domenica 3 marzo 2013

IL SEQUESTRO DELLA POLITICA. LO STALLO AMERICANO E ITALIANO, FIGLIO DEL RADICALISMO.


Mentre noi italiani ci dibattiamo nervosi nel post voto e il difficile puzzle che ne è scaturito, in America è successo quello che si pensava di evitare come sempre sul filo di lana : il taglio automatico alla spesa pubblica in mancanza di un accordo tra governo e parlamento in merito.
I repubblicani avevano ceduto a dicembre e avevano accettato un rialzo delle tasse, ma a patto che Obama accettasse a febbraio un piano di taglio alle spese. Non è accaduto, e in mancanza di una intesa, il taglio avviene automaticamente, in modo matematico anziché politico.
Gianni Riotta, nell'iniziare  il suo editoriale sulla Stampa partendo da questa situazione della politica americana, coglie significative similitudini con la realtà italiana e un comune denominatore :
la crescita dei radicalismi e la perdita della capacità di compromesso da parte della politica.
E questo, a mio avviso, si avverte soprattutto a Sinistra. Sì perché l'arroganza dei nuovi del PD, i giovani Fassina, Moretti, Orfini e ora anche il consigliori di Bersani, tale Gotor, fa rimpiangere la presunzione almeno mascherata da ironia di D'Alema, il che è tutto dire.
Invocano la responsabilità, però l'UNICA via che indicano è un loro governo appoggiato dai grillini a dispetto di questi ultimi che, "minacciati" dal Capo (che si è accorto della brutta norma costituzionale che esclude i parlamentari da ogni vincolo di mandato ) , non potranno, a rischio di linciaggio sotto casa, aderire alle proposte di "scouting", cioè di vendita del proprio voto.
Questo sarebbe ciò che loro chiamano responsabilità....Peccato che nessuno sia d'accordo , Presidente della Repubblica compreso che li esorta - pur parlando in generale - ad un attimo di riflessivo silenzio...
Così come la responsabile riforma elettorale è solo la loro, vale a dire il sistema uninominale a doppio turno , che c'è solo in Francia (prima obiezione) e che tra l'altro lì comprende anche il presidenzialismo, vale a dire l'elezione diretta del capo dello Stato con poteri veri !
Del resto, chi è cresciuto a pane e Repubblica, non può che avere metabolizzato la convinzione di essere il detentore del sapere e di ciò che va fatto.
E la responsabilità degli altri consiste nell'ADERIRE.
Poi non succede, la gente non li vota, e loro s'incazzano perché gli italiani votano male (Scalfari, immancabilmente lo ha scritto oggi nel suo fondo domenicale).
Riotta invece si richiama alla indispensabilità del "compromesso", di trovare delle soluzioni valide, condivise, dove si CEDA rispetto alla propria idea fondamentale che non ha ottenuto il consenso necessario, per arrivare a delle sintesi che non saranno ideali ma migliori dello stallo in cui l'Italia, ma anche gli USA si trova a causa dello stesso radicalismo (e Obama è mediatore molto meno abile di tanti suoi predecessori, sarà per questo che piace tanto alla sinistra italiana) che in questo momento è prevalente.
Un radicalismo che nasce dal cigno nero di una crisi economica che non è ciclica ma sistemica : il benessere diffuso e semi gratuito che abbiamo conosciuto dalla fine degli anni '60, è finito, causa globalizzazione e concorrenza di gente che a differenza di noi ha fame e voglia di lottare per salire. Dobbiamo ripensarci e riorganizzarci. Ma nessuno lo vuol fare, e sbraita perché vuole il giocattolo di prima, ormai rotto.
Buona Lettura



EDITORIALI
03/03/2013

Italia e Usa, perché serve
il compromesso

GIANNI RIOTTA
“In parte dramma, in parte commedia, in parte film dell’orrore….” scrive l’austero quotidiano Financial Times e il lettore subito pensa stia parlando di noi, di Italia, del caos politico sui cui la stampa internazionale, sia pure tra errori, ignoranza e pregiudizi, si accanisce da una settimana. E invece no, l’analista del FT scrive del “Sequester”, il gorgo fiscale che da questo week end ingoia il bilancio americano, annega la spesa nella crudeltà di un maelstrom matematico, affondando il sistema politico Usa. 

La Casa Bianca e il Congresso, che i Padri Fondatori avevano costretto al continuo negoziato, varando una Costituzione di poteri a perenne reciproco contrappeso, non sanno più mediare, trovando insieme una via d’uscita alla crisi.Qualcuno rimpiange i tempi lontani del presidente Johnson, di Nixon, perfino di Clinton, quando, in tempestose riunioni notturne, chiuse a tutti, senatori moderati repubblicani e democratici, davanti al consigliere più fidato del presidente, votavano la quadra da portare poi in Parlamento. 

