Sarà comunque interessante vedere lunedì sera quali saranno i risultati di queste elezioni, specie per il colpo di reni che stavolta pare non verrà, come in passato, dal Cavaliere, che nel 1994 sgominò a sorpresa la locomotiva di Occhetto , felicemente lanciata verso una vittoria annunciata che non ci fu, e nel 2006 azzoppò il successo dell'Unione prodiana. No, questa volta il "tiro mancino" verrà da Grillo. A dire il vero, diversi mesi fa, tutti dicevano che queste elezioni sarebbero state il trionfo del Comico Genovese , vista la protesta montante e la palese inadeguatezza dei partiti tradizionali di dare risposte soddisfacenti.
Non si tratta solo di populismo. Quando un Parlamento vota compatto provvedimenti di rigore e sacrificio, invocando l'emergenza, e poi, di SUO, non riesce a partorire uno straccio di legge che ridimensioni i PROPRI costi e privilegi, beh come non essere tentati da chi grida "mandiamoli tutti a casa" ?? Pensare che ogni grillino in più sarà un "nuovo" che servirà a lasciare a casa uno della "vecchia" politica, già questa può essere una tentazione molto forte. In un anno di governo tecnico, dove il Parlamento ha praticamente solo votato decreti governativi, e tra questi aumenti di tasse, l'introduzione dell'IMU, l'innalzamento dell'età pensionabile e la riduzione delle pensioni (quest'ultima riforma, è l'unica cosa che condivido, che pagherò di PERSONA, ma che veramente, numeri alla mano, ritengo inevitabile, visto l'allungamento della vita e la sproporzione tra contributi versati e pensioni erogate) , i nostri Partiti erano chiamati a fare poche cose :
1) Riduzione dei loro appannaggi , adeguandoli alla media europea, visibilmente inferiore.
2) Riforma con significativa riduzione dei rimborsi elettorali (nome farlocco, visto che ai partiti, in proporzione ai voti ottenuti, viene dato molto di più di quanto hanno speso , e si vede, visto come utilizzano i soldi...)
3) Riduzione dei parlamentari
4) Riforma della legge elettorale ( l'eliminazione del criticatissimo, da sempre, Porcellum. Con 3 o 4 messaggi del Capo dello Stato in questo senso, oltre alla raccomandazione della Corte Costituzionale, specificamente rivolta alla indispensabilità democratica di una soglia minima di voti per far scattare il premio di maggioranza)
Bene, NULLA di tutto questo PD, PDL , UDC e FLI (che quelli di Fini oggi, fortunatamente, sono azzerati, ma nel disciolto parlamento erano decine di deputati e senatori) hanno fatto.
Volendo poi si potrebbe parlare delle famose province, della cui abolizione si è parlato per decenni, e che stanno ancora floridamente tutte lì.
Come detto tutto questo è vento nelle vele del Grillismo.
Lo scioglimento delle Camere, e quindi il succedersi di eventi mediaticamente seguiti, come le primarie del PD, la conferma della candidatura di Berlusconi e la "salita" in campo di Monti, avevano distolto l'attenzione da Grillo, e i sondaggi lo avevano dato in leggero calo e poi stazionario attorno al 15%, a lottarsela con la Lista Civica Montiana e i suoi alleati per il terzo posto (senza alleati, Lista Civica da sola ha sempre visto col binocolo M5S ...). La delusione della campagna elettorale, dove nessuno, per un verso o per un altro (Ricolfi lo ha spiegato molto bene nelle sue analisi preelettorali), è parso convincente, ha ridato spazio alla protesta. Del resto, la Sinistra il pieno dei suoi voti l'ha fatto. Non supereranno il 35%, e il PD resterà sotto al 30. Senza Renzi, e l'anima progressista del centro, quelli sono. Da sempre. Monti si avvia ad un Flop imbarazzante (e se le dimensioni saranno confermate, NON previsto in queste dimensioni ), mentre il Cavaliere forse capirà che ormai il suo piffero non è più magico, e il 40% dei voti sfiorato nel 2008 non è più nelle sue corde. Le sue promesse shock le ha fatte (via l'IMU sulla prima casa e anzi rimborso di quanto pagato lo scorso anno, abbassamento delle tasse con le storiche due aliquote, condono fiscale tombale, da ultimo anche l'aumento delle pensioni minime) ma troppi sono i delusi dopo due governi falliti.
