venerdì 17 maggio 2013

A CHE PUO' SERVIRE IL GOVERNO LETTA


E' una delle rare volte in cui non mi trovo d'accordo con il bravissimo Pierluigi Battista che nel suo articolo odierno sul Corriere della Sera biasima il continuo ricorrere della frase "non è prioritario", di volta in volta riferita a vari temi di riforma. Un governo, se c'è, osserva Battista, dovrebbe governare e fare le cose necessarie nei vari suoi settori. Altrimenti, osserva, è un governo emergenziale (se non uno di quelli che un tempo si definiva balneare, teso a prendere tempo in attesa che le idee si schiarissero e si giungesse a compromessi più alti).  Nella sua obiezione c'è la risposta alla sua contestazione, almeno a mio avviso : Questo  E' un governo di emergenza, vulneato dai veti reciproci che già indebolirono, e molto, l'azione di Monti, partito bene ma presto impantanatosi  (e quindi poi capace solo di aumentare la tassazione, aggravando la recessione ). Quindi è proprio il contrario di quello che auspica il grande giornalista : Letta deve provare a fare, se riesce,  poche cose, tra cui, imperativo assoluto di Napolitano, la riforma della legge elettorale. Dopodiché , o la tensione , oggi altissima, scema e   i due partiti, uno contro l'altro armati, inizieranno seriamente a dialogare, e quindi veramente si realizzerà una grande coalizione alla tedesca (un miracolo...), oppure l'alternativa è : a) voto anticipato b) alleanza della sinistra con Grillo. Terzo non dato, a mio parere.
La Kienge vuole lo Ius Soli, l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina. La Idem pensa alla questione dei diritti civili dei gay. Alfano ha tirato fuori le intercettazioni. Con la ripresa dei processi a Berlusconi, ritorna sul tavolo la questione giustizia, ben sapendo, le persone serie,  che niente si potrà fare per riformare quel campo, che pure ne avrebbe enorme bisogno, finché il Cavaliere sarà in prima fila. E non si tratta solo di quella penale, anche quella civile è irriformabile perché passa , inevitabilmente, per la modifica  di certe "abitudini" dei giudici, quali  il fare carriera per anzianità, senza alcun criterio meritocratico di efficienza, che solo a sfiorarle si alzano i lai di attentato all'indipendenza e all'autonomia...
E intanto gente come Zanda - che pure è il capogruppo del PD che appoggia il governo - tira calci straparlando di ineleggibilità di Berlusconi...
Qui, è il mio parere, sarebbe già tanto se si trova il modo di accogliere qualche idea che diversi osservatori economici suggeriscono da tempo : studiare ed avviare una seria dismissione del patrimonio pubblico per diminuire finalmente il debito, stabilire che le somme ricavate dall'evasione fiscale sono destinate NON alla spesa pubblica ma a diminuire la tassazione (così finalmente la fola "pagare tutti per pagare meno" avrebbe un timidio inizio di avveramento),  ridurre comunque le tasse SUBITO e la spesa pubblica corrispondente in tre anni (idea di Alesina e Giavazzi ) . Affrontare con le Banche il problema della loro ricapitalizzazione (anche ricorrendo al fondo europeo a ciò preposto), perché le stesse riprendano a fare credito a imprese e famiglie Sono misure trasversali, che non dovrebbero incontrare la pregiudiziale opposizione di nessuno, e che potrebbero favorire una ripartenza dell'economia e un circuito finalmente virtuoso. 
Se nel frattempo gli altri ministeri si atterranno alla ordinaria amministrazione, cercando piuttosto di eliminare gli sprechi dei rispettivi dicasteri, sarebbe il massimo.
Ecco comunque l'articolo del bravissimo opinionista


  "La Coalizione del «non è Prioritario» cioè, «no, quella Cosa non si ha da Fare»"



Consigli per i disperati decrittatori della politica italiana: quando si dice «non è nelle priorità», bisogna intendere «no, non siamo d'accordo», «non si fa», «rimandiamolo di qualche anno e possibilmente di qualche lustro». È il nuovo dizionario dei sinonimi e contrari nell'era (un po' ipocrita, anzi molto) della nostra piccola, grande coalizione.
Non si fa altro che dire da settimane a questa parte che qualcosa «non è nelle priorità». Una scelta lessicale un po' scorretta. In teoria non dovrebbero esistere, le priorità, in un normale di governo. Essendoci oltre venti ministri, ci dovrebbero essere oltre venti priorità. Un buon intervento in campo economico non è prioritario a uno in campo scolastico o in campo agricolo: dovrebbe essere contestuale. A meno che un governo non si presenti esplicitamente come un esecutivo di emergenza, giusto il tempo di realizzare quei provvedimenti, più che prioritari, urgenti e inderogabili. Ma il governo Letta, per quanto nato in circostanze molto speciali e formato da forze che normalmente si collocano su fronti opposti, non è un governo a tempo. Anzi, il presidente del Consiglio, nel suo discorso per ottenere la fiducia delle Camere, ha delineato un progetto molto ambizioso, di certo non limitato a poche cose, essenziali e straordinariamente «prioritarie». E allora, chi decide se una riforma, un provvedimento, un disegno di legge, sono «prioritari» oppure no? Dove si compila la lista delle cose che si possono e si devono fare e quella delle cose che «non sono nelle priorità» del governo e del Parlamento? Ecco perché l'evocazione del «non prioritario» nasconde, dietro una formula convenzionale e nebbiosa, la soppressione di qualunque elemento possa disturbare il precario equilibrio di governo. Ecco perché non si può e non si deve scegliere, dietro il paravento della «non priorità», qualunque provvedimento che suoni come causa di conflitto tra le parti. Ma questo minimalismo potrebbe essere il principale handicap di un governo che non può affrontare solo l'ordinaria amministrazione ma deve dimostrare la sua capacità riformatrice. Pena il suo deperimento e il suo sacrificio sull'altare del «prioritario», parola dai mille usi e pericolo di un governo che invece dovrebbe osare di più.

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