Ho fatto le mie osservazioni sulla tornata elettorale che ha riguardato Roma e altre città italiane, meno popolose (su circa 7 milioni di elettori interessati, Roma rappresentava da sola un terzo).
Chi vuole può leggerle nei vari post che qui ricordo :
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/a-roma-uno-su-due-aventi-diritto-non.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/grillo-disastro-amministrative-ma-i.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/il-centrodestra-differenza-dei-grillini.html
Qui riporto l'analisi di un giornalista che bene conosce il suo mestiere e pure la Capitale, dove vive. Parlo di Pierluigi Battista, ultimamente oggetto di attacchi duri da parte dei grillini a causa di suoi articoli critici nei confronti dei deludenti primi passi del M5Stelle dopo il trionfale voto di febbraio.
Siccome poi i fatti contano...se ovunque le liste pentastellate hanno perso dal 50 al 70% dei voti (a Roma dal 27 a meno del 13, che in termini di voti è anche peggio, visto l'abnorme massa degli astenuti ) , si vede che il "nullomane", come è stato carinamente apostrofato Battista, ha ragione, e il Guru ha torto.
Buona Lettura
"Dalle piazze deserte alle urne vuote"
Con la metà degli elettori romani che sono rimasti senza
fiducia a casa, il sindaco uscente di Roma, Gianni Alemanno, con il suo 30 per
cento è stato scelto da circa il 15 per cento (un cittadino su sei) degli
aventi diritto al voto: il minimo storico da quando esiste l'elezione diretta
dei sindaci. Potrà tentare la rimonta clamorosa al secondo turno, ma il segnale
di scoramento dei romani nei confronti di chi è stato a capo del Campidoglio
negli ultimi cinque anni è evidente e incancellabile. Alemanno, tra i candidati
di Roma, è quello che stasera non potrà mai sorridere. E non potrà sorridere
nemmeno Beppe Grillo. L'onda astensionista ha travolto anche lui. Il re
dell'antipolitica non viene più riconosciuto come il portabandiera della
protesta e dell'ostilità nei confronti delle nefandezze e degli sperperi della
politica. Il non voto appare una protesta ancora più forte, la diserzione delle
urne uno sberleffo di gran lunga più sferzante del voto a Grillo. Anche in
Sicilia, in realtà, era accaduto qualcosa del genere. Ma il voto romano viene
dopo il trionfo grillino nelle elezioni politiche. Il 12 e rotti per cento al
candidato De Vito riflette ancora una sacca di consenso irriducibile, un po'
come l'inscalfibile fedeltà che una minoranza di elettori francesi tributa a Le
Pen, ma comunque tradisce un esaurimento, un senso di stanchezza della
cavalcata del 5 Stelle, determinato un po' dal comportamento sin qui seguito
dal movimento nelle turbolenze parlamentari, un po' dall'oramai patologica
capacità italiana di bruciare in tempi rapidissimi ogni novità. Ride Alfio
Marchini, il cui irriverente fake "Arfio" ha contribuito a dare una
popolarità insperata a un outsider che, all'inizio della sua avventura di
candidato, sembrava non poter aspirare che a percentuali ridottissime. E invece
la sua efficacia mediatica, il disincanto verso gli apparati tradizionali dei
partiti, e una certa immagine un po' stralunata veicolata da un nomignolo,
"Arfio", che ne ha sottolineato il carattere romanescamente ruspante,
hanno permesso a Marchini addirittura di contendere il terzo posto al molto più
onnipresente Beppe Grillo. Ora Marchini sarà oggetto della corte molto
insincera dei due candidati al ballottaggio, ma l'elettorato che gli ha dato
fiducia in un mare di astensioni non è certamente un esercito così disciplinato
e così politicamente e socialmente omogeneo da garantire l'ascolto granitico di
eventuali endorsement marchiniani. Non ride certo Silvio Berlusconi. Stavolta è
accaduto il contrario nella differenza tra i sondaggi della vigilia e i voti
effettivamente conquistati: oggi i risultati sono molto inferiori rispetto alle
previsioni. Non dicevano tutti che la tempesta che stava annichilendo
l'avversario del Pd avrebbe clamorosamente favorito Berlusconi? E invece anche
l'elettorato di centrodestra, già massicciamente in fuga nelle elezioni dello
scorso febbraio (quasi il 16 per cento in meno rispetto al 2008), non sembra
riconquistato dalla "responsabile" scelta governativa del suo leader.
