venerdì 12 aprile 2013

LO PSICODRAMMA PIDDINO


I miei lettori sanno che seguo da tempo Renzi con interesse e speranza. Sono liberale e di centrodestra, per cui sarei felice che nello schieramento cui idealmente appartengo emergesse una figura simile. Ho fiducia che col tempo una persona come Giacomo Zucco, onesta, preparata e impegnata, possa trovare le giuste sponsorizzazioni ed emergere. Sogno nel cassetto, destinato a rimanere tale, è Mario Draghi, che secondo me sbaraglierebbe ogni concorrente per il prestigio accumulato alla BCE, che si aggiunge ad una preparazione e un curriculum che surclassano quelli del per tanto tempo ( ora i delusi sono legioni...) incensato, Mario Monti. Siccome stiamo ancora a Berlusconi, ahinoi, ecco che Renzi diventa un uomo di controparte visto come novità positiva. Uno che potrebbe rappresentare il cambiamento ma non in una direzione unilaterale e regressiva (un procedere del "gambero" ) , immaginata dal popolo radicale di sinistra, che alligna nel PD, in parte significativa del M5S (specie tra i "cittadini eletti" ) , e ovviamente SEL, varie formazioni ancora con il logo comunista come rifondazione, PDCI...robe così...
No, Renzi rappresenterebbe il PD come era stato immaginato da Veltroni e dagli altri al momento della fusione dei DS con i popolari della Margherita, un partito democratico all'americana, "obamiano" (oggi), o blairiano (ieri).  Un vero CENTRO SINISTRA, laddove , quando non parlano con lingua biforcuta, Bersani e alleati sanno bene che con l'attuale segreteria il PD di centro - progressista e riformista - non ha NULLA.
E infatti Berrsani, quando si difende per l'insuccesso elettorale, sostiene che comunque con lui la SINISTRA è per la prima volta il primo partito del paese (titolo peraltro conteso da Grillo, con la querelle sul conteggio o no, in questa classifica senza titoli, dei voti degli italiani all'estero) .
Ecco, un vero centro sinistra , a guida renziana, che facilmente troverebbe voti nel bacino liberal moderato e potrebbe comunque fare alleanze utili alla Nazione, io lo voterei, e come me, dicono i sondaggi, la maggioranza degli italiani. Era vero prima del 24 febbraio, e ancora vero oggi.
Ecco perché lui vuole il voto, e gli altri NO.
Però, anche all'interno del partito di cui fa parte ma dove in moltissimi mal lo sopportano, diverse fazioni che lo hanno finora avversato, temendo le sue idee di rinnovamento fino alla rottamazione dei vecchi capi, ora iniziano a rassegnarsi all'idea di una sua leadership. Si sperava che stavolta si vincesse anche con Bersani, e l'apparato già aveva fatto tutte le spartizioni del caso (Ministri, segretari, cariche istituzionali...tutto nero su bianco...).  Invece , "piccolo problemino",  come velenosamente lo definisce Renzi, non si è vinto.
E allora tutti si riposizionano, e Bersani, che dopo le primarie e col vento in poppa dei sondaggi, sembrava finalmente (per lui) il capo indiscusso del PD, è un dead man walking.
Siccome è italiano anche lui, si aggrappa fino all'ultimo a ogni minima possibilità di sopravvivere, lui e la sua corte (stomachevole) fatta da gente come Gotor, Migliavacca, Moretti....
Ma la sabbia nella clessidra sta finendo, e la possibilità che Bersani si elegga il presidente della Repubblica che fa comodo a lui, con i renziani sul piede di guerra e gli ex caporioni del partito (Franceschini, Bindi, Fioroni, Marini per non parlare dei due big di ieri, Veltroni e D'Alema ) non più al suo fianco, non è più quotata dai bookmaker inglesi.
Questo è il mio pensiero. Che non si discosta poi molto da quello di osservatori esperti e attenti alle cose di quella parte politica, come Maria Teresa Mieli e Antonio Polito.
Di seguito l'editoriale di quest'utlimo uscito oggi sul Corriere
Buona Lettura

"UNA OSTINATA PERSEVERANZA" 
 

Non sembri un paradosso, ma per il Pd sarebbe meglio se quella telefonata da Roma per sabotare Renzi ci fosse davvero stata. Perché se invece è andata come dicono Bersani e il governatore della Toscana Rossi, se cioè davvero l'esclusione di Renzi dalla lista dei Grandi elettori per il Quirinale è stata una decisione locale, allora vuol dire che nel Pd è in corso una guerra tra gruppi di potere mossi da risentimenti e vendette, ormai incontrollabili e indifferenti alle sorti generali del partito di cui fanno parte. Perché che partito è quello che schiaffeggia pubblicamente chi ha rappresentato alle primarie il 40% dei suoi elettori?
Qualche mese fa, prima del voto, si scriveva che Bersani non era mai stato così padrone del suo partito, unificato intorno alla concreta speranza di vittoria elettorale. Il potere, si sa, in politica è un forte collante. Ma l'insuccesso nelle urne, che per molti ha significato il tramonto di ambizioni personali a lungo coltivate, ha scoperchiato le differenze che esistono nel suo gruppo dirigente. Franceschini, per anni stretto collaboratore di Bersani, ha reagito alla mancata elezione alla presidenza della Camera recuperando in pieno il suo ruolo di capo corrente e annunciando (o minacciando) che il Pd è a rischio scissione. Rosy Bindi, che fino a ieri era sembrata la pasionaria del progetto Bersani, ora ne parla come di una pericolosa avventura. I «giovani turchi», giannizzeri del segretario, già veleggiano verso Barca. I toscani si vendicano di Renzi e premiano il capo di una delle due fazioni del Pd senese raccolte intorno al Monte dei Paschi. D'Alema accorre a Firenze per stringere una tregua con l'ex rottamatore proprio mentre è al colmo la sua lite con Bersani. Più che una lotta politica, nel Pd sembra essersi diffuso il caos, che è molto peggio e che in genere nasce proprio dalla mancanza di una esplicita e trasparente lotta politica.
La ragione del caos sta infatti nella debolezza della proposta del Pd per uscire dalla crisi. Il governo di minoranza, che Bersani tiene in piedi con l'eufemistica formula del «governo di cambiamento», è considerato nel suo stesso partito o irrealizzabile o pericoloso da un fronte molto ampio e trasversale. Di conseguenza tutti si preparano al dopo, rafforzando il sospetto reciproco che ognuno stia lavorando per la propria «ditta» piuttosto che per il partito. Questa guerra di trincea offre del resto il fianco anche alle manovre, come forse è stato il ballon d'essai di una candidatura Bersani al Quirinale. Non è un caso che la segreteria del Pd si sia precipitata a smentire l'ipotesi che il negoziatore stia negoziando per sé, soprattutto quando la sua leadership nel partito è agli sgoccioli.
Non foss'altro che per salvare la sua unità, il Pd dovrebbe dunque elaborare finalmente il lutto per la «vittoria mutilata», accettare la nuova realtà, attrezzarsi con nuove proposte e nuove idee, rimettere al centro del suo progetto l'interesse nazionale. Non gli mancano né la storia né gli uomini per farlo. Perché errare è umano, ma perseverare è diabolico.

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