Tutti guardano il centro. Perché "è al centro che si vince" , visto che poi la maggior parte della gente che vota non ha idee radicali e quindi posizioni meno nette e più compromissorie possono trovare più appeal. Perché in Italia un vero bipolarismo non c'è mai stato, da un punto di vista politico, e la divisione tra Sinistra e DC era più data dalla differenza di politica estera, di schieramento internazionale (parliamo degli anni della neo repubblica e fino a quelli 70 ) che non da idee sideralmente diverse, tanto che ben presto in Italia si affermò prima il centro sinistra, con l'ingresso del PSI al governo, e poi il consociativismo allargato al PCI. La Costituzione Italiana ha molti più tratti di compromesso cattolico-comunista , che non quelli propri di una democrazia occidentale liberale. Il collante della DC, che andava dalla destra conservatrice e mangia rossi, alla sinistra di Donat Cattin , con la maggioranza rigorosamente "dorotea" , e quindi il CENTRO del CENTRO, era l'anti comunismo. Nel 1989, la caduta del Muro e da lì a poco dell'URSS, fece venire meno la ragione sociale più importante della Democrazia Cristiana. La balena bianca ferita, sarebbe stata facilmente preda dei gendarmi di Mani Pulite, e del maggioritario imposto a furor di popolo dai referendum di Segni e dei Radicali . L'accantonamento del proporzionale puro, che era stato il trionfo del trasformismo, dei governi che non arrivano quasi mai al biennio, al veto tribunizio del PCI, fu un'altra micidiale picconata al sistema democristiano. Da allora, e per 20 anni, il centro è sempre stato invocato dai nostalgici e da quelli che nelle decisioni nette, nelle alleanze chiare ante elezione, proprio ci soffrivano a starci.
E infatti Casini, appena ha potuto, è tornato a fare quello che gli piace di più, da vero democristiano : stare al centro, buttandosi un po' di qua un po' di là a secondo dove gli sembri maggiore la convenienza. Lui contesta questa accusa obiettando come nel 2008, andando da solo, sapeva di destinarsi all'opposizione, e nel 2010, all'uscita di Fini dal PDL, di aver resistito alle numerose offerte di Berlusconi per tornare nel centro destra. Posizioni ideali o calcolo politico ? Strategia o Tattica ? In questo, e in pochissime altre cose, sono d'accordo con Bersani : Casini è uno che di Tattica ci morirà. Adesso che il centro sembra poter essere rappresentato dal Professore amato dalle Cancellerie europee, Mario Monti, pare aver ripreso forza l'idea di un'alternativa forte alla destra e alla sinistra. E' così ? Mah, io qualche dubbio lo conservo. Che Monti, o che le liste che si presenteranno all'insegna del Monti bis, dell'Agenda del Premier, con l'intento di prendere voti da offrire poi all'attuale premier per un reincarico, possano vincere le elezioni io ne dubito. Che Italia Futura, UDC, FLI, API, che sono i "montiani" , da soli - e poi sommando i propri voti - o insieme possano raggiungere il 30-33% di cui è accreditato il duo PD-SEL non mi pare verosimile, visto che quelli del PDL si presenteranno da soli e non all'insegna del Montismo. I Sondaggi danno una coalizione di forze del genere non oltre il 15%. Come il Pdl e meno di Grillo....Certo, se il Porcellum viene conservato, magari il pensiero che la sinistra, col 30% dei voti finisca per prendersi, alla Camera, il 55% dei seggi potrebbe portare a nuovi scenari. Ma al di là del discorso elettorale, pure importante, e delle alleanze ad esso legate, resta fondamentale capire cosa questo CENTRO si proporrebbe di fare. E qui casca l'asino. Il PDL ripropone le vecchie ricette di Forza Italia. La gente non gli crederà, visto com'è andata in passato, però quelle sono : Meno Stato, meno Tasse, spesa da destinare alla ripresa economica. Lo dicono anche quelli di FiD, che però hanno pochi voti, anche se tanta simpatia e sarebbero molto più attendibili. La Sinistra a sua volta alcune cose le ha dette chiare : patrimoniale a go go, una, sicura, ma anche di più.; lotta all'evasione fiscale, un ever green. ; e con le risorse così reperite, più che sistemare i conti, pensare all'occupazione. Queste le cose principali.Fattibile, positivo ? Per me no, ma questo è, in estrema sintesi.
