domenica 20 ottobre 2013

DAL "BASTA PIANGERE !" DI ALDO CAZZULLO AL "NON ESISTE PIU' IL FUTURO DI UNA VOLTA" . CHI HA RAGIONE ?


Oggi sul Corriere compaiono due articoli diversi come argomenti ma legati da una evidente contrapposizione : quello scritto da Aldo Cazzullo (in realtà la prefazione ad un suo libro in uscita " BASTA PIANGERE!") è , come dice il titolo, un'esortazione a scuotersi dal vittimismo imperante mentre l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia è di un pessimismo cupo (anche qui l'incip rende ottimamente l'idea del proseguio : "Il Potere vuoto di un paese fermo", ne parleremo a parte).
Ora, è vero che parlando di cose diverse - il primo racconta l'Italia degli anni sessanta (lo hanno fatto in molti, e io segnalo il bel libricino di Edmondo Berselli ADULTI CON RISERVA          ) l'altro si concentra sui problemi di quella attuale - si può anche arrivare a concludere che hanno ragione entrambi, però qualcosa stride sonoramente nei titoli e quindi è naturale cercare di capire meglio.
In realtà, leggendo le righe di Cazzullo, di sotto riportate, trovo scritte molte cose di comune osservazione (relative all'enormità di "cose" messe a disposizione dei ragazzi di oggi) paragonate a quelle che coloro nati dagli anni 80-90 in poi sanno solo per sentito dire. 
Non c'è dubbio che i nostri figli hanno accesso a cose che semplicemente non c'erano : Computer, play station, cellulari. 
E la televisione noi l'abbiamo conosciuta in bianco e nero con due canali (godendo peraltro di tutte le evoluzioni successive : il colore, le tv private, l'ingigantirsi dell'offerta di programmi, alcuni dei quali hanno continuato ad essere buoni, in mezzo a tanti no). Nel tempo abbiamo visto evolversi la tecnologia e goduto della possibilità di accesso alla stessa. Siamo per questo più felici ? Non saprei, a occhio direi di no. Volendo, più informati e con molte opportunità (non di lavoro, attenzione !) e comodità in più, ma non andrei oltre. Io, appassionato di soldatini, ci giocavo per ore senza stancarmi, da solo. Mio figlio, che a 7 anni ha Wii, Play Station, Nintendo portatile, ora anche l'Ipad (regalatogli dallo zio...mah), calcio balilla e lego a go go (l'unico gioco costruttivo...) si stufa subito di tutto...
Il gioco che lo diverte di più ? Fare da regista alle storie inventate dalla Nonna paterna : lui dà il canovaccio e lei inventa. Durante la storia, lui inserisce varianti per vivacizzare la cosa. 
Vi dice qualcosa tutto questo? A me sì.
Quanto alle numerose altre cose citate da Cazzullo, attenzione a non confondere la Civiltà con il Progresso, ammonimento risalente al bravo e buon Guareschi. 
Detto questo, credo che la chiave delle lamentazioni odierne non sia tanto rivolto al presente, che per la maggior parte è ancora di benessere più o meno ampio (con ricasco positivo per gli adolescenti, ancora nella condizione dei "mantenuti" a pieno diritto) , ma al Futuro. Quando questo si fa incerto, se non proprio cupo, la reazione più tipica è la rivalutazione del passato che gode di molte rivisitazioni anche nostalgiche. 
"Non esiste più il futuro di una volta è una frase ironica", ma anche densa di significato. 
Comunque, non comprerò il libro di Cazzullo, che dalla prefazione mi dà l'idea di una raccolta di una serie di nozioni risapute, affastellate , non di rado contraddittorie.
Mi farò bastare, come rivisitazione, quello del bravo Berselli, con sottotitolo significativo : com'era allegra l'Italia prima del '68.
Di fondo, la contestazione che muovo a Cazzullo, che è del 1966, è che è vero che noi del '60 abbiamo avuto meno cose rispetto ai nostri figli, ma non è vero, come invece aggiunge lui, che loro abbiano anche più opportunità. L'imbuto si è molto allargato alla base, ma l'uscita di è fatta più stretta.

 
 
ALDO CAZZULLO "Lettera ai figli del piagnisteo: la vostra Italia è meglio della nostra" 


Non ho nessuna nostalgia del tempo perduto. Non era meglio allora. È meglio adesso. Un adolescente dell’Italia di oggi è l’uomo più fortunato della storia. Anche se nato in una famiglia impoverita dalla crisi, ha infinitamente più cose e più opportunità di un ragazzo di qualsiasi generazione cresciuta nel Novecento. Vive in una casa riscaldata, illuminata, con il bagno e l’acqua corrente, che i miei nonni da giovani avrebbero osservato con la bocca spalancata dallo stupore. Va al mare, in campeggio, in discoteca, all’estero su voli low cost, ai fast food o nei ristoranti etnici dove mangia piatti esotici: tutte cose che i miei genitori non conoscevano o non potevano permettersi. Ha la tv a colori con decine di programmi a qualsiasi ora del giorno e della notte, un computer connesso con il mondo intero, il telefonino con cui scaricare qualsiasi canzone o film immaginabile, una varietà di social network per ritrovare i vecchi amici o entrare in contatto con gli sconosciuti. Noi, quando eravamo ragazzi tra gli anni Sessanta e Settanta, avevamo la tv in bianco e nero, e aspettavamo con ansia le otto di sabato sera per vedere i cartoni animati della tv svizzera, tifando invano contro lo struzzo e per Wile E. Coyote (che chiamavamo Willy). Avevamo letto Pinocchio e il libro Cuore . Sandokan e Orzowei ci parvero la modernità. L’Italia su cui aprivamo gli occhi non era il paradiso in terra. Anzi, era senz’altro peggiore di quella di oggi. Era un Paese scosso da tensioni, talora da tragedie. Era un Paese più inquinato: fabbriche in città, acciaierie in riva al mare, ciminiere, smog. Era un Paese più violento: bombe fasciste, agguati brigatisti, sequestri come quello di Cristina Mazzotti. Era un Paese più maschilista, in cui i «femminicidi» non facevano notizia: chi trovava la moglie con un altro e la ammazzava non commetteva un crimine ma un «delitto d’onore», spesso non finiva neppure in galera. Era un Paese più semplice, con meno aspettative e meno pretese. Non si festeggiava Halloween ma si piangevano i Morti. La marcia più alta era la quarta. C’erano la leva obbligatoria e i maneggi per evitarla, la visita militare, la naja, il car, il nonnismo. I calciatori andavano in vacanza in Riviera sotto l’ombrellone e non in Polinesia. La mafia ufficialmente non esisteva, ma in Sicilia era molto più potente di adesso, anche perché in pochi la combattevano. A Napoli c’era il colera. Ma in ogni città c’erano molti più bambini, e non erano chiusi in casa, a giocare con il Nintendo o l’iPhone o l’iPad, a simulare sport con la Wii, a festeggiare il compleanno con gli animatori ingaggiati dalla mamma, i palloncini, le facce dipinte e i giochi organizzati. Si giocava per strada: a nascondino, ai quattro cantoni sul sagrato della chiesa, a palla avvelenata con le ragazze, a pallone con i maschi, fino a quando non interