Ho spiegato altre volte come mai la mia attenzione si sia concentrata così tanto su Bersani, il compagno ex segretario del PD : si tratta di umana Delusione. L'uomo divenne nazionalmente conosciuto con la carica di Ministro dell'Industria del secondo governo Prodi e famoso per la "lenzuolata" di liberalizzazioni che varò in tale veste. In realtà la sua fu una mini riforma, però era comunque un inizio, qualcosa di diverso, rispetto al nulla di sempre. E poi questo cambiamento proveniva da un comunista, e questo stupiva di più. Infine ebbero fama superiore ai risultati proprio grazie ai "nemici" , vale a dire le varie categorie e lobbie toccate che fecero fuoco e fiamme nemmeno le avessero abolite ! Notai, farmacisti, avvocati, assicuratori...tutti gridarono inferociti e questo fece sembrare Bersani un eroe anti casta e anti privilegiati. Nella sostanza, ripeto, i provvedimenti furono molto meno incisivi di quello che sembrarono dalle reazioni, come dimostra il fatto che l'Europa è ancora lì che ce le chiede, liberalizzazioni VERE.
Il modo di parlare, con inflessione emiliana, semplice, già allora solito alle metafore popolari, lo rendevano simpatico. Insomma, un Peppone istruito, per ricordare il bonario compagno sindaco, avversario-amico di Don Camillo. Diventato segretario del PD, si poneva su posizioni "centriste" rispetto alle correnti più di destra del partito ( Renzi ma non solo) e quelle invece di sinistra (i giovani turchi, i nostalgici della sinistra "storica", più radicale e sindacalista). Dopo la crisi del governo Berlusconi però, lo smottamento evidente del centro destra, smarrito dal senso del " e mo' ???", con un partito non più egemonizzato dal Cavaliere e non sapendo come tenerlo insieme senza più la figura carismatica del "padrone", ha "fomentato" il pacato Bersani facendogli intravedere un regalo inaspettato : col Porcellum (fino ad allora demonizzato) e col suo premio di maggioranza incostituzionale ma presente, si poteva tentare il colpo gobbo e vincere finalmente le elezioni da SINISTRA. Con un candidato premier ex comunista (in passato D'Alema s'inventò Prodi come maschera accettabile) e con una coalizione solo di nome di centrosinistra, ma dove in realtà palesemente il "centro" non c'era più. Quanto valeva una formazione del genere ? Sicuramente sotto al 40%, e Bersani lo sapeva benissimo. Ma stavolta si poteva vincere anche col 33%, la percentuale "storica" della Sinistra, quella dalla quale NON schioda da 60 anni (qualche volta scende semmai...e infatti stavolta è scesa) e Bersani non voleva perdere questa occasione. Così si è rinunciato alla carta Renzi che tutti sapevano avrebbe colto percentuali di voto maggiore, e soprattutto avrebbe affossato definitivamente il Berlusconismo (il Cavaliere non si sarebbe affatto presentato con Renzi in campo...).
La difesa di fatto (perché a parole ovviamente non si poteva...un minimo di decenza dopo un lustro di insulti contro la "porcata" di Calderoli ! ) del Porcellum, in nome della "governabilità (che è un valore importante, certo, ma sotto una soglia minima di consenso ne va della Democrazia !) , la virata decisa a sinistra, con abbandono dei liberali (lo scrisse anche Europa, giornale del PD) e la marginalizzazione delle componenti non "vendoliane" e "camussiane", furono una delusione per chi, come me, credeva che comunque Bersani fosse un autentico socialdemocratico, libero dalla storica ossessione del non lasciarsi "nemici a sinistra".
Sbagliavo. Ma tutto questo è stato niente a fronte del post elezioni.
Al riguardo ho scritto tanto, e preferisco lasciare oggi spazio all'analisi di un uomo, Claudio Petruccioli, da lustri appartenente alla "Ditta", come da quelle parti chiamano il partito, e quindi non accusabile di malanimo e faziosità attribuibili ad un avversario.