Berlusconi era davvero affranto e sconcertato quando, venerdì scorso, la piazza
antistante il Colosseo accolse il candidato Alemanno e il leader incontrastato
del Pdl con i vuoti desolanti di una manifestazione numericamente fallita. Ma
ha pensato a un incidente di percorso, a un disguido tecnico-organizzativo.
Sbagliando. Perché la crisi del radicamento del centrodestra a Roma sta
diventando cronica. Con l'aggravante che ancora una volta il Pdl si dimostra
incapace di affrontare una sfida elettorale impegnativa senza un'immediata
identificazione con la figura del leader. Un'incapacità che il carosello
elettorale dello scorso febbraio ha parzialmente occultato, anche grazie allo
psicodramma che ha funestato il Pd bersaniano, ma che è destinata a
ripresentarsi quando l'esigenza di un ricambio, la necessità di un centrodestra
senza Berlusconi, diventeranno scadenze improrogabili. Sorride Ignazio Marino.
Per diventare sindaco di Roma ha bisogno tra due settimane di conquistare un
altro 10 per cento. E vale per lui lo stesso calcolo proposto per Alemanno
quando un elettore su due ha deciso di non recarsi alle urne: il suo 40 per cento
e passa diventa il 20 per cento e passa degli aventi diritti al voto. Eppure
Marino può fregiarsi del titolo di (provvisorio) salvatore della patria di
marca Pd. Un partito che sembrava allo sbando, con l'apparato romano sull'orlo
della disintegrazione, spaccato da primarie al veleno, è comunque riuscito a
rintuzzare l'impetuosa avanzata grillina e ad aggregarsi attorno a un candidato
considerato non fortissimo e non proprio popolare. L'astensionismo ha colpito
duramente anche il mondo dei Democratici, ma il partito con Marino ha evitato
l'effetto squagliamento. Risultato che certo non dispiacerà al premier Enrico
Letta. Il chiasso del dissenso, il fragore di «Occupy Pd», sembravano aver
inchiodato il governo di coabitazione tra Pd e Pdl in una condizione difficile,
come se un vento di rivolta potesse squassare il partito di cui Letta è stato
fino a poco più di un mese fa. Ma la rivolta non ha sgretolato il Pd e
soprattutto non ha premiato il movimento di Grillo, che anzi oggi appare ancora
più in crisi del suo competitore Democratico. Letta non sorride, ma tira
legittimamente dal voto romano un sospiro di sollievo. Berlusconi non può più
cantare facilmente vittoria, il candidato Alemanno è il più colpito dalla
delusione di una città sempre più esausta e scettica. Il Partito democratico
può pretendere ancora di giocare un ruolo, malgrado l'uragano che lo sta
spezzando e che certo non sarà placato dalla precaria leadership di Guglielmo
Epifani. Nella lotteria romana sorride il candidato Pd e l'outsider "Arfio"
a cui adesso imploreranno i voti. Ma il ballottaggio è una creatura bizzosa.
Per due settimane i competitori dovranno cercare di domarla.
Continuo a domandare ai fan del dott. Ignazio Marino- che Roma conosce più o meno per turismo- per quale ragione secondo loro questo chirurgo che il mondo ci invidia ha questa fregola di diventare il sindaco della capitale. Mai ricevuto una risposta che sia una.
RispondiEliminaSono piuttosto d'accordo con queste obiezioni...
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