E così sono tanti gli arrabbiati di centro destra che voteranno Grillo. Poi ci sono gli anti politici professionali, i giovani alternativi e anche quelli che dicono che quelle tre-quattro cose buone che anche Grillo dice forse con i suoi in Parlamento riuscirà ad imporle.
Com'è. come non è, lo danno al 22% dei voti. UN TRIONFO.
Secondo partito del Paese , dopo il PD, sotto al 30 ( ma Bersani, pur con 5 punti in meno rispetto al PD di Veltroni del 2008, griderà alla storica vittoria...ottenuta SOLO e SOLTANTO grazie al Porcellum, tanto disprezzato e poi indefessamente difeso ) e sopra al PDL, ormai fermo al 20%.
Dopodiché ? Come ho già scritto, prevedo un mercato di parlamentari che il Tempio di Gerusalemme, che scatenò l'ira di Gesù di Nazareth, era un luogo di pii.
Domanda : come farà Grillo a controllare i suoi , DOPO che saranno stati eletti ? Lì espelle, ok..e 'sti ca...direbbero a Roma ? Ormai onorevoli sono e restano. La nostra Costituzione, si sa, non prevede il vincolo di mandato....La cosa è vieppiù scandalosa tenuto conto che questi 100 eroi in Parlamento entreranno SOLO e SOLTANTO per Grillo !! Che ciascuno di loro, in genere emerito sconosciuto, da solo, a tutto dire bene, potrà portare in dote il voto suo, dei parenti stretti e , forse, degli amici di FB. Fine.
Eppure, una volta alla Camera o al Senato, saranno indipendenti e intoccabili.
Altro che trasformismo e transumanza. Vedremo qualcosa che nel pur non sempre integerrimo Parlamento italiano non si è MAI vista, nelle proporzioni che temo si prepari.
E questo spiega perché in Italia, a parte la deriva dei Partiti, c'è un problema Istituzionale nonché i vizi accumulati nei decenni (tanti) dagli elettori.
Di questo ha scritto molto bene ieri Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera
Buona Lettura
VINCOLO ESTERNO E VIZI ITALICI
Il sentimento di una Nazione
Le elezioni di domenica
rappresenteranno la prova del fuoco per quella tendenza di fondo - la tendenza
a governare in nome del «vincolo esterno» - con la quale negli ultimi
trent'anni le classi dirigenti italiane hanno pensato di risolvere i problemi
del Paese. Un Paese fin dall'Unità sentito (non a torto!) come assolutamente
restìo a cambiare abitudini e pregiudizi inveterati, legato ai suoi vizi, ai
suoi mille interessi contrapposti, leciti e meno leciti, ai suoi tenaci
corporativismi d'ogni tipo; un Paese quindi sempre riottoso alle direttive
dall'alto, alle norme, abituato a usare lo Stato e a piegarlo al proprio utile,
ma mai o quasi mai a piegarsi all'utile di quello. Insomma politicamente indomabile.
Che tale fosse l'Italia che
la Repubblica aveva ereditato dal passato le classi dirigenti hanno dovuto
prenderne atto specialmente a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo
scorso. Allorché fu chiaro che il carnevale della spesa pubblica facile,
iniziato quindici anni prima, stava creando una situazione finanziariamente
insostenibile, e che però togliere a un tale Paese le rendite, i privilegi, gli
abusi, o semplicemente ridimensionare i benefici, a cui esso si era ormai
abituato, era impossibile.
Impossibile riorganizzare l'amministrazione pubblica
all'insegna del merito e dell'efficienza; impossibile rivedere il catastrofico
ordinamento regionale; impossibile rivedere le leggi dappertutto eccessivamente
permissive appena approvate; impossibile rifare la scuola sempre più sfasciata,
e così via per molte, troppe voci. Impossibile beninteso stante il suffragio
universale: dal momento che chiunque ci avesse provato avrebbe pagato di sicuro
un prezzo elettorale catastrofico.
Si cominciò allora a toccare
con mano quanto fosse ormai impossibile cambiare dall'interno il rapporto
politica/società. Si cominciò allora ad ascoltare sempre più spesso il
ritornello «Sì, è questo ciò che ci vorrebbe, ma non si può fare!», «Sì, le
cose stanno così, questa è la verità, ma non la si può dire!». Lo sussurravano
non pochi politici intelligenti e informati: ma regolarmente e inevitabilmente
rassegnati. Intimidita, la politica si trovò ormai messa nell'angolo da un
Paese che di prendere atto del modo in cui stessero le cose non voleva
assolutamente saperne.
È a questo punto, in questa
distretta sempre più soffocante, che - per convincere la società italiana di
ciò di cui essa da sola non poteva convincersi, per farle accettare ciò che da
sola non avrebbe mai accettato - la parte più avvertita della classe dirigente
si decise a imboccare con decisione la strada del vincolo esterno. Sull'esempio
- ormai si può dire - di quello che in fondo era stato lo stesso atto fondativo
del regime repubblicano: quando dopo il 1943 fu per l'appunto un fattore
esterno, la sconfitta militare e la vittoria alleata, a stabilire la democrazia
in Italia.
Questa volta il vincolo
esterno fu rappresentato dall'Unione Europea. Sarebbero state le direttive e le
politiche comunitarie a mettere le briglie al Paese. Sarebbe stato l'euro a
imporre il ravvedimento finanziario agli italiani dissipatori e riottosi. A
partire dagli anni Novanta l'Unione Europea si trasformò nel salvagente al
quale si aggrappò una parte maggioritaria della classe politica, via via che da
un lato diveniva evidente la non riformabilità dall'interno della società
italiana, e dall'altro, insieme, l'incapacità della politica nazionale di
guadagnare con i propri mezzi il consenso necessario ad un mutamento di rotta.
Come in nessun altro luogo
del continente l'adesione incondizionata all'europeismo e alla sua ideologia
divennero così la nuova carta di legittimazione del sistema: obbligatoria per
chiunque volesse non solo accedere al governo, ma perfino essere ammesso ad una
piena rispettabilità politica. È inutile sottolineare quanto l'ultima fase
della politica italiana si sia identificata con la prospettiva ora indicata.
Che domenica si trova ad affrontare la prova del fuoco elettorale nella
situazione più difficile principalmente, a me pare, per una ragione. La ragione
è che il vincolo esterno, per risultare accettabile e non ferire il legittimo
(insisto: legittimo, sacrosanto) sentimento di autostima di un Paese, deve
essere assolutamente trasformato da chi se ne fa forte in un fatto nazionale. E
cioè innanzi tutto produrre anche un immediato beneficio: altrimenti esso
finisce per apparire inevitabilmente un'imposizione esterna fatta
nell'interesse precipuo della parte esterna. Ora, disgraziatamente, in 14 mesi
il vincolo esterno europeo è stato ben lungi dal soddisfare questa condizione
dell'immediato beneficio. La situazione generale del Paese invece di migliorare
è peggiorata. E dire, come si sente dire, «poteva andare molto peggio», non può
avere altro effetto, sui molti che versano in condizioni di disagio, se non
quasi di una presa in giro. Così come l'affermazione - anche questa molto
ripetuta - «non c'era altro da fare» è un'affermazione che ha lo svantaggio di
non poter essere suffragata da nessuna prova davvero convincente agli occhi
degli elettori.
C'era un altro modo ancora,
però, e a prescindere dagli effetti economici, in cui il vincolo esterno
avrebbe potuto essere depurato della sua origine e trasformato in un dato
dall'impatto fortemente nazionale: e non lo è stato. Se esso fosse diventato il
pretesto per un invito appassionato - rivolto non già alle forze politiche, ma
alla società italiana nel suo complesso - perché nell'occasione essa
affrontasse uno spietato esame di coscienza, perché ripensasse una buona volta
la propria storia iniziando a capire il peso, ormai insopportabile, delle sue
troppe pigrizie, delle sue troppe incapacità, delle sue troppe indulgenze. Vi
sono circostanze critiche in cui il governo democratico di un Paese deve essere
capace anche di questo: di una pedagogia civile ispirata dalla verità e
sorretta dalla cultura. In caso contrario il prezzo da pagare - non solo
elettorale, e non solo per chi ha governato - può rivelarsi molto alto.
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