Condivido molte delle cose scritte da Petruccioli, ma non la conclusione (sulla quale del resto lui stesso ha molti dubbi) . La pervicace negazione della realtà della situazione politica emersa dal voto, così poco togliattiana, sarebbe la scelta strategica PERSONALE di Bersani di porsi come uno che comunque alle larghe intese non si è voluto prestare, e da lì muovere per la rivincita.
Debole. E' vero che dopo il trauma Prodi, Bersani ha fatto un passo indietro, dimettendosi da segretario e rimanendo fuori dal governo Letta (né lui e nessuno dei suoi sono nell'esecutivo), però è uno che in direzione si è speso, contro i mal di pancia di molti, perché alla fine le larghe intese passassero. In questo dimostrandosi peraltro leale con la parola data al Presidente Napolitano, quando lo ha pregato di accettare la ricandidatura, e non facendo scherzi a Letta, che infatti nel suo discorso in Parlamento gliene ha dato atto.
No, a me sembra piuttosto che Bersani veramente sia rimasto scioccato da un esito elettorale che mai si aspettava così negativo dopo le premesse e i sondaggi (la non autosufficienza al Senato era tra le cose possibili, ma si pensava che sarebbero bastati i voti dei senatori di Monti, con il quale un'intesa si sarebbe sicuramente trovata). Invece, la perdita di oltre 3.500.000 voti, una percentuale addirittura ferma al 29% per la coalizione e al 25 al partito (Veltroni aveva ottenuto il 33% nel 2008...) , il successo nelle regioni chiave di Berlusconi , il trionfo di Grillo e il modestissimo risultato di Lista Civica hanno realizzato la "tempesta perfetta". Mal consigliato da quei consiglieri (allucinante Gotor) che , come lui e più di lui non volevano proprio credere di rinunciare ad un sogno così a lungo accarezzato ( incarichi di ogni tipo erano da tempo stati previsti e assegnati sulla carta ! ce n'era per tutti !!), Bersani è "impazzito" per due mesi. Gli schiaffoni di Grillo li ha subiti come un pugile ormai groggy che nemmeno sente più il dolore, ma la carica dei 101 franchi tiratori che gli hanno affossato l'ultima chance - Prodi - è stata il colpo del KO.
Quando si è risvegliato in infermeria, era tornato lucido, e ha telefonato a Napolitano accettando quella verità così ciecamente negata.
Buona Lettura
L'errore cognitivo di Bersani
martedì 30 aprile 2013. Categoria: Le bombe intelligenti, Autore: Claudio Petruccioli
Quando si deve fare un bilancio in politica (si può dirlo, in verità, per tutte le attività umane) lasciarsi andare a indulgenti sentimentalismi, ripetere "poveretto, è una brava persona", impedisce di analizzare esattamente la situazione e - soprattutto - di trarre dall'esperienza le necessarie lezioni.
Non voglio, qui, neppure abbozzare un bilancio della segreteria Bersani; sono stati tre anni e mezzo abbondanti, dall'ottobre 2009 a oggi; un tempo sufficiente per dare una impronta all'immagine del partito, alle sue strutture e ai suoi assetti interni, a cominciare dalla scelta degli addetti alla conduzione della macchina. Ancora poche settimane fa, particolarmente dopo la vittoria nella competizione con Renzi, Bersani appariva a tutti saldamente in sella come leader del PD, circondato e sostenuto da una leva di donne e uomini da lui promossa e a lui legata. Questo bilancio si farà con il tempo e la calma necessari.
