Era da tempo che non postavo un articolo di Alessandro Fugnoli, un economista che ho detto più volte di apprezzare per il suo approccio fantasioso e divulgativo di temi economici.
Ha solo un difetto, a mio avviso : un po' prolisso. Considerato che non tratta argomenti propriamente ameni, scorrevoli, per quanto lui cerchi di ravvivarli con metafore e battute argute, la gente si stanca.
Ne sono consapevole. Però questo articolo mi è particolarmente piaciuto, per il suo realismo e anche per la sottesa ironia nei confronti del catastrofismo più spesso dominante nell'editoria odierna e al vezzo di vaticini che durano a volte poche settimane.
Per cui vi esorto ad armarvi di un pizzico di tenacia e di leggere fino in fondo.
Secondo me vale decisamente la pena !
QUANTO DURERA' IL BIG CRUNCH DEGLI SPREAD ?
In un sogno Freud incontra Irma a casa di
amici. Irma ha mal di gola e Freud la porta vicino alla finestra per visitarla.
La gola gli appare come un antro insolitamente alieno e inquietante. Lacan
dedicherà un celebre seminario alla gola di Irma, carne primordiale che si apre
e si chiude in un pulsare ritmico che è l’essenza della sostanza vivente,
misteriosa e inconoscibile.
L’universo stesso, secondo
alcuni cosmologi, dopo la fase di espansione, il Big Bang, è destinato a
implodere nel Big Crunch, per poi forse tornare a esplodere di nuovo e poi a
contrarsi, in un pulsare senza fine.
La cosmologia monetaria dell’euro, nei suoi
primi otto anni di vita, vide il dominio incontrastato della teoria del Big
Crunch. Il collasso lento ma continuo degli spread fece arrivare il debito
greco a soli 4 punti base di distanza da quello tedesco. La cosmologia
dell’epoca descrisse questo movimento come definitivo e irreversibile
Definitivo non fu. Il Big
Bang che ne seguì nei quattro anni successivi portò all’allargamento
progressivo e sempre più rapido dello spread, che nel caso greco arrivò a
sfiorare i tremila punti. Molti cosmologi di scuola anglosassone dichiararono
definitivo e irreversibile questo movimento centrifugo.
Irreversibile non è stato, nemmeno questa
volta. Da luglio ha preso avvio un nuovo Big Crunch. Tra i cosmologi è iniziata
la gara a chi azzarda l’obiettivo più aggressivo di riduzione dello spread.
L’ottimo Erik Nielsen, che nel buio 2011 ha difeso coraggiosamente la tesi della
solvibilità dell’Italia, ipotizza uno tsunami di liquidità sull’Europa e lo
spread a 150 come destinazione di medio termine. Si coglie del resto nell’aria
la sensazione che il processo di unificazione europeo abbia imboccato
finalmente la dirittura d’arrivo e sia ormai definitivo e irreversibile.
L’Europa, si dice, ha
superato la più dura delle prove possibili, è restata in piedi, ha di fatto
mutualizzato il debito senza ricorrere agli eurobond. Sono bastate le parole di
Draghi e la conferma della Merkel pochi giorni dopo. Il miracolo si è compiuto
e non c’è stato bisogno di estenuanti negoziati, di nuovi trattati o di
rischiosi referendum. A questo punto la strada è spianata.
Perché, allora, fermarsi a
150 punti? Forse perché a dire 100, 50 o 20 si suonerebbe poco credibili?
Sappiamo che la Fed ha
dichiarato di volere tenere i tassi a zero fino al 2015. David Rosenberg, che
in questi anni ha avuto la vista più lunga di tutti sui bond, vede zero fino al
2018. Zero a perdita d’occhio nel tempo, dunque, ma anche nello spazio dei
paesi sviluppati, dall’Europa al Giappone. Una volta che la Germania ha
rinunciato all’eccezionalismo della Bce, la banca centrale di nessun paese
europeo è diventata dalla sera alla mattina la banca centrale di tutti i paesi
europei, garante di ultima istanza del loro debito esattamente come la Fed o la
Banca d’Inghilterra. Il debito garantito, in questo contesto, è destinato ad
attrarre gli spread verso zero in modo irresistibile. È una legge fisica.
A un certo punto ci si
azzufferà, tra italiani e stranieri, per accaparrarsi la carta italiana e
spagnola. I tedeschi saranno gli ultimi a mettersi in fila per comprarla per
una tipica questione di finanza comportamentale. Dopo essere scappati dai Btp a
80 o 70 faranno fatica a riacquistarli a 110. I giapponesi no, loro lo fanno
sempre.