Nostalgia assurde, non si tratta solo dello scarso talento di Barack Obama nella mediazione politica all’ultimo sangue. Oggi l’elettorato, nervoso, radicalizzato tra conservatori e liberal, aizzato 24 ore al giorno dai talk show tv, da comici politicizzati come Jon Stewart, il Crozza d’America, dai blog sul web, denuncia subito ogni intesa come tradimento, svendita, vigliaccata. Tra i repubblicani un conservatore come Ronald Reagan sarebbe considerato di sinistra, tra i democratici un moderato come Clinton di estrema destra, stentando a vincere. 
Cosí, nell’impotenza della politica diffusa in Occidente, la lama del Sequester taglia nel 2013 85 miliardi di dollari in spesa (65 miliardi di euro) e potrebbe segarne altri 1200 in dieci anni (923 miliardi di euro al cambio attuale). Via 43 miliardi di dollari alla Difesa (non ai salari dei militari promette Obama), addio al lavoro per tante aziende con la disoccupazione già all’8%, 42 miliardi in meno per scuola, sanità, ambiente, aiuti dopo l’uragano Sandy, disoccupati, agricoltori. Perfino la Pattuglia acrobatica dei Thunderbirds, resta a terra, niente soldi per ardite evoluzioni aeree. 

Noi ci stupiamo dell’inanità di Obama e Congresso nel trovare un accordo su tasse, spesa e bilancio, come gli americani si stupiscono della nostra impotenza nel votare un primo ministro capace di mettere ordine nell’economia italiana. Stupori opposti ma, a ben guardare, il malessere americano e il nostro hanno la stessa radice: crisi economica globale, deindustrializzazione, paralisi nel riformare lo stato assistenziale mentre i figli del baby boom nati tra il 1946 e il 1964 vanno in pensione e bussano alla sanità, elettori allergici alle tasse quanto ostili ai tagli nella spesa. Risultato un’opinione pubblica risentita, diffidente, pronta a denunciare ogni negoziato come i 30 denari di Giuda. Guardate sui siti italiani, su twitter, come Bersani, Berlusconi, Monti e Grillo vengano incitati dalla base a scandire solo stentorei NO, accusati di “inciucio” non appena –come la situazione li obbligherebbe, politicamente e moralmente- provano a bofonchiare almeno un sommesso Si. 
La politica del dopoguerra, dal 1945 in poi, in America come in Europa, tra i conservatori e i repubblicani, come tra i socialisti e democratici, ha fondato il governo sullo sviluppo, la spesa pubblica. Ogni generazione doveva avere uno standard di vita migliore della precedente e più servizi sociali, senza che le tasse pesassero oltre modo. Quando la recessione stringeva la corda, i leader trovavano un’intesa, quasi sempre appesantendo il debito futuro e si andava avanti. 

Come l’economista Nobel Paul Krugman previde nel 1989 e come gli studiosi Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff confermano per il futuro prossimo, questa leva s’è bloccata e non tornerà. Il welfare va ricalibrato su una popolazione in cui gli anziani e i bisognosi crescono, il debito incalza e le tasse non possono salire senza ondate di populismo alle urne. Lo si potrebbe fare con la tecnologia, ma servirebbe un progetto Stato-Imprese-Università che la politica non ha la forza di disegnare e gli imprenditori non hanno la visione di rivendicare. 
L’austerità fine a se stessa, stringere la cinghia fino a trasformarla in cappio, non persuadono più i cittadini. Illudersi di dribblare la crisi spendendo come se fossimo ai tempi beati di American Graffiti e della Dolce Vita però farebbe si che il film dell’orrore prevalga subito su dramma e commedia. 
Populisti, comizianti da talk show, comici delle gag politiche avranno dunque un anno d’oro negli Usa e in Italia e budget in rialzo. Al resto di noi, a chi non ha un lavoro, a chi vede languire la propria azienda, chi sente la sudata pensione diluirsi, chi non ha i soldi per portare la figlia dal dentista, servirebbero, a Washington e a Roma, un governo e un parlamento dove i leader rivali studiassero accordi e compromessi (nobile parola, viene da “promessa condivisa”, non insulto volgare) per il bene comune. E servirebbe che, una volta siglato l’accordo, sui giornali, in tv, nel tumulto del web, le voci di ragione e tolleranza, con passione, coraggio e senso dell’humor, isolassero il rancore rancido di chi ingrassa distillando odio, intolleranza, sarcasmo

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