Sento invece l'impellente necessità non dico di trovare le risposte ma di formulare almeno le domande esatte su quello che appare a me un vero e proprio enigma: capire, cioè, il comportamento di Bersani dal voto del 25 febbraio in qua. Questi due mesi sono stati dominati, a mio avviso, da un errore madornale, addirittura inconcepibile per chi ha la sua esperienza e viene da una scuola come quella del Pci. Un errore non di linea politica, di tattica o simili: un errore che non saprei definire diversamente che cognitivo in quanto ha determinato un vero e proprio disconoscimento della realtà.
Per dirla semplicemente, Bersani si è comportato come se avesse vinto le elezioni; il che - notoriamente - non è stato. Non avrebbe fatto nulla di quanto ha fatto se non fosse partito da questa premessa infondata. Non avrebbe preteso che l'incarico di formare il governo fosse attribuito a lui e a nessun altro; non avrebbe creduto oltre ogni ragionevolezza che dal M5S gli sarebbero venuti tributi che si concedono solo ai vincitori; non avrebbe - in particolare - enfatizzato il carattere "di cambiamento" del suo governo che (a parte ogni altra considerazione) presupporrebbe una maggioranza solida e autosufficiente.
Che questo fosse il punto critico, è risultato chiarissimo dalle prime parole pronunciate da Enrico Letta subito dopo aver ricevuto l'incarico di formare il governo. "Non c'è stato - ha detto - un vincitore delle elezioni". Sette parole: è bastato pronunciarle ed è cambiato tutto il film. Se le avesse pensate e dette, fin dall'inizio, Bersani lo svolgimento delle vicende politiche postelettorali sarebbe stato tutt'altro e - con ogni probabilità - lui stesso non avrebbe dovuto passare la mano ad altri, pronti a dare voce alla inoppugnabile verità dei fatti.
Come spiegare perché non lo ha fatto? perché è avvenuto questo inaudito fraintendimento? Evito speculazioni psicologiche, come chiamare in causa lo choc che, spesso, segue alla mancata realizzazione di un obiettivo considerato sicuro e fortemente agognato. Né riesco a immaginare che il premio assicurato dal porcellum (che ha quasi raddoppiato la rappresentanza del PD alla Camera) possa aver indotto ad una sconsiderata sopravvalutazione di un risultato elettorale più che modesto (un quarto di voti in meno rispetto a quelli del 2008).
Per dirne una fra le tante, sono restato allibito quando Bersani non ha rimesso l'incarico affidatogli da Napolitano, e se lo è anzi tenuto, pur congelato (tra parentesi: che fine ha fattoformalmente quell'incarico?). Ha reso così impossibile la separazione fra le scelte per il Quirinale e le dinamiche per la formazione del governo, separazione che pure andava predicando. Penso che questa imprudenza abbia pesato molto nella serie di rovesci registrati durante gli scrutini per la elezione del Capo dello stato. Non credo che c'entri l'ambizione personale; doveva essere però ben salda nel segretario del PD la convinzione di poter raggiungere quanto si proponeva.
Comunque io lo giri, non riesco a venire a capo del rebus. La sola motivazione politica plausibile che possa darmi conto della condotta di Bersani negli ultimi due mesi è la seguente: pur sapendo egli benissimo che non poteva finire diversamente da come è finita, cioè con un governo sostenuto sia dal centrosinistra che dal centrodestra, ha voluto posizionarsi come colui che esclude, in qualunque circostanza, ogni commistione, ogni forma di collaborazione governativa con il Pdl. Se è così, vuol dire che affida alla nettezza di questo profilo e di questa collocazione le sue future battaglie e fortune politiche.
Riconosco che - nonostante io non sia stato capace di trovarne altre - questa spiegazione appare anche a me poco convincente. Meglio così; perché se avesse invece un fondamento la vita tanto del PD che si prepara al congresso, quanto del governo appena varato conoscerebbe travagli durissimi.
Claudio Petruccioli. Ha diretto l'Unità all'inizio degli anni '80 e tra l'87 e il '92 ha fatto parte della segreteria nazionale del Pci. Più volte parlamentare, dal 2005 al 2009 è stato Presidente della Rai.
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