venerdì 29 marzo 2013

CAMBIARE LO SPARTITO NON BASTA. ANCHE GLI ATTORI DEVONO ALTERNARSI

Silvio Berlusconi e la delegazione Pdl-Lega al Quirinale
Nell'editoriale del Corsera Pierluigi Battista invoca che vengano smontate le barricate, che si prenda atto che laddove non c'è nessun vincitore, o si torna a giocare la partita ( col rischio però molto grande che lasciando tutto com'è, a partire dalla legge elettorale, poi anche il risultato di stallo potrà ripetersi, specie ora che di fatto in Italia si è creato un tripolarismo), oppure ci si mette d'accordo sulle cose essenziali da fare che possano trovare una convergenza, tra cui appunto una nuova legge che almeno non crei le storture dell'attuale (tra cui, avviso ai naviganti, anche la correzione di questo mostruoso premio di maggioranza ).
Ovvio che se persistono i toni da comizio elettorale - e questo vale per sinistra e destra, mentre Grillo è coerente, visto che lui non si vuole alleare con nessuno - poi diventa ben difficile far capire al proprio elettorato come si possa fare un governo che affronti l'emergenza che pure permane.
Bersani forse si è pentito di essere stato così categorico, fino allo sprezzo, nei confronti del centro destra, convinto non si sa perché che alla fine sarebbe riuscito a smuovere i grillini. Glielo hanno rimproverato in tanti a via del Nazzareno, ma il compagno segretario si è fatto (mal) consigliare dalle nuove leve e la parte più radicale del partito. Chiedere ora l'aiuto degli "impresentabili" pare brutto...eppure con il NIET di Grillo senza i voti del centrodestra non ci può essere nessun governo.
A maggior ragione questo ragionamento vale per Berlusconi e i suoi, visto che mentre al Senato si possono studiare alchimie varie , alla Camera no, che la Sinistra lì ha , grazie al porcellum, la maggioranza assoluta.
A me viene un antipatico sospetto. Stigmatizzata l'ostinazione, quasi proterva, di Bersani nel perseguire un disegno che fin dall'inizio sembrava non solo difficilissimo ma anche sbagliato (ogni volta genuflettersi ai grillini ? cedere a qualsiasi diktat pur di tenere in vita un governo sotto perenne scacco ? ) , la disponibilità di Berlusconi da dove nasce ? Io non so se quello che si legge è verosimile, ma barattare il governo con la presidenza della Repubblica, cosa ha  a che fare con la "responsabilità" e "il bene del paese" ? Si possono comprendere le ragioni politiche, e soprattutto le "garanzie" per il Cavaliere. Però , personalmente, sono anche un po' stanco di questo doppio binario del centro destra dove le istanze principali sono quelle personali del leader....
Insomma, qui devono cambiare i protagonisti sulla scena....ed è un discorso che non vale solo per Bersani...
Ecco l'articolo di Geremicca della Stampa sulla situazione vista da via del NAzzareno


Il cruccio del segretario:
non aver potuto usare l’asso

Il rammarico è che il semestre bianco gli ha tolto la carta vincente
FEDERICO GEREMICCA
ROMA
La cravatta di traverso, la giacca sbottonata, la faccia un po’ sgualcita. Quando poco dopo le sette della sera Pier Luigi Bersani si è affacciato alla tribunetta del Quirinale, il cosiddetto «linguaggio del corpo» non lasciava presagire nulla di buono. 

E invece il leader Pd - il suo tentativo, anzi - barcolla ma è ancora in piedi: e solo stasera, in questo Venerdì di Passione, se ne conoscerà la sorte ultima e definitiva.  

I margini, onestamente, sono esigui, sempre più stretti: ma se c’è una cosa che può esser data per certa, è che Bersani non arretra, non rinuncia e non si arrende. E dopo il colloquio di oltre un’ora col Capo dello Stato, s’è lasciato andare ad uno sfogo intorno alle ragioni che hanno minato (e forse addirittura già affondato) il suo tentativo di fare un governo: «Sarebbe stato tutto diverso con un Presidente nella pienezza dei suoi poteri - ha ripetuto ai suoi -. Avessimo avuto un Capo dello Stato in condizione di sciogliere il Parlamento, certo non avrebbero menato il can per l’aia trovando pretesti di ogni tipo».  

Corrucciato. Preoccupato. E soprattutto molto deluso: «Siamo arrivati vicinissimi all’obiettivo. Mancava, anzi manca, solo un passo - ha insistito con i suoi - ora vediamo se Napolitano ci aiuta a farlo. Ma al Presidente ho dovuto per onestà dire che, se io fallissi, sul dopo bisognerà ragionare con attenzione, senza dare nulla per scontato: il Pd non è disposto a sostenere qualunque governo, ed è vincolato ai deliberati della sua Direzione». 

Fonti del Quirinale negano qualunque contrasto nel colloquio tra Napolitano e Bersani: «Del resto - spiegano - il segretario del Pd è venuto a resocontare circa lo stallo determinatosi, rimettendosi alle valutazioni del Presidente: non ha chiesto altro tempo, non ha sollecitato voti in Parlamento, non ha alzato barricate sul dopo, in caso di fallimento». In cambio, se si può dir così, il Capo dello Stato vedrà - con consultazioni brevissime - se è possibile rimuovere quello che, a detta di Bersani, appare l’ostacolo maggiore incontrato: e cioè le garanzie che Berlusconi solleciterebbe circa il nome del futuro presidente della Repubblica. 

Si tratta, in tutta evidenza, di una questione della massima delicatezza. Si immagina, però, che un tale problema possa certo esser posto ad un presidente del Consiglio pre-incaricato: ma assai più difficilmente ad un Capo dello Stato in carica. Berlusconi potrà naturalmente porre la questione in altro modo: e dire, per esempio, che il Pd ha già eletto i presidenti di Camera e Senato, pare voglia eleggersi quello della Repubblica e dunque non può pretendere anche Palazzo Chigi. Ma è appunto questo quel che Napolitano intende capire: e cioè, se con un nome diverso da quello del segretario del Pd, Berlusconi e la Lega sono davvero pronti - come ripetono da giorni - a far nascere un governo o se invece il loro “piano a” non siano, in realtà, le elezioni anticipate. 

Napolitano al lavoro, dunque, per provare ad evitare - se possibile - il naufragio del tentativo-Bersani. Al leader Pd, dunque, non resta che attendere: ma si tratta di un’attesa per nient’affatto rassegnata: «Chiunque dovesse venire dopo di me, compreso Saccomanni - assicurava in serata il segretario dei democratici - dovrà prima di tutto conquistare i voti dei 480 parlamentari della nostra coalizione: voti che io ho già. E non ci vengano a proporre governissimi, magari mascherati dietro un altro nome, perché lì il mio no è già scritto. C’è mezzo Pd che non voterà mai per una sorta di riedizione del governo Monti e che non vuole rompere la coalizione con Sel, visto che Vendola per quella via non ci seguirebbe...». 

Appeso a un filo, insomma. E, come si dice da giorni, completamente nelle mani di Berlusconi. «Magari - annotava a fine giornata Bersani - ci ripensa e capisce che un “governo del Presidente” rischia di essere un pasticcio anche per lui». Lo diceva con la solita voce profonda: ma sembrava più un auspicio, stavolta, che una possibilità concreta, sulla quale puntare il famoso cent... 



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