Mentre aspettiamo che finisca l'ennesima partita di calcio degli italiani, campo Montecitorio, mi è capitato di leggere un articolo che ho trovato interessante per la legge del contrappasso che richiama.
Una procuratrice di NY, accesa femminista, paladina dei diritti delle donne, sempre e comunque, alla fine si trova col figlio inguaiato da una "sorella" di genere, vale a dire da una femmina, che lo accusa di averla molestata. Di fronte al processo sommario cui vede sottoposto il pargolo, la procuratrice s'indigna e scopre che nei processi le donne sono tutelate "troppo".
Ecco, questo mi fa venire in mente una battuta di Sciascia che proponeva per i vincitori di concorso destinati a diventare giudici di passare un breve periodo di tempo in prigione. Non ricordo se una o due settimane. Riteneva che sarebbe stato propedeutico a capire alcune cose, e ad esercitare con giusta cautela il potere immenso che gli veniva consegnato : decidere della libertà di altri essere umani.
Fa sorridere, amaro però, la dichiarazione di un giudice del Tribunale di Milano che dice come quanto accaduto al figlio della procuratrice americana da noi non sarebbe possibile "perché nulla si fa alla spalle dell'imputato". Ma con che coraggio ? Io conosco gente che ha subito accuse di quel tipo e non avrebbe saputo nulla MAI, e questi accertamenti vengono fatti troppo spesso esclusivamente al fine di avvalorare l'accusa. SE, "sfortunatamente", non emergono elementi sufficienti, e in questo campo ormai succede ben oltre il 50% delle volte citato nell'articolo, allora si rassegnano e archiviano. Ma esattamente come in America, ben poco spazio viene dato alla difesa. Si accerta solo l'accusa.
Detto questo, c'è da dire che la statistica scuote la foga degli inquirenti. Di fronte a migliaia di archiviazioni, è evidente che il "favor" nei confronti della mera parola della molestata vacilla (differente è se uno ha PROVE fisiche della violenza, ma non stiamo parlando di casi di questo genere).
Anzi, iniziano ad esserci i procedimenti di UFFICIO per calunnia nei confronti delle denuncianti.
E questa sì è una bella notizia.
Ma proprio per questo abbiamo anche sempre denunciato il MALE che tante donne, con le loro false denunce (fatte per vendetta, ricatto, gelosia) , fanno ad tutte le altre donne.
Ecco l'articolo comparso sul Corriere della Sera di oggi
La pasionaria antimolestie cambia idea
«Nei processi troppe tutele alle donne»
di Elvira Serra
Judith Grossman è procuratore a New York. Femminista da sempre, ha marciato ai cortei e ha bussato di porta in porta per sostenere ogni candidato progressista che si battesse per le donne. Le sue certezze sulle battaglie di genere sono però crollate un mese fa, quando suo figlio, studente dell’ultimo anno in un piccolo college del New England, è stato accusato ingiustamente di abusi sessuali dalla sua ex fidanzata.
Sul Wall Street Journal la mamma racconta la vicenda come un incubo e si domanda se la conquista dei diritti delle donne a tutti i costi non mini istituti preziosi, come la garanzia di un processo equo. Conclude: «L’ortodossia femminista più spinta non è una risposta migliore di quanto non lo siano gli atteggiamenti e le politiche che vittimizzano la vittima».
Cosa è successo? «Mio figlio è stato convocato davanti alla commissione interna di Title IX, garante dell’uguaglianza tra i sessi nelle università, senza alcuna indagine preliminare. Nessuno ha preso in considerazione la possibilità che la ragazza avesse agito spinta dalla gelosia o dal desiderio di vendetta, non è stata contemplata la presunzione di innocenza». Perché l’accusa fosse formulata, era sufficiente un margine di verosimiglianza tra il 50,1 e il 49,9 per cento.
Lo studente ha dovuto affrontare il «tribunale interno» senza un avvocato, rispondendo a dichiarazioni vaghe e non circostanziate, mentre la documentazione scritta da lui presentata è stata liquidata come non rilevante. Finché la mamma non è intervenuta, smontando ogni accusa. Ma non è stato un lieto fine. Judith Grossman ora lancia l’allarme sulla minaccia di altri tipi di ingiustizia, gli stessi, al contrario, per i quali il movimento femminista si è battuto.
Una possibilità lontana dall’Italia, secondo il giudice del Tribunale di Milano Annamaria Gatto. Dice: «Il nostro sistema non è come quello americano. Non si fa niente alle spalle dell’imputato e comunque nel momento in cui viene presentata una querela si procede prima con gli accertamenti. A Milano c’è un’ulteriore garanzia: un dipartimento della Procura della Repubblica specializzato nella materia, e so per certo che nel 50 per cento dei casi le denunce vengono archiviate». L’altro elemento di discontinuità tra i due sistemi riguarda l’università. «Non è ammissibile che si facciano indagini interne su una simile ipotesi di reato. I presidi o il rettore sono dei pubblici ufficiali e in questi casi sono tenuti a informare l’autorità giudiziaria».
Tuttavia un eccesso di giustizialismo talvolta si rischia anche da noi. Lo dichiara Lorenzo Puglisi, fondatore dell’associazione Sos Stalking che riceve 32 segnalazioni alla settimana, un terzo delle quali procedibili dal punto di vista tecnico. Nel libro Con te ho chiuso sul diritto di famiglia, che uscirà nei prossimi mesi per Feltrinelli, si occupa anche di quel fenomeno, per fortuna residuale, che riguarda «le scorrettezze processuali».
Anticipa: «Un’analisi della Procura di Bergamo del 2009 ha dimostrato che su centomila abitanti arrivano in media 400 denunce di violenza e solo due casi su dieci sono veri e propri maltrattamenti, gli altri sono querele enfatizzate ad arte per scopi prettamente economici o legati a problematiche familiari». Ricorda poi quella donna che si era messa a urlare davanti al muro chiedendo aiuto. «Il marito, però, senza che lei se ne accorgesse, l’aveva filmata. Quando arrivarono i carabinieri, la signora fu denunciata per calunnia».
«Forse non servono più i toni contrappositivi che hanno caratterizzato gli inizi del femminismo, quando le donne venivano sottoposte a processi umilianti con un aggravio di violenza per il modo in cui si dubitava di loro», interviene la storica attivista Lea Melandri. E, con coraggio, ammette: «Non voglio dare la colpa alle donne per un asservimento all’uomo avvenuto a livello profondo, perché è stato necessario per la sopravvivenza. Oggi i diritti sono acquisiti. Bisognerebbe affrontare l’ambiguità dell’intreccio perverso di amore e dominio, amore e potere. Abbondano ormai i racconti di donne maltrattate e la parola amore non si nomina mai».
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