In diversi mi avevano segnalato il libro di Orsina "Il Berlusconismo nella storia d'Italia" ed ero orientato ad acquistarlo, ancorché pensando che uno storico - l'autore lo è - dovrebbe attendere più tempo per tentare un' analisi di questo tipo.
Dopo aver sentito gli interventi pacati dello stesso Orsina ieri a Ballarò (di ben diverso tenore di quelli di una inaggettivabile pseudo filosofa argentata, una di quelle convinte della superiorità etica della sinistra e dell'antropologia distorta degli elettori di Berlusconi, che Floris le ha cortesemente ricordato essere ancora una decina di milioni...) e letto il suo editoriale odierno sulla Stampa, ho deciso di rompere gli indugi e acquisterò il suo volume.
L'analisi che leggerete è ben prospettata ed equilibrata, largamente, ancorché non interamente, condivisibile. Andrebbe integrata proprio con le cose dette dallo stesso autore ieri in TV : Berlusconi ha indicato un modo diverso di fare e sentire la politica, ed è stato anche molto imitato. Quanto al "Progetto Politico", l'idea di uno Stato meno invadente, che lasciasse più spazio alla libertà d'impresa e individuale, meno avido di tasse, era assolutamente NUOVA, e affascinante per tanti.
Il consuntivo poi tra le cose prospettate e quelle realizzate, è decisamente negativo. Ma la strada tracciata era (ed è) quella giusta, solo che da noi sembra veramente impossibile percorrerla.
Buona Lettura
Al pettine i nodi politici di vent’anni”
La Corte di Cassazione, al termine di un contenzioso giudiziario
durato anni e passato attraverso innumerevoli meandri, ha confermato
ieri la condanna a Fininvest a pagare una cifra di circa mezzo miliardo
di euro alla Cir di Carlo De Benedetti, come risarcimento per la vicenda
del Lodo Mondadori.
La notizia è uscita proprio mentre si attendeva che Berlusconi diffondesse un messaggio che, stando alle voci, avrebbe avuto un robusto contenuto politico e forse condizionato in profondità il futuro dello schieramento di centro destra. E oggi, infine, la questione della decadenza di Berlusconi da senatore, a motivo di un’altra condanna ottenuta anch’essa non come politico ma come imprenditore, affronterà il passaggio decisivo in giunta al Senato.
La confluenza di questi tre avvenimenti rafforza sempre di più l’impressione, viva da almeno un mese e mezzo, che nell’attuale sfortunatissimo torno di tempo siano venuti al pettine tutti o quasi i nodi politici irrisolti degli ultimi vent’anni. Una sorta di «tempesta perfetta». Fra i nodi più ingarbugliati troviamo naturalmente il conflitto di interessi: l’anomalia macroscopica di un imprenditore – e imprenditore televisivo! – di grossissimo calibro che si trasforma dalla sera alla mattina in un leader politico di calibro altrettanto rilevante, e lo resta per vent’anni. Sebbene occupi una posizione senz’altro centrale nel groviglio italiano, tuttavia, il conflitto di interessi non rappresenta un nodo, per così dire, primario. Pur essendo del tutto anomalo, insomma, non crea lo stato di anormalità (pure se, certamente, lo aggrava), ma deriva a sua volta da un evento anomalo precedente.
Ossia da Tangentopoli. Dall’improvviso e fragoroso collassare, privo di precedenti storici o di alcuna corrispondenza altrove in Europa, dei partiti di governo sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Partiti per altro che – lo si rammenti – ancora nell’aprile del 1992, un mese e mezzo dopo l’arresto di Mario Chiesa, erano riusciti a raccogliere milioni e milioni di voti.
È stata Mani Pulite l’anomalia primaria che, aprendo una voragine paurosa sul centro destra del sistema politico italiano, ha reso possibile – potrebbe quasi dirsi, come fosse un buco nero, «risucchiato» – l’anomalia secondaria berlusconiana. Le risorse del Cavaliere hanno così preso a svolgere una funzione straordinaria di supplenza in un’area politica rimasta ormai pressoché deserta. E gli elettori di centro destra – o forse meglio: quelli che non erano disposti a votare a sinistra – hanno accettato volenti (molti) o nolenti (non pochi) questa supplenza anche perché non avevano alternative. Dal 1994 a oggi insomma il centro destra italiano, che ha rappresentato milioni e milioni di elettori, ha vinto tre elezioni e governato il paese per quasi dieci anni, è potuto esistere unicamente grazie al conflitto di interessi. Una frase quest’ultima dalla quale, al solo leggerla, è possibile misurare tutta l’assurdità della situazione italiana.
Ma la conclusione (provvisoria?) della vicenda giudiziaria del Lodo Mondadori è emblematica per almeno altre due ragioni. Innanzitutto perché, affondando le radici in un epoca precedente a Mani Pulite, ci spinge a portare il ragionamento su un tempo ancora più lungo. E a riconoscere come la stessa Tangentopoli sia scaturita da cause ancora più antiche: ossia da una profonda crisi di coerenza, visione, determinazione, capacità progettuale della politica, che affligge la nostra repubblica da ormai molti decenni. Una crisi che la pervasività della politica nella società e nell’economia italiane ha reso ancora più grave, che Tangentopoli ha a sua volta notevolmente aggravato, e soprattutto che nessuno negli ultimi vent’anni è riuscito minimamente ad affrontare. Col risultato che la politica oggi è terribilmente fragile, forse più che mai, nuda e indifesa di fronte ai venti che soffiano da luoghi non politici – i tribunali, i media, le aziende.
