Purtroppo in un conflitto che dura da più di 100 anni, le vittime da ambo le parti sono talmente tante che non è semplice parlare di compromessi sia pure in nome del bene supremo di una pace VERA.
Oltre al rancore e al desiderio di vendetta, c'è la diffidenza, specie da parte di Israele, stato piccolo e circondato da sempre da paesi ostili che hanno come obiettivo la sua distruzione.
Mentre sta scadendo il tempo per l'atomica iraniana, al confine di Israele si riaffaccia un nuovo potenziale nemico, l'Egitto, che invece, sotto Mubarak in particolare, era stato il paese arabo più pacifico con lo stato ebraico (insieme forse alla Giordania) . In un contesto così poco fausto, i missili da Gaza s'infittiscono , fino ad arrivare a Tel Aviv. La risposta non è mai mancata e si può stare certi che Israele reagirà con forza, come ha sempre fatto, fino alla rioccupazione di Gaza, almeno per il tempo necessario a far cessare l'offensiva di Hamas, che a sua volta spera che, coi Fratelli Musulmani in Egitto e l'Iran sullo sfondo che conferma la sua più assoluta ostilità allo stato ebraico, di poter riscatenare una guerra contro il nemico mortale di sempre, fino al suo annientamento. Perché, ricordiamolo, Hamas non vuole nessuna pace. .
Quando la parola passa alle armi, io sto con Israele.Si possono fare mille distinguo, provare a capire le ragioni di tutti per verificare gli spazi di un compromesso, ma se qualcuno mi spara, io mi difendo.
Bello, molto, l'articolo sulla Stampa di Elena Loewenthal.
Da leggere. E poi immaginare. .
“La banalità del
terrore. Vivere sotto le bombe che cadono ogni giorno”
Più o meno è così. Da oltre il confine, potrebbe essere il
Colle del Monginevro o la lacustre Chiasso o Mentone in riviera, sparano dei
razzi. Quattro, cinque, anche più al giorno. I razzi hanno una gittata
limitata. Forse. Arrivano a Chiomonte, Bussoleno. Oppure a Como, a Monza.
Danneggiano case e lungomare di Ventimiglia, si vedono distintamente da
Imperia. Qualcuno punta più in là, arriva fino all’hinterland milanese. Oppure
Susa, dove la valle si apre verso la Pianura Padana, le città. O Savona,
Sanremo. Lo stillicidio, che a volte ha proprio l’aspetto di un bombardamento,
va avanti per mesi. Di fatto, con qualche interruzione, per anni e anni. I
missili fanno ormai parte di una quotidianità sbalestrata per tutti gli
abitanti della Valle di Susa, per la popolosa Brianza. Ovviamente il turismo è
scomparso da quel tratto di Liguria dove i fuochi d’artificio sono all’ordine
del giorno. Ma l’abitudine non significa rassegnazione, significa piuttosto una
rabbia e una paura costanti. La convinzione che non si può andare avanti così.
Nel Sud d’Israele questa è la vita. Né più né meno. Beer
Sheva, Ofakim, Sderot, Ashkelon e tanti altri luoghi popolosi, kibbutz,
cittadine vivono così da anni. Negli ultimi due mesi i lanci di missili da Gaza
si sono intensificati: ne sono arrivati a centinaia, in continuazione.
Guardando a quello che succede ora non ci si può esimere dal provare a mettersi
in questi panni, a cercare di capire come si vive.
E non si tratta di coloni
agguerriti: i missili di Gaza, che gli israeliani hanno sgomberato da anni
ritirandosi da quella porzione di Territori Occupati, colpiscono una porzione
di Israele che rientra nei confini del 1948.
Abitata da gente «normale»,
proprio come noi. In Israele la prendono così. Anche con le battute di spirito
(amare). Come questa: quando da queste parti si sente l’ululato di una sirena,
non state a guardarvi alle spalle per vedere da dove arriva l’ambulanza.
Correte a gambe levate verso il rifugio, piuttosto, perché altrimenti
dell’ambulanza dovreste aver bisogno voi entro pochi minuti. In questo piccolo
paese – tutto Israele equivale più o meno alla Lombardia – con il più alto
tasso di luoghi sacri e start up del mondo, ogni stabile, grande o piccolo che
sia, deve infatti per legge avere il suo rifugio antimissili. Le norme
prevedono che contenga kit di sussistenza e pronto soccorso adeguati. Nei tempi
relativamente tranquilli viene adibito a deposito, anche se non si dovrebbe. Ma
è sempre lì, il rifugio: bene indicato per non perdere tempo a cercarlo,
correndo quando la sirena suona.
Nel Sud d’Israele la strada per il rifugio di casa la
conoscono tutti a memoria, perché ormai da mesi le sirene suonano in
continuazione. Le scuole aprono a singhiozzo, a dire il vero sono più chiuse
che aperte. Il fatto che sino a ieri non ci fossero state vittime non dipende
dalla volontà di chi manda quei razzi. Non partono da Gaza per fare il
solletico, movimentare il cielo mediorientale. E nemmeno soltanto per
intimidire. Fosse per loro e chi li manda, quei razzi ucciderebbero più civili
possibile. I civili israeliani questo lo sanno bene. Anzi, se lo sentono
addosso. Il fatto che uccidano di rado dipende dal sistema di avvistamento,
dalle sirene, dai rifugi, dalla loro gittata limitata, ma sempre più lunga e
minacciosa, grazie ai tunnel attraverso i quali le armi arrivano
clandestinamente a Gaza.
Quando suona la sirena si molla tutto e si corre. Qualcuno
magari si è stufato e resta dov’è, a suo rischio e pericolo. Da dentro i rifugi
non sai che cosa sta succedendo. Cessato l’allarme, esci fuori e chissà che
cosa trovi. Sotto la luce del sole o nel buio della notte per prima cosa ti
guardi intorno, per cercare la nuvola di fumo. Il missile, infatti, casca a
terra, devasta in modi diversi ma produce sempre un nuvolone di fumo scuro e lento
che sale. Lo cerchi, e capisci subito quanto lontano – o vicino – è caduto da
te. Il che può anche significare che è finito dentro casa tua e te l’ha
sfasciata. Capita spesso. E speriamo che la vecchietta del terzo piano fosse
andata a trovare sua figlia a Gerusalemme, perché nel rifugio non c’era e se è
rimasta a casa, povera lei. E neanche oggi, neanche domani si può pensare a una
vita normale, di banali spostamenti da un quartiere all’altro della città per
fare la spesa, andare in posta, dal dottore.
Oggi si parla di venti di guerra, ci si spaventa davanti
alle due parole «raid israeliano», si contemplano bocche spalancate nel terrore
e si piangono i morti: perché Israele si complica così la vita? Perché si
accanisce sui palestinesi? Ah certo, è iniziata la campagna elettorale nel
Paese… Reazioni e giudizi più che leciti. A patto, però, di provare a mettersi
nei panni di chi vive nel Sud d’Israele, territorio non conteso della causa
palestinese, e immaginare come ti sentiresti se la stessa «normalità» ti
toccasse a Como, Bordighera, Ivrea e tanti altri posti sotto il tiro di un
fuoco nemico e non sai il perché.
DOMENICO BATTISTA
RispondiEliminaBravo Camerlengo e bellissimo l'articolo della Stampa