parti e dei partiti.
Dunque, al di sopra e al di fuori della competizione
elettorale.
Investito dalla volontà di un’ampia maggioranza del
Parlamento. L’idea, d’altronde, non piace neppure ai leader dei partiti
maggiori, Pd e Pdl. Per non ridursi a svolgere un ruolo gregario. Non è, quindi,
detto che la “disponibilità” annunciata da Monti si traduca in decisione. Ma il
fatto stesso che l’ipotesi oggi appaia verosimile è significativo. D’altronde,
l’unico leader di cui gli elettori si fidino veramente è lui. Monti. Il cui
consenso personale è di nuovo in crescita, nelle ultime settimane. Come il
sostegno al governo. In entrambi i casi, superiori alla metà dell’elettorato
(dati Ipsos). Gli elettori, dunque, vogliono un governo espresso dalla
maggioranza che emergerà alle prossime elezioni. Basta che a guidarlo sia
Monti.
Il dilemma della democrazia rappresentativa, in Italia, è
tutto qui. Se il voto “non serve” a scegliere chi governa, attraverso i
rappresentanti eletti, a che “serve” votare? E com’è possibile, in queste
condizioni, parlare ancora di democrazia rappresentativa?
Questo dilemma, però, non è poi tanto paradossale – e
neppure inedito. Almeno in Italia. Secondo alcuni osservatori, sarebbe alla
base della nostra “anomalia”.
In fondo, per quasi cinquant’anni il sistema politico italiano
è apparso “bloccato”. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, la frattura
geopolitica internazionale ha impedito una vera alternativa, per la presenza,
in Italia, del più importante partito comunista occidentale. Si è così
affermato un “bipartitismo imperfetto”, per citare Giorgio Galli. Dove la
competizione elettorale, indipendentemente dal risultato, proponeva un esito
comunque scontato. Perché, comunque la Dc avrebbe governato, da sola o in
coalizione. Mentre il Pci avrebbe guidato l’opposizione. Lo stesso Pci ne era
consapevole. Complice. Coinvolto in un sistema consensuale e consociativo. Dove
aveva influenza in tutte le principali scelte. Questa “anomalia” è proseguita,
non a caso, fino al crollo del muro di Berlino e della Prima Repubblica. Ma,
per quasi cinquant’anni, gli italiani hanno votato pur sapendo che gli
equilibri di governo, nonostante i cambiamenti elettorali, peraltro notevoli,
non sarebbero mutati in modo sostanziale. Il Capo del governo lo decidevano la
Dc, i suoi capicorrente e i suoi alleati. In base ai rapporti di forza interni
ai partiti. Che cambiavano spesso, nel corso della legislatura. Senza
possibilità, per i cittadini, di reagire e intervenire. Eppure, gli italiani,
nonostante tutto, continuarono a votare. In grande numero. Alle politiche: tra
il 90% e l’80% degli aventi diritto, fino ad oggi. Un tasso di partecipazione
elettorale tra i più alti, nelle democrazie occidentali.
Anche se la fiducia nei partiti non è mai stata troppo alta.
Neppure in passato. In Italia, però, si votava egualmente. Pro o contro i
comunisti. Pro o contro la Dc e, sullo sfondo, la Chiesa. Per fedeltà. Per
fede. Ma anche per sentirsi parte. Per partecipare.
Nella Seconda Repubblica questo modello è cambiato
profondamente. Ma non del tutto. Sono crollati i sistemi comunisti, ma in
Italia il comunismo, meglio ancora: l’anticomunismo non è mai morto. Evocato e
tenuto vivo, per primo, da Berlusconi. Che in questo modo ha cristallizzato il
passato a proprio favore. Così gli elettori hanno ripreso a schierarsi. A
dividersi come prima. Fra anticomunisti e antiberlusconiani. La novità, semmai,
è la personalizzazione. I partiti riassunti nei loro leader e viceversa. Le
elezioni trasformate in referendum. Pro o contro Berlusconi. Così il Paese si è
presidenzializzato in fretta. Senza riforme istituzionali e costituzionali. Di
fatto. Gli italiani: si sono abituati ad affidarsi a un premier espresso dai
partiti. O meglio: a leader, di cui i partiti apparivano e appaiono una
protesi. Gli elettori: indotti a votare per parlamentari nominati dai partiti e
dai loro leader. Fino alla deriva a cui assistiamo oggi. Che ha travolto la
credibilità dei partiti. Non qualcuno in particolare. Tutti. I Partiti,
nell’insieme. Nessuno dei quali appare credibile. Legittimato a esprimere il
Capo (del governo).
Così oggi gli italiani, in maggioranza, tendono a tener
separata la partecipazione elettorale dalla scelta del premier. Anzi, pongono i
due processi quasi in contrasto. Vogliono votare. E pretendono che il governo
venga espresso dalla maggioranza uscita da voto. Ma al governo, vogliono il
Tecnico. Monti. Perché non viene dai partiti. Di cui diffidano. Come nella
Prima Repubblica, si ripropone il distacco fra voto e rappresentanza. È
l’anomalia italiana che si rinnova. Ieri come oggi. In nome del vincolo
internazionale. Ieri: per ragioni ideologiche e geopolitiche. Oggi: per ragioni
economiche e monetarie. Ieri: in nome dell’anticomunismo; oggi: dello spread.
Con una differenza significativa: non ci sono più la “fede” ideologica o
religiosa a mobilitare gli elettori. Pro o contro i partiti.
Per questo, dubito che la dissociazione fra i principi della
democrazia rappresentativa – partecipazione e governo – possa riprodursi a
lungo, senza conseguenze serie, dal punto di vista politico e istituzionale.
Lo suggerisce il successo del M5S. Un soggetto che raccoglie
il sentimento “antipartitico” e sostiene, in alternativa all’attuale sistema,
la democrazia diretta – attraverso rete.
Lo sottolinea, ancora, il dilatarsi dell’area degli indecisi.
Ormai prossima al 50%. Più che per incertezza: per disaffezione verso i
“canali” della rappresentanza democratica.
Da ciò il dubbio. Che la dissociazione fra partecipazione –
elettorale – e governo dissolva i partiti. Releghi la Politica “in un cerchio
chiuso in se stesso”, come ha osservato Edmondo Berselli. Perché, in questo
caso, “la democrazia si incarta, come in una partita malriuscita: funziona
peggio. Rischia il grippaggio”. E Monti, premier al di sopra delle parti e del
verdetto elettorale, si troverebbe a governare da solo in mezzo a tutti. Solo
contro tutti.
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