La conclusione della vicenda Mondadori è emblematica, in secondo luogo, perché in questo caso la sconfitta di Berlusconi si specchia direttamente nella vittoria di De Benedetti. Ossia del gruppo editoriale l’Espresso. Ossia del più importante esponente mediatico dell’antiberlusconismo politico, saldamente collocato nel campo del centro sinistra e convinto sostenitore dell’operato dei giudici. Il tramonto del Cavaliere, se lo si guarda da questa punto di vista, non rappresenta un problema soltanto per il futuro centro destra, ma anche per il futuro centro sinistra. Che, una volta privato dell’identità e del collante antiberlusconiani, dovrà decidere quale nuova identità darsi, quale nuovo collante trovare. E soprattutto dovrà decidere se e come dare risposta alla crisi della politica della quale si diceva prima. La crisi per cui la politica si trova subordinata alle aziende. Ma anche ai media. E ai tribunali.
La notizia è uscita proprio mentre si attendeva che Berlusconi diffondesse un messaggio che, stando alle voci, avrebbe avuto un robusto contenuto politico e forse condizionato in profondità il futuro dello schieramento di centro destra. E oggi, infine, la questione della decadenza di Berlusconi da senatore, a motivo di un’altra condanna ottenuta anch’essa non come politico ma come imprenditore, affronterà il passaggio decisivo in giunta al Senato.
La confluenza di questi tre avvenimenti rafforza sempre di più l’impressione, viva da almeno un mese e mezzo, che nell’attuale sfortunatissimo torno di tempo siano venuti al pettine tutti o quasi i nodi politici irrisolti degli ultimi vent’anni. Una sorta di «tempesta perfetta». Fra i nodi più ingarbugliati troviamo naturalmente il conflitto di interessi: l’anomalia macroscopica di un imprenditore – e imprenditore televisivo! – di grossissimo calibro che si trasforma dalla sera alla mattina in un leader politico di calibro altrettanto rilevante, e lo resta per vent’anni. Sebbene occupi una posizione senz’altro centrale nel groviglio italiano, tuttavia, il conflitto di interessi non rappresenta un nodo, per così dire, primario. Pur essendo del tutto anomalo, insomma, non crea lo stato di anormalità (pure se, certamente, lo aggrava), ma deriva a sua volta da un evento anomalo precedente.
Ossia da Tangentopoli. Dall’improvviso e fragoroso collassare, privo di precedenti storici o di alcuna corrispondenza altrove in Europa, dei partiti di governo sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Partiti per altro che – lo si rammenti – ancora nell’aprile del 1992, un mese e mezzo dopo l’arresto di Mario Chiesa, erano riusciti a raccogliere milioni e milioni di voti.
È stata Mani Pulite l’anomalia primaria che, aprendo una voragine paurosa sul centro destra del sistema politico italiano, ha reso possibile – potrebbe quasi dirsi, come fosse un buco nero, «risucchiato» – l’anomalia secondaria berlusconiana. Le risorse del Cavaliere hanno così preso a svolgere una funzione straordinaria di supplenza in un’area politica rimasta ormai pressoché deserta. E gli elettori di centro destra – o forse meglio: quelli che non erano disposti a votare a sinistra – hanno accettato volenti (molti) o nolenti (non pochi) questa supplenza anche perché non avevano alternative. Dal 1994 a oggi insomma il centro destra italiano, che ha rappresentato milioni e milioni di elettori, ha vinto tre elezioni e governato il paese per quasi dieci anni, è potuto esistere unicamente grazie al conflitto di interessi. Una frase quest’ultima dalla quale, al solo leggerla, è possibile misurare tutta l’assurdità della situazione italiana.
Ma la conclusione (provvisoria?) della vicenda giudiziaria del Lodo Mondadori è emblematica per almeno altre due ragioni. Innanzitutto perché, affondando le radici in un epoca precedente a Mani Pulite, ci spinge a portare il ragionamento su un tempo ancora più lungo. E a riconoscere come la stessa Tangentopoli sia scaturita da cause ancora più antiche: ossia da una profonda crisi di coerenza, visione, determinazione, capacità progettuale della politica, che affligge la nostra repubblica da ormai molti decenni. Una crisi che la pervasività della politica nella società e nell’economia italiane ha reso ancora più grave, che Tangentopoli ha a sua volta notevolmente aggravato, e soprattutto che nessuno negli ultimi vent’anni è riuscito minimamente ad affrontare. Col risultato che la politica oggi è terribilmente fragile, forse più che mai, nuda e indifesa di fronte ai venti che soffiano da luoghi non politici – i tribunali, i media, le aziende.
La conclusione della vicenda Mondadori è emblematica, in secondo luogo, perché in questo caso la sconfitta di Berlusconi si specchia direttamente nella vittoria di De Benedetti. Ossia del gruppo editoriale l’Espresso. Ossia del più importante esponente mediatico dell’antiberlusconismo politico, saldamente collocato nel campo del centro sinistra e convinto sostenitore dell’operato dei giudici. Il tramonto del Cavaliere, se lo si guarda da questa punto di vista, non rappresenta un problema soltanto per il futuro centro destra, ma anche per il futuro centro sinistra. Che, una volta privato dell’identità e del collante antiberlusconiani, dovrà decidere quale nuova identità darsi, quale nuovo collante trovare. E soprattutto dovrà decidere se e come dare risposta alla crisi della politica della quale si diceva prima. La crisi per cui la politica si trova subordinata alle aziende. Ma anche ai media. E ai tribunali.
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