lunedì 15 aprile 2013

LA VICENDA DI PIETRO D'AMICO. UNO J'ACCUSE SCOMODO PER UN PERDURANTE MODO DI FARE IL PUBBLICO MINISTERO (E LA CRONACA)


In questi giorni la cronaca si è occupata del caso di Pietro D' Amico, ex Pubblico Ministero, che a causa del coinvolgimento "frettoloso" in una delle tante inchieste monstre di Luigi De Magistris, finita ovviamente in un nulla di fatto, ha sentito la propria vita distrutta, ha abbandonato la magistratura ed è stato preso da una profonda depressione che lo ha portato alla decisione di togliersi la vita.
Che queste inchieste distruttive finiscano in un flop, succede, troppo spesso da molto tempo a questa parte, e a De Magistris accadeva troppe volte di più.
Non è polemica, sono FATTI. Il PM De Magistris aveva il record nazionale di archiviazioni, non luogo a procedere, proscioglimenti e assoluzioni rispetto a qualsiasi inquirente nazionale. Record bellissimo se fosse stato un avvocato difensore, ma si dà il caso che lui rappresentasse la pubblica accusa !
Non a caso De Magistris è stato uno dei rarissimi episodi ( si contano sulle dita di UNA mano) in cui la Corte d'Appello distrettuale incaricata di esprimere il parere per l'avanzamento di grado del magistrato (nel 99% dei casi una mera formalità , e NON dovrebbe esserlo ! ) , si pronunciò NEGATIVAMENTE. E infatti non fu promosso.
Quando De Magistris ha lasciato la magistratura per entrare in politica ho brindato. (idem ho fatto per Ingroia ). Non c'è paragone dei minori danni che poteva e potrà fare. Certo, magari i napoletani oggi non la pensano così, però c'è un particolare, anzi due : 1) essere male amministrati non è come essere mal giudicati...in galera non ci finisci 2) se lo sono votato....quindi mo' se lo cuccano...e tra qualche anno potranno evitarsi di ripetere l'errore.
Invece un giudice sta lì finché non va in pensione, e con questo CSM nemmeno puoi sperare di neutralizzarlo più di tanto.
Pierluigi Battista ha dedicato un pensiero a Pietro D'Amico, ricordando le responsabilità morali del suo destino. Pubblicato sul Corsera, e postato su FB, ha suscitato molte adesioni e qualche polemica.
Che non condivido. Non perché dicano cose sbagliate, ma perché non c'entrano con quanto il Direttore voleva denunciare. E' vero, come scrive un lettore, che i Media hanno responsabilità non inferiori in questa opera di demolizione dell'onorabilità delle persone, ma : 1) Battista non lo nega, anzi vi fa riferimento 2) Un errore non ne esclude un altro.
Del resto non prevedo si possano fare passi migliorativi se, ogni volta che qualcuno osa dire cose ovvie - e avallate da un referendum popolare - come la necessità di una VERA azione di  responsabilità nei confronti dei magistrati che sbagliano, o la riforma delle intercettazioni, da ricondurre, come sono NEL MONDO, a strumento di ricerca della PROVA del reato, e NON del reato in sé , il sindacato dei magistrati (che questo è, e non altro, l' ANM) si ribella gridando all'attentato all'autonomia e all'indipendenza dei giudici !
Perdonate, ma se tutti, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale da ultimi, vi "esortano" ad essere più prudenti, magari sarà il caso di fare autocritica ? E se oggi - e da anni - la Magistratura è tra le Istituzioni più criticate e che godono di meno fiducia (un precipizio iniziato con Tortora, per i corti di memoria ) tra la popolazione, è per un destino ingiusto e crudele o per il male operare di troppi ?
Se siamo condannati dalla Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo per i ritardi, per le ingiuste detenzioni e per la condizione disumana delle carceri (dovuta soprattutto, non solo, al sovrannumero, determinato dall'abuso della custodia cautelare ), è una polemica o è un FATTO ?
Poi certo, i media sono collusi, e rendono il danno ancor più devastante.
Ma essere inquisito, magari anche carcerato, è qualcosa che nel proprio ambito personale si finisce per sapere. E la vergogna è qualcosa che si prova per il discredito che si subisce nella fetta di società di cui si fa parte.
Sicuramente, e per fortuna, non tutte le persone reagiscono come il Dr. D'Amico.
Ma la debolezza e la fragilità non sono colpe.
L'incuria, la negligenza, il cinismo SI'.
Buona Lettura

