Intervista di Belpietro a Berlusconi all'antivigilia della pronuncia della CAssazione di martedì prossimo.
L'idea di accettare il carcere, più come atto di sfida che di ossequio alla legge (nessuno, nemmeno tra i berlusconiani più fervidi, credo oserebbe paragonare il Cavaliere a Socrate, che rifiutò la fuga per obbedire alle leggi di Atene, ancorché convinto, lui come i suoi, che la sua condanna fosse ingiusta...), veramente sarebbe stata un malinteso, il solito fraintendimento.
In realtà, nessuno immagina possibile questa ipotesi. Berlusconi ha 78 anni, al momento questa sarebbe la prima condanna, e la pena in concreto già è ridotta ad un anno, per via dell'indulto. Si parla di pena commutata in servizi sociali, o al massimo i domiciliari. Ma ovviamente quelloc he conta è la valenza politica della cosa.
Tornando all'intervista, l' uomo si dice fiducioso che una Corte onesta non potrà non assolverlo, ma che comunque andrà, lui di ritirarsi dalla politica non ci pensa affatto.
Se lo dico io, qualche nuovo lettore (lettrice) mi critica di berlusconismo, e allora lo faccio dire a Bersani che, in campagna elettorale, alla domanda "c'è una qualità che invidia a Berlusconi ?" rispose : " E' un combattente, uno che non molla mai ".
Berlusconi: "Se mi condannano voglio andare in cella"
Il Cavaliere: "Nonostante tutto, sono convinto che martedì la Cassazione mi assolverà. Ma se così non fosse, non farò l’esule come Craxi"
Silvio Berlusconi non scappa. Alla vigilia della
sentenza della Cassazione che potrebbe condannarlo a quattro anni di
carcere e a cinque di interdizione dai pubblici uffici, ponendo fine
alla sua carriera di leader parlamentare del centrodestra, il Cavaliere
si sfoga contro quello che ritiene un disegno politico per eliminarlo,
ma al tempo stesso rivela anche le sue intenzioni per il dopo 30 luglio,
deciso - come sempre - a non mollare. Comunque vada, e cioè anche se la
suprema Corte confermasse il giudizio d’appello e dunque gli
spalancasse le porte del carcere, l’ex premier non ha nessuna intenzione
di scappare. Nella villa di Arcore, quella dove secondo i giudici si
sarebbero tenuti i festini a base di sesso e che ora appare solo una
dimora storica piena di quiete e foto di famiglia, ripete senza
cedimenti le sue decisioni. «Non farò l’esule, come fu costretto a fare
Bettino Craxi. Né accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come
un criminale che deve essere rieducato. Ho quasi settantotto anni e
avrei diritto ai domiciliari, ma se mi condannano - se si assumono
questa responsabilità - andrò in carcere». Quella di Berlusconi non è
una resa. L’uomo che per vent’anni è stato il protagonista della vita
politica italiana non ha la voce incrinata dallo sconforto né le sue
parole sono venate dalla rassegnazione.
Tutt’altro. Il capo del Pdl, l’uomo che alle soglie degli
ottant’anni immagina di rifondare il partito con il quale debuttò sulla
scena politica quasi vent’anni fa, nonostante i colpi subiti e
nonostante le incredibili accuse che gli sono piovute addosso negli
ultimi anni e le assurde sentenze che gli sono state messe sulle spalle
dai giudici, è sereno. «Non ho dormito per un mese. La notte mi
svegliavo e guardavo il soffitto, ripensando a quello che mi hanno
fatto. In pochi mesi otto pronunciamenti contro di me. I diritti
Mediaset, Ruby, la telefonata Fassino-Consorte, gli alimenti alla mia ex
moglie, le richieste dei pm di Napoli e Bari, la decisione della
Consulta sul legittimo impedimenti, il respingimento della richiesta di
trasferire a Brescia il processo per le cene di Arcore, l’abnorme
risarcimento a De Benedetti». Probabilmente dimentica qualcosa, ad
esempio la decisione improvvisa e inusuale di fissare per il 30 di
luglio la discussione del ricorso contro la sentenza per i diritti tv,
l’ultimo colpo, quello che potrebbe cacciarlo dal Parlamento.
Le tasse pagate - Sono le dieci di sera.
Il Cavaliere è appena arrivato da Roma ed è visibilmente stanco per la
lunga giornata. Ciononostante appare sereno. Fa caldo e nella vecchia
villa di campagna dei Casati Stampa non c’è aria condizionata. Le
finestre sono aperte e da lontano si sente la musica di una festa di
paese. «Suonano tutte le sere», butta lì Francesca Pascale, la donna che
ormai da tempo è a fianco di Berlusconi. Piccole frasi fra una
telefonata e l’altra che l’ex premier intrattiene con i suoi uomini, con
i figli e la nipote.
Ma appena riabbassata la cornetta il discorso torna lì. Al
processo. A dopodomani. Alla possibile sentenza definitiva. «Io sono
abbastanza ottimista: non possono condannarmi. I miei avvocati hanno
proposto cinquanta obiezioni alla decisione della Corte d’appello e la
Cassazione già in altre occasioni ha riconosciuto che io non firmavo i
bilanci, non partecipavo alle decisioni dell’azienda e non avevo alcun
ruolo diretto nella gestione di Mediaset. Facevo il presidente del
Consiglio, cosa ne potevo sapere io dei contratti per i diritti
televisivi? Non me ne occupavo quando stavo a Cologno, figurarsi se lo
potevo fare nei primi anni Duemila quando ero a Palazzo Chigi».
Il Cavaliere riepiloga le tasse pagate nel corso degli
anni e quanto piccola sia la cifra che gli imputano di non aver versato
al Fisco. «Vi pare che avrei rischiato tutto questo per tre milioni dopo
averne corrisposti più di cinquecento in un solo esercizio? E poi, se
fossi stato così fesso da evadere le imposte, a un certo punto non avrei
usato il condono tombale che il mio stesso governo aveva introdotto?
Invece gli avvocati di Mediaset rifiutarono di usufruirne perché erano
assolutamente certi che non vi fosse nulla da nascondere».
«No, non possono condannarmi», ripete come un mantra. «Se
non c’è pregiudizio, se non ci sono pressioni, la Cassazione non può che
riconoscere la mia innocenza». Forse teme che qualcuno abbia già oliato
la ghigliottina che dovrà tagliargli il capo, ma se lo pensa non ne
parla né lo dà a vedere.
Si dice fiducioso e più preoccupato per la situazione del
Paese. Parla dell’Imu e dell’Iva e di quei soldi che non si trovano per
abolire l’imposta sulla prima casa e evitare il rincaro di quella che
grava sul valore aggiunto.
Troppe tasse, adesso è in arrivo anche un aumento dell’Iva
sui prodotti editoriali, dal quattro al ventun per cento: una follia.
Una batosta su un settore già fortemente provato. «Noi
abbiamo proposto ben sette modi per trovare il denaro che serve per
abbassare le tasse, a cominciare dalla rivalutazione della quota di
partecipazione in Banca d’Italia che le banche hanno in portafogli per
poche centinaia di migliaia di euro, ma al Pd non va bene niente. Dice
no su tutto».
Berlusconi è tormentato dalla crisi e sostiene che bisogna
fare qualche cosa in tempi rapidi, prima che ci sia il rientro dalle
vacanze. Troppi disoccupati, troppo pochi consumi e le aziende scappano
all’estero, chi in Romania, chi in Albania. «Mi ha telefonato il nuovo
premier di Tirana, un socialista che conosco da anni. Mi dice che ha la
fila di imprese italiane che vogliono aprire lì. Ovvio, gli stendono i
tappeti rossi: tasse basse, salari al minimo e sindacato che non fa
barricate. In più, grazie a Canale 5 e le reti Mediaset che irradiano il
segnale anche in Albania, lì tutti parlano e capiscono l’italiano».
Ma non ci sono solo i Paesi dell’Est europeo. Ci sono
l’India e il Far East a fare concorrenza. La Siemens ha trasferito quasi
tutto a Delhi, tenendo qui solo la manodopera stretta: ma la
progettazione, i servizi, la finanza, via, se ne sono andati. «Cosa si
può fare per far tornare competitiva l’Italia? Bisogna cambiare tutto.
Spiegare agli italiani che serve un governo con un mandato chiaro e per
avere un esecutivo che non sia ricattato in continuazione c’è bisogno
del 51 per cento».
Il futuro del governo - È un suo vecchio
pallino. Parlare agli elettori per chiedere una maggioranza che non
possa più essere messa in discussione dagli alleati, dai giudici, dalle
manovre di Palazzo. È quasi l’una di notte e il discorso torna lì, alle
elezioni. Se condannato, Berlusconi butterà giù il governo e chiederà di
tornare alle urne? «Io non farò cadere Letta, ma sarà il suo partito a
farlo. Se io venissi condannato, il Pd non accetterebbe mai di
continuare a governare insieme con un partito il cui leader è agli
arresti e interdetto dai pubblici uffici».
Una pausa e poi aggiunge: «Nonostante tutto, io resto
abbastanza ottimista: non possono condannarmi». In quel «Nonostante
tutto» c’è la preoccupazione che il brusco anticipo della sentenza
nasconda la volontà di una parte della magistratura di farla finita una
volta per tutte. Di accorciare i tempi e pronunciare la parola fine.
Mancano 48 ore all’ora x. E, a meno di una proroga (ieri circolava voce
che alla fine la Cassazione decidesse di spostare tutto ai primi di
settembre), martedì sapremo cosa ci attende: se un Berlusconi libero di
fare politica e di proporre misure urgenti per l’economia o un
Berlusconi in galera e un Paese sull’orlo dell’abisso.
Una cosa però l’altra sera si capiva. Condannato o assolto, il
Cavaliere non molla. Non se ne andrà su un’isola deserta per sfuggire a
chi gli dà la caccia. Né si farà espellere dalla scena politica con una
sentenza. Comunque vada, il 30 luglio la storia del leader politico più
istrionico che si sia visto dal dopoguerra ad oggi continuerà. E anche
quella del centrodestra.
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