L'articolo di Vitello fu scritto diversi giorni fa, in occasione dello scoppio del "CASO GIANNINO". Io , che sono sempre stato Liberale, da quando avevo 15 anni (Segretario del PLI Valerio Zanone, per intenderci...), ma i circoli liberali non li avevo mai frequentati, non ero a conoscenza di questa dialettica distruttiva che Vitello descrive sul FOGLIO. Pensavo che fossero i grandi partiti ad avere di questi problemi : smarcamenti, distinguo, gare a chi è il più puro. L'eccesso di analisi e la mancanza di sintesi.
Viceversa apprendevo che anche i liberali, ancorché pochi - almeno a livello di impegno...negli ultimi 20 anni sono tanti quelli che hanno iniziato a dirsi tali... - soffrono dello stesso virus.
La riprova c'è stata in questi giorni. La denuncia di Zingales, fatta in tempi e modi biasimevoli, e il suo chiamarsi fuori (tra i fondatori, non mi pare che sia stato tra quelli che si fosse speso di più), le dimissioni inevitabili di Giannino, poi il drammatico Direttivo Nazionale, con una spaccatura verticale, l'uscita del terzo fondatore famoso del movimento, Michele Boldrin e infine le dimissioni anche della Enrico e della Direzione.
Insomma, FARE per fermare il declino non c'è più.
Come del resto era inevitabile con la caduta di Giannino, che è inutile girarci intorno, di questo movimento è stato l'ideatore e l'anima.
Eppure non stava andando male. In pochi mesi Fermare il Declino aveva mobilitato decine di migliaia di volontari, superato di slancio la raccolta delle firme, riempito i luoghi degli incontri elettorali e suscitato parole di stima diffuse, ancorché accompagnate da vari "se e ma".
POI, il terremoto con l'affondamento si colui che non dall'inizio ma nel tempo si era affermato come il Leader del movimento. Per il semplice fatto che era quello che si sbatteva di più, era ovunque, e parlava con parole giuste (a parte gli eccessi anti Cav., condannati da molti e suscitando anche reazioni forti da elettori potenzialmente raggiungibili , e comunque un moralismo francamente fuori posto sempre, figuriamoci fatto poi da un personaggio che aveva così tante bugie dietro le spalle ), che scaldavano animi e cuori (laddove Zingales scalda forse le donne che lo trovano piacente, e Boldrin quelli che apprezzano la sua violenta verve polemica ).
Eppure, nonostante questo, FARE ha preso oltre 350.000 voti. L'1%, poco, ma non pochissimo tenuto conto che :
1) A differenza di altre formazioni, che hanno una storia radicata, come il PSI di Nencini, o i Radicali, o i comunisti di Rivoluzione Civile, FARE partiva da ZERO. E' vero che ha una forte ispirazione Liberale, ma certo nessuna base di partenza. Veniva su dal NULLA. Eppure non ha fatto peggio di questi gruppi, anzi.
2) Fermare il Declino nasce quando si ha motivo di pensare che Berlusconi non si presenterà per la sesta volta alle elezioni. Ha 76 anni, e dopo tre vittorie e due governi deludenti (quello del 1994 abortito troppo presto per incolparlo di qualcosa) , senza contare i mille scandali, si ritiene che non si candiderà, Del resto ogni tanto lui lo dice pure, salvo smentirsi di lì a poco.
Quindi c'era un elettorato di centro destra acefalo, e la proposta di Fermare il Declino poteva ben essere allettante per una significativa parte di quel mondo. IL ritorno del Capo ha sparigliato il progetto iniziale.
3) Anche senza l'Affaire Giannino, non credo che FARE avrebbe raggiunto la soglia del 4%, mancata , e di tanto, anche da Ingroia che pure radunava comunisti, verdi, i superstiti di Di Pietro, nonché i fan personali del PM ROSSO. Però il 2,5% toccato in varie fasi nei sondaggi era alla sua portata e chissà, magari anche qualcosa di più. Il 3% dei voti significava circa un milione di elettori. Un capitale umano importante sul quale continuare a costruire,
Non è andata così, e lo sfaldamento cui si assiste è assai triste.
Peccato perché una casa solida e vasta il pensiero Liberale la merita. Forse non i liberali.
Buona Lettura
Il matto Oscar “Gianninov” e il vecchio tema liberale della
pazzia
Chissà se Emmanuel Carrère getta un occhio alle cronache
italiane. Dopo aver dato consacrazione romanzesca all’ergastolano Jean-Claude
Romand, che si finse medico per decenni e una volta scoperto sterminò tutta la
famiglia, l’autore dell’“Avversario” potrebbe incapricciarsi del nostro genio
minore (e innocuo) dell’affabulazione e della millanteria, e offrire ad Adelphi
il bestseller della prossima stagione: “Gianninov”. Sarebbe un buon
risarcimento per la cattiva prosa che abbiamo dovuto scontare in questi giorni,
per la spietata bonarietà di qualche collega maramaldo, la Schadenfreude
piccina degli invidiosi, l’improvviso rigore di certi gesuiti che si sono
scoperti, da un giorno all’altro, calvinisti. Forse solo Carrère saprebbe
rendere giustizia – e giustizia poetica – alla malinconica follia di Oscar Giannino.
A noi non resta che trarre dal suo caso qualche timida lezione, e cogliere
l’occasione per mettere all’ordine del giorno un vecchio tema liberale: la
pazzia.
Perché, vedete, nel piccolo mondo dei liberali italiani il
caso Giannino è meno isolato di quanto si possa credere, e i lunatici sono
gente di casa. Chiunque abbia frequentato circoli e circoletti liberali,
riunioni di riviste benintenzionate morte prima del numero zero, assemblee
fondative di comitati ambiziosissimi sciolti dopo un quarto d’ora per dissensi
inconciliabili, conferenze semideserte su temi frizzanti come “Attualità di
Nicola Chiaromonte” o “Il concetto di catallassi dopo F. von Hayek”, sa fin
troppo bene di cosa parlo. L’austerità delle discussioni e la solennità delle
sedi non basta a cancellare una sinistra atmosfera da freak show: c’è sempre,
in queste occasioni, il diciottenne allampanato con la riga in mezzo e con la
pipa; il tipo vestito da capo a piedi di velluto; quello che sul più bello, con
naturalezza, tira fuori un orologio da tasca; quello con i basettoni rossicci e
un bel basco messo di sghimbescio che mastica nervosamente un toscano mentre si
accalora parlando di Malagodi. Tu li guardi e tremi al pensiero che da un
momento all’altro, come nel film di Tod Browning, questi freak liberali si
voltino sorridenti verso di te e ti accolgano cantilenando “One of us, one of
us”.
Compagni liberali, è ora di ripensare al nostro
pluridecennale flirt con la follia. Accantonare, sia pure a malincuore, l’idea
della “mezza dozzina di pazzi melanconici” di Gaetano Salvemini. Farla finita
una buona volta con l’attesa messianica del “matto” invocato da Mario Ferrara
nel 1951 dalle colonne del Mondo: “I liberali hanno bisogno di un matto. Uno di
quei bei matti che non sono mai stati al manicomio e non ci andranno, che sono
simpatici a tutti, non fanno ridere né piangere, ma cominciano con il farsi
ridere dietro dai savii e farsi ascoltare da altri pazzi come loro e, alla
fine, si tirano dietro il grande esercito dei savii e ben pensanti”. La voce
nel deserto di quel Giovanni Battista torna ciclicamente a risuonare, e noi
ogni volta a chiederci se il nuovo matto sia quello buono, il matto che
attendevamo, il matto profetizzato dalle Scritture. L’oracolo di Ferrara è
stato evocato più volte per Marco Pannella, il decano dei matti liberali, che
senz’altro qualche esercito, nelle occasioni decisive, ha saputo tirarselo
dietro. Lo si è rispolverato per Berlusconi, che però si è rivelato di gran
lunga più matto che liberale. Stefano Folli l’ha appena richiamato in causa per
Giannino, concludendone che neppure lui era il nostro messia pazzo.
Che fare? Non si tratta, a questo punto, di aspettare il
prossimo “matto senza occhiali da sole”: ne abbiamo avuti fin troppi. Si tratta
di chiedersi, piuttosto, se la pazzia melanconica non sia la malattia infantile
del liberalismo italiano. E se è vero, come insegnano i Vangeli, che un cieco
non può guidare un altro cieco a costo di finire entrambi nel fosso, un piccolo
esercito di matti deve cercarsi – e di corsa – un generale savio. Meglio
ancora, vorrei suggerire, una generalessa.
Date un’istitutrice a quei matti dei liberali.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Guido Vitello
Nessun commento:
Posta un commento