MALATI DI PROTAGONISMO E VITTIME INNOCENTI 

Giovedì scorso Pietro D'Amico è andato da solo da Vibo Valentia a Basilea, nella clinica che lo ha aiutato a togliersi la vita. Aveva 62 anni. Fino al 2003 aveva fatto il pubblico ministero. Poi il suo nome era emerso nello «strascico» di un'inchiesta di De Magistris che assieme al consulente Genchi aspirava a mettere sotto controllo... mezza Italia. 
D'Amico non aveva fatto niente, come tanti nomi dati in pasto all'opinione pubblica per meglio farne oggetti di ludibrio collettivo. Non aveva commesso alcun reato, come tanti nomi che sono «coinvolti», screditati, distrutti e poi riconosciuti totalmente estranei alle vicende che occupano le prime pagine dei giornali. D'Amico venne prosciolto, uscì dalla magistratura, scrisse molti libri. Ma era un uomo devastato. È crollato. Non ha retto al peso della macchina della gogna che gli hanno costruito addosso non per un errore giudiziario ma per la conduzione deliberatamente, fanaticamente forcaiola delle inchieste. È andato in Svizzera per uccidersi, perché non ce la faceva più a vivere.
Il nome di Pietro D'Amico è il simbolo di tutti i «coinvolti», di tutti gli innocenti schiacciati da una giustizia malata e ingiusta, dal protagonismo forsennato di magistrati che hanno bisogno dell'esposizione mediatica quanto un tossico è alla disperata ricerca di una dose di veleno. È il simbolo di chi, spesso nemmeno indagato, vede esibito il suo nome sul muro della vergogna senza aver mai commesso l'ombra di un reato. È il simbolo del credito eccessivo, cieco, fideistico, assoluto che i media regalano all'accusa inquisitrice lasciando il «coinvolto» senza difese, con la reputazione macchiata, travolto dalla macchina del sospetto, coperto dal fango che con mezzi formalmente leciti gli hanno scaraventato addosso. È il simbolo delle vittime del pettegolezzo, del misticismo della «trasparenza» con cui si nega a chiunque ogni tutela della propria vita privata, dell'onnipotenza dell'accusa, delle crudeltà dei meccanismi mediatici che stritolano chi finisce negli ingranaggi di una concezione perversa della giustizia.
È il simbolo dei tantissimi che vengono prosciolti nelle maxi-inchieste destinate quasi sempre a finire nel nulla. Di chi patisce, innocente, la vergogna del carcere preventivo. Degli assolti la cui assoluzione finisce in due righe, mentre ai tempi delle indagini l'accusa meritava due pagine. Di chi non c'entra niente, ma ha perduto tutto. Di un Paese feroce e barbarico che inneggia a chi si ammazza per disperazione, come il dirigente del Monte dei Paschi di Siena dileggiato sui social network appena scoperto il cadavere: «la prova che era colpevole, voleva nascondere qualcosa, è morto di vergogna». Del Paese perennemente attratto dalla tentazione della ghigliottina e che ha demolito la vita di Pietro D'Amico, un lungo viaggio dalla Calabria a Basilea, per raggiungere la clinica in cui l'avrebbe fatta finita, vittima di un sistema iniquo in cui persino il diritto di critica viene equiparato a un sabotaggio della giustizia.

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