martedì 28 maggio 2013

IL CENTRODESTRA , A DIFFERENZA DEI GRILLINI, AMMETTE LA SCONFITTA.


Mi sembra molto realistica l'analisi che il centrodestra ha avviato sul risultato elettorale dell'ultimo we. A differenza di certi grillini, che commentano il brusco stop subito con frasi degne dei peggiori politicanti democristiani della prima repubblica, Berlusconi e i suoi non si nascondono i numerosi elementi negativi emergenti dalle urne :
1) L'astensione è un fenomeno grave per la democrazia. Ho letto commenti di persone che ricordano come nei paesi del Nord Europa percentuali di voto che superano il 60% se le sognano. A parte il fatto che anche a  Roma il 60% è diventato un sogno ! ( meno del 53 ) , ma poi non vedo perché un fatto indubitabilmente negativo come il disinteresse alla res publica, come è la decisione del non voto,  possa essere accantonato con una alzatuccia di spalle, solo perché magari stavolta l'astensione ha punito di più i "nemici".
2) Se Grillo dovrebbe piangere (e sicuramente contento non è), il PDL non ha nessun motivo per ridere. I sondaggi ancora una volta si rivelano poco affidabili , probabilmente sballati proprio da un livello così alto di astenuti. In teoria ne tengono conto, ma poi nella realtà non riescono mai a calcolarlo correttamente e a individuare l'impatto sul voto reale. Resta il fatto che ancora ieri i sondaggi "nazionali" danno il centro destra in testa sulla sinistra, ma nelle votazioni questa cosa NON si è minimamente vista. Praticamente ovunque le coalizioni di sinistra sono avanti, e  anche in città del Nord dove il centro destra tradizionalmente è forte, le cose sono andate male.
3) Perché l'astensione punisce più la destra della sinistra ? Perché alla fine della fiera l'elettorato della seconda è più disciplinato e meno liquido della prima. E le faide locali pesano. Si pensi in Puglia, dove alle ultime governative il centro destra subì la concorrenza della Borbone e la divisione fece rivincere Vendola. O anche in Sicilia, dove Miccihé , alle politiche di nuovo alleato, si presentò da solo e tolse voti a  Musumeci. Cosi Crocetta, con appena il 30% dei voti espressi ( il che vuol dire con il consenso di nemmeno due siciliani su 10 !!!) è governatore, mentre i due litiganti si sono spartiti una maggioranza di voti di centrodestra che avrebbero assicurato la vittoria con il 40% (Musumeci 25, Micciché 15).
Che le cose stiamo come esposto lo dimostrano le elezioni politiche dove nel voto al Senato sia la Puglia che la Sicilia hanno visto la prevalenza del centrodestra sulla sinistra.
Insomma, con tutti i loro grossi guai, confermati anche in questa occasione (rispetto al 2008, Marino prende al primo turno meno della metà dei voti di Rutelli : 326.000 contro 733.000 !! ) , quelli di Sinistra si possono consolare con le poltrone, che alla fine pare siano l'unica cosa che conti.
Eppure 300.000 voti su 2.350.000 elettori significano meno del 15% del totale...anche qui, come in Sicilia, solo due romani su dieci mostrano di volere Marino come Sindaco e di approvare il suo programma.
DUE SU DIECI !!!!
C'è qualcosa che non va o no ?
Grillo non riesce più, sembra, a intercettare lo scontento, ma questo rimane, e bello grande.
Berlusconi, dalle dichiarazioni che fa, sembra averlo capito.
A Sinistra festeggiano con pane e olio.
Ecco l'articolo del Corriere on line


Amministrative 2013 - Il centrodestra

Delusione Pdl, a rischio pure le roccaforti
Berlusconi: «La gente è sempre più lontana»

I dubbi su Alemanno. In Sardegna il Cavaliere ha accolto i risultati «senza drammi», i sondaggi però erano ben diversi

Silvio Berlusconi (Lapresse)Silvio Berlusconi (Lapresse)
ROMA - Le previsioni della vigilia erano molto, ma molto diverse. Incoraggiati da sondaggi che continuavano a raccontare di una ripresa che sembrava una cavalcata, con passo di un punto guadagnato a settimana, nel Pdl si attendevano un buon successo in questa tornata amministrativa. Triste è stata dunque la scoperta, nel pomeriggio di ieri, che il voto non ha rispettato le previsioni: arretramento ovunque, anche in roccaforti tradizionali come Imperia, in città governate come Brescia e Viterbo e Treviso, sconfitte pesanti a Vicenza, Sondrio, Siena, Ancona.
Per non parlare di Roma. L'attesa non era quella di una vittoria al primo turno, e forse neanche di un sostanziale pareggio. Ma un divario tanto netto tra Alemanno e Marino e un voto sulle liste deludente è stato un segnale negativo che il drammatico calo dell'affluenza non faceva presagire. Prima dello spoglio, anzi, quel 53% di affluenza al voto era dato quasi in carico a Marino, al quale si attribuiva un tracollo perfino pericoloso per il governo. Poi, la brutta sorpresa. E un vertice tra i big di via dell'Umiltà per fare il punto, senza drammi ma con un'analisi condivisa: «Al Sud - dice un ex ministro - abbiamo retto abbastanza perché il partito è articolato con lavoro sul territorio dei dirigenti, al Centronord male perché è mancato l'effetto trascinamento di Berlusconi che è rimasto fuori dall'agone e perché le lotte intestine locali hanno provocato gravi danni». La conclusione, comunque, è unanime: il governo? Non rischia, ma deve darsi una mossa sul terreno delle riforme politiche ed economiche, perché la disaffezione degli elettori indica che servono misure molto più incisive, o i partiti saranno travolti.
Raccontano che Berlusconi, dalla Sardegna dove si è rifugiato per riposarsi e dove dovrebbe restare per tutta la settimana, abbia accolto «senza drammi» il risultato del voto. Certo, come la pensasse lui lo sapevano tutti da tempo: quando, due mesi e mezzo fa, lesse a pochi giorni dal voto i risultati di sondaggi che davano Alemanno attorno al 20% provò sul serio a sostituirlo, puntando su Marchini. Missione fallita, per il no del candidato centrista e l'opposizione di un Pdl che, dopo che il Cavaliere aveva imposto Storace con risultati deludenti, non voleva cedere un altro uomo di partito. Ora, non è il solo a ripetere che «non era l'uomo adatto, non poteva vincere», anche se nel partito ad alta voce nessuno se la prende con lui: «A Roma scontiamo ancora le vicende che hanno travolto la Regione, Gianni ha fatto il possibile e molto c'è da fare e combattere ancora», dice Maurizio Gasparri, mentre le voci sul sindaco che, in caso di sconfitta, si muoverebbe per «scalare il partito» si moltiplicano.
Ma è piuttosto l'astensione, dice chi gli ha parlato, a preoccupare - e molto - Berlusconi. Che non fa un dramma del risultato elettorale, tanto da aver chiamato ieri Alemanno dicendosi fiducioso in vista del ballottaggio, ma che guarda piuttosto al quadro politico nel suo insieme e si angoscia per un risultato che vede «la gente sempre più delusa e lontana dalla politica perché non stiamo dando le risposte che si aspettano». Il forte calo dei grillini, che in misura molto più ridotta anche i suoi sondaggi a livello nazionale confermavano, non si trasforma in un aumento di consensi per gli altri partiti e per il Pdl in particolare, che da un po' ha fermato la sua risalita, e questo lo colpisce. A chi gli ha spiegato che le sue vicende personali e giudiziarie incidono e molto sul voto, ha replicato scegliendo una linea sempre più «da statista» rispetto al governo, che nei sondaggi è quella che paga. E che ieri, anche dopo il voto, è confermata.
E però, appunto, il dato dell'astensione gli suggerisce che l'impatto in positivo del governo sulla vita degli italiani non è stato ancora recepito, ed è su questo che l'esecutivo è sotto esame. Il sostegno al governo «non è in discussione per i risultati elettorali - dice Fabrizio Cicchitto -, ma quello che ci interessa e ci fa giudicare la validità dell'esecutivo è la capacità di fare le riforme, economiche e politiche. A questo stiamo guardando». Insomma, per dirla con Berlusconi, o il governo «si muove con misure choc e subito, o anche questo voto ci dice che rischiamo di essere tutti spazzati via». E se quindi non è prevedibile un allentamento del sostegno all'esecutivo oggi sull'onda dei risultati elettorali, qualsiasi essi siano alla fine, è certo che Berlusconi incalzerà chiedendo «misure forti, decisive, convincenti», per l'immediato, perché è alla «realizzazione dei fatti» che è appesa la vita del governo.

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