L’allineamento astrale è
quasi perfetto. La Merkel è a un nuovo massimo di consenso personale e il suo
avversario socialdemocratico, dopo lo scandalo dell’aeroporto di Berlino, è su
nuovi minimi. La nuova legge elettorale tedesca, ancora più proporzionale della
precedente, penalizzerà leggermente la Cdu, ma darà in compenso qualche
possibilità in più ai liberali. Se a settembre i liberali non supereranno la
soglia di sbarramento, la Merkel potrà permettersi il lusso di potere scegliere
un altro partner tra i Verdi e la Spd, mettendoli in concorrenza tra loro e
privandoli di ogni forza negoziale.
La Merkel ha da superare solo
le elezioni in Bassa Sassonia e il voto del Bundestag su Cipro. Superati questi
ostacoli, fino a settembre dovrà limitarsi a fare il meno possibile e a
garantirsi tranquillità in Europa.
La Germania ha iniziato da
mesi a chiudere prima uno e poi due occhi sulle violazioni della disciplina di
bilancio in mezza Europa. La Spagna doveva raggiungere nel 2012 il 5 per cento
di disavanzo e alla fine arriverà all’8 e forse al 9, nel totale e assoluto
silenzio di Berlino e Bruxelles. Una cifra simile si prospetta anche per il
2013.
L’Europa è sparita dalle
prime pagine dei giornali americani e giapponesi. Il segretario americano al
Tesoro era solito venire tutti i mesi in Europa per cercare di sistemare le
nostre cose. Ora il successore di Geithner, Lew, dovrà dedicarsi interamente
allo scontro in Congresso con i repubblicani.
Per l’Europa, no news is good
news. Sono ormai mesi che i mercati internazionali l’hanno dimenticata per
dedicarsi all’America e alla sua interminabile rissa fiscale.
I fondamentali importano
sempre meno. In un mondo in cui le banche centrali alzano ogni giorno il
livello della liquidità è fuorviante concentrarsi troppo sull’economia
americana in crescita simbolica o sugli utili di Wall Street che non crescono
più. Allo stesso modo è fuorviante, per un gestore di bond europei,
concentrarsi sul disavanzo spagnolo, sulla recessione italiana o sulla crescita
zero franco-tedesca. La controparte del gestore, infatti, non è più il singolo
paese emittente, ma la Banca centrale europea.
Ma è davvero irreversibile il
Big Crunch sugli spread? Noi, onestamente, non lo sappiamo. Non possiamo
escludere a priori un altro Big Bang.
Il pulsare dell’Europa segue
un suo ritmo. Al restringersi degli spread corrisponde puntualmente un
allentarsi della disciplina di bilancio e un rallentamento del processo di
unificazione. C’è stata Maastricht, poi tutti si sono messi a violarne gli
accordi, poi la Germania ha rimesso tutti in riga e poi adesso c’è un inizio di
movimento verso il rilassamento.
Attenzione, alla fine di ogni
ciclo di rigore-rilassamento l’Europa si ritrova più unita (buono) ma anche con
uno stock di debito più alto (cattivo). La Germania si ritrova così sempre più
incastrata in Europa, ma anche con un conto finale sempre più alto da pagare e
con un possibile desiderio sempre maggiore di puntare i piedi e sferzare gli
altri.
Il fatto è che l’unificazione
europea è sempre più vicina al punto di non ritorno, ma non è ancora a quel
punto. Il potere tedesco è vicino al suo massimo, al di là del quale inizierà
un’inesorabile parabola discendente.
Oggi la Germania è in uno
stato di piacevole torpore. Ha il pieno impiego, che rende tutti tranquilli e
che però porterà a una diminuzione della produttività e della competitività.
L’inflazione è piuttosto alta, ma gli aumenti salariali la rendono
sopportabile. Le imprese avvertono una pressione sui margini, ma la bottom line
è salva grazie a un aumento della domanda interna ed estera.
Tutti sono soddisfatti,
insomma, ma qualcosa, sotto, comincia a guastarsi. La Germania, del resto,
crescerà pochissimo nei prossimi anni, proprio perché è già in piena
occupazione.
Un’eventuale nuova recessione
globale farebbe in tempo a bloccare e rendere reversibile l’unificazione
europea, avviando così un nuovo Big Bang. Al momento, tuttavia, questa è solo
un’ipotesi di scuola.
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