Il Centro ? Proseguire il "risanamento", si va bene, come ? Riforme istituzionali . Bravi, quali ?
Il problema della Politica e della Società prossime venture è dato dalla minore disponibilità di risorse. Avremo meno mezzi a disposizione, sia perché saremo meno ricchi (per via della concorrenza di altri) sia perché potremo indebitarci meno (ci sarà meno gente con voglia di prestarci denaro e a condizioni buone).
Sarà pertanto necessario scegliere cosa favorire, cosa penalizzare, perché non ci sarà più spazio per TUTTO, ancorché in modo inefficiente , caratteristica del nostro welfare rispetto a quello altrui.
Scelte difficili. A cui non siamo né portati, né abituati.
Della vaghezza del centro fa un ritratto asciutto ed efficace il bravissimo Luca Ricolfi, sulla Stampa.
Buona Lettura
“Un centro e troppe
anime”
Sì, pare proprio che il centro stia tornando ad essere di
moda, come lo era stato per quasi mezzo secolo, ai tempi in cui governava la
Dc. Allora votare centro significava soprattutto una cosa: tenere i fascisti e
i comunisti lontani dalle stanze del potere. Ma bastarono 5 anni per disfarne
quasi 50. Fra il 1989 e il 1994 tutto cambiò, nel mondo e in Italia. Nel 1989
cadde il muro di Berlino, e la paura del comunismo si sciolse come neve al
sole. Il resto, in Italia, lo fecero Mario Segni con i referendum sulla legge
elettorale e Di Pietro con l’inchiesta Mani pulite. In un pugno di anni, fra il
1991 e il 1994, democristiani e socialisti furono affondati per sempre. Al loro
posto si fecero avanti i reietti di ieri, fascisti e comunisti, che per rendersi
accettabili provvidero lestamente a riverniciare le loro insegne, cambiando
nome, modernizzando programmi, stabilendo alleanze con il nuovo o presunto
nuovo che stava avanzando, dalla Lega alla Rete, da Forza Italia al Patto
Segni.
È così che è nato il bipolarismo all’italiana, e il centro è
stato emarginato dalla scena politica.
Oggi che quel bipolarismo appare fallito, si ritorna a
parlare di centro. Della necessità di ricostituire qualcosa che non sia né di
destra né di sinistra. Lo fanno un po’ tutti. I centristi di sempre, alla
Casini. I centristi dell’ultima ora, tipo Fini e Rutelli. I sostenitori di un
Monti-bis, che ultimamente spuntano come funghi. I riformisti duri e puri,
delusi dal riformismo zoppo di destra e sinistra.
Ma che cosa è il centro oggi?
E’ questa, a mio parere, la domanda che non ha ancora
ricevuto una risposta completa e chiara. Non dico che non abbia ricevuto
nessuna risposta, perché alcuni valori dei centristi sono nitidamente
riconoscibili: competenza, serietà, rispetto per le istituzioni, coesione
sociale, volontà di ricostruire. Non è poco, ma solo perché ne abbiamo davvero
tanto bisogno dopo esserne stati così tanto privati negli ultimi vent’anni, da
tutti i governi della seconda Repubblica. Ma un minimo comun denominatore non
fa ancora un programma politico. E anzi, il fatto che sia questo il nucleo, il
nocciolo condiviso che unisce i centristi, è un segno di debolezza politica,
una conferma – e non un superamento – dello stato di eccezione dell’Italia:
solo in un paese in cui manca una vera offerta politica si può pensare che quel
minimo comune denominatore di nobili principi sia già un programma, o che basti
parlare di «agenda Monti» e di Monti-bis per persuadere gli elettori di
possederne uno.
Perché quello del centro riuscisse a diventare un vero
programma politico occorrerebbe che i suoi leader completassero la risposta. Va
bene il minimo comune denominatore, ma il cuore di un programma politico sono
le scelte difficili, le scelte tragiche, come già trent’anni fa ebbero a
chiamarle Guido Calabresi e Philip Bobbitt in un celebre libro – Tragic choices
– dedicato a «i conflitti che la società deve affrontare nella allocazione di
risorse tragicamente scarse». In un’era di risorse decrescenti il punto non è
chi vogliamo sostenere, ma è a spese di chi vogliamo farlo. Qui quasi tutti i
protagonisti della competizione al centro sono reticenti, evasivi, o dimentichi
della propria storia.
Il centro che già c’è, quello dell’Udc di Casini, è stato –
almeno in passato – una colonna portante del «partito della spesa pubblica», ha
le sue radici elettorali soprattutto in Sicilia e nel resto del Mezzogiorno,
possiede una lunga storia di clientele e guai giudiziari. Con il suo leader
Pier Ferdinando Casini ha difeso fino all’ultimo un politico come Totò Cuffaro,
ora in carcere con una condanna definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa
Nostra. Prima di ascoltare ogni sorta di lodevoli intenzioni per il futuro, ci
piacerebbe ascoltare dall’Udc due parole chiare sul proprio passato, e magari
sentir pronunciare – oltre al consueto omaggio a Monti – quelle scuse agli
elettori che Casini aveva preannunciato in caso di condanna di Cuffaro
(Annozero, 31 marzo 2008).
Il centro che ancora non c’è, quello che sta prendendo forma
in questi mesi sotto le insegne più varie (cattolici di Todi, Italia Futura,
Fermare il declino) è una creatura strana. Per alcuni dei suoi protagonisti la
stella polare è il sostegno alle famiglie, per altri sono gli sgravi ai
produttori. Due obiettivi che è facile conciliare in un bel discorso, ma che si
mettono immediatamente a stridere appena si tratta di decidere la destinazione
di qualche miliardo di euro. Ridurre l’Irpef o ridurre l’Irap? Alleggerire le
tasse alle famiglie in cui la madre non lavora (il cosiddetto quoziente
familiare), o aiutare quella medesima madre a trovar lavoro, riducendo il cuneo
fiscale sul lavoro femminile? Usare i soldi di tutti i contribuenti per salvare
le amministrazioni in default (ormai diffuse anche al centro-nord), o
costringerle a salvarsi da sé, vendendo patrimonio pubblico e tassando i propri
cittadini?
Sono solo esempi, ma si potrebbero moltiplicare. Su tutte
queste cose il centro tace. E quando prova a rispondere non risponde alla
domanda giusta, perché è affetto da «ma-anchismo», il tic per cui prendevamo in
giro Veltroni qualche anno fa, ogni volta che proclamava di volere una cosa «ma
anche» un’altra, diversa e spesso contraria. Il problema è che, arrivati al
punto in cui siamo, le risorse sono così scarse, e lo resteranno così a lungo,
che non è più assolutamente possibile sottrarsi alle domande fondamentali. Non
possono sottrarsi il Pd di Bersani e il Pdl di Alfano, ma ancor meno possono
farlo i leader del centro. E questo per una ragione molto semplice: quello che
destra e sinistra potrebbero fare è prevedibile sulla base del passato, e
spesso è stato la medesima cosa, ovvero più deficit e più spesa pubblica
politicamente redditizia. Mentre quel che potrebbero fare le forze politiche di
centro non solo è meno facilmente prevedibile, ma è diversissimo a seconda di
chi stiamo parlando. Se per centro intendiamo quelle formazioni che rifiutano
sia il (presunto) populismo anti-politico di Grillo, sia le politiche della
destra e della sinistra, non possiamo non notare che – dentro quello che oggi è
il calderone del centro – convivono visioni opposte, molto più polarizzate di
quanto lo siano quelle della destra e della sinistra. A un estremo il
moderatismo cattolico, tradizionalmente attratto dalle politiche di sostegno
del reddito delle famiglie, all’altro estremo il radicalismo riformista e
liberale, che ritiene di poter far dimagrire lo Stato di molti chili (punti di
Pil) e in pochi anni. Provate, per credere, a organizzare un dibattito pubblico
serio, con domande scomode, fra Pier Ferdinando Casini e un qualsiasi
rappresentante dell’Istituto Bruno Leoni, la cittadella dei liberali oscillante
fra Italia Futura (Montezemolo) e Fermare il declino (Oscar Giannino). E
vedrete che è più facile mettere d’accordo un Pier Luigi Bersani e un Angelino
Alfano che un vero cattolico e un vero liberale.
Il Centro.??? Sarebbe come è stato. Un potere consolidato nel tempo con l'aiuto della destra o della sinistra.!!!
RispondiEliminaChe DIO ce la mandi buona e senza "tramontana".!!!