Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
sabato 24 agosto 2013
VALLS, IL MINISTRO FRANCESE CHE RICORDA RENZI. QUELLO DELLA LEOPOLDA (L'ATTUALE MENO).
Il primo a provarci fu Blair, poi da noi è venuto Renzi, che però finora governa solo Firenze (e qualcuno dice mica tanto bene...) e adesso in Francia c'è questo Manuel Valls, ministro degli interni.
Sono quegli uomini che pensano possa essere di sinistra rinunciare all'assitenzialismo favorendo il superamento della povertà attraverso la crescita e le pari opportunità. Che è meglio questo tipo di "uguaglianza" (cercare di partire tutti dalla stessa linea, o almeno provare a favorirlo), che punta verso l'alto, che piuttosto sempre e solo la redistribuzione, che è un'uguaglianza verso il "basso". Tutti uguali e tutti poveri, come nell'URSS e nell'Europa dell'Est. Che voler bene ai poveri non può essere in odio ai ricchi, senza contare che la tassazione, per gli effetti redistributivi, colpisce molto più il ceto medio, assai più numeroso e quindi alla fine più "redditizio" dei paperoni, che in ogni caso tanti non sono.
Cose così, che Massimo Nava racconta nel suo bell'articolo sul Corriere della Sera che di seguito propongo.
Buona Lettura
"Rottamare il vecchio socialismo per (ri)diventare di sinistra" di MASSIMO NAVA
Manuel Valls, ministro degli interni, socialista, è il politico più popolare in Francia. La gauche — depressa, in crisi di progetto, con il presidente Hollande che precipita nei sondaggi — dovrebbe consolarsi ed esultare. Ma il successo di Valls ha un difetto capitale: il ministro piace soprattutto alla destra, che ne apprezza le iniziative per la sicurezza delle periferie; le prese di posizione sul controllo dell'immigrazione; lo stimolo pressante a mettere mano alle riforme economiche e strutturali di cui il Paese ha urgente bisogno; l'intransigenza sulla laicità della Repubblica. Di conseguenza, è diventato un personaggio scomodo per il governo, essendo spesso in contrasto con altri ministri. Inviso ad alcuni big del partito socialista che lo ritengono fuori linea. Addirittura un estraneo alla famiglia politica: Martine Aubry lo invitò tempo addietro a trarre le conclusioni delle sue idee, in pratica ad andarsene. Detestato infine da ambienti della sinistra radicale e intellettuale che lo accusano di cavalcare ansie e paure della società francese, il terreno elettorale più favorevole al Fronte nazionale di Marine Le Pen. Gli elogi quotidiani della stampa conservatrice e la stima dell'ex presidente Sarkozy, che a suo tempo avrebbe voluto Valls nel suo governo, sono fonte di polemiche e imbarazzo nella famiglia socialista, nonostante che il gradimento della Francia moderata proietti il ministro nel ristretto cerchio dei futuri presidenziabili, l'unico che potrebbe risollevare le sorti della gauche alle elezioni del 2017. Come in un'altra epoca, Blair e Schroeder, e come il suo padrino politico Rocard, l'anti-Mitterrand — Manuel Valls (cinquantenne, segno del leone, nato a Barcellona, naturalizzato francese) fin dai primi passi in politica, ha fatto sua la versione «liberal» della socialdemocrazia, quella che abbandona l'armamentario ideologico per raccogliere le sfide delle riforme e della globalizzazione. Versione che a volte si rivela il segreto della vittoria in società complesse e frammentate, in un elettorato infedele e mobile, spesso indifferente alla tradizionale divisione fra destra e sinistra. Non si tratta di rinunciare a identità, valori e ideali, né di «dire cose di destra», ma di comprendere che sono i ceti più deboli a pagare il prezzo più alto dell'insicurezza o dell'immigrazione incontrollata; che sono i ceti medi e produttivi a sopportare la pressione fiscale e il peso abnorme della spesa pubblica e dell'apparato burocratico a causa delle mancate riforme; che il futuro delle nuove generazioni è gravemente ipotecato da una società immobile, declinante, che esporta più cervelli e capitali che prodotti e servizi. Non è «necessario» diventare di destra per dire che le porte delle prigioni non possono essere girevoli come quelle di un hotel; o che «occorre valutare le conseguenze dell'aumento della popolazione mondiale, africana in particolare»; o che la «meritocrazia realizza l'individuo meglio dell'assistenzialismo».
Non è un «tradimento» della sinistra il comprendere che senza riforme, senza legalità e ordine, senza la riaffermazione della responsabilità individuale, tutte le società europee — invecchiate, aggrappate a privilegi corporativi, insicure e spaventate — si consegnano inevitabilmente al populismo e alla demagogia e voltano le spalle domani all'Europa e forse, dopodomani, alla democrazia.
Queste analisi, Valls, quando era sindaco di Evry, nella tumultuosa periferia di Parigi, le ha sperimentate sul campo, prima di lanciare il suo slogan: «mandare in soffitta il vecchio socialismo ed essere finalmente di sinistra». Valls ricorda Renzi per il taglio di capelli, le camice bianche e le cravatte azzurre o nere, ma più che un «rottamatore» di uomini, si pone come un «rottamatore» di una mentalità dominante nella società francese, non soltanto nella sinistra. Mentalità conservatrice, trasversale alle famiglie politiche, aggrappata al modello statuale dei funzionari pubblici e dello Stato centralista, protettore e onnipresente, che però continua a contare un enorme numero di disoccupati, di poveri, di esclusi. «Rottamare» questa mentalità è più difficile che liberarsi di rivali di partito o vecchi leader. Ci provò — da destra — Sarkozy, il quale riuscì a sedurre anche settori della sinistra. Vinse, ma il suo progetto è stato in gran parte disatteso e svuotato. La Conservazione — non solo in Francia — è spesso più forte della Rivoluzione. Talvolta perde, ma si prende sempre la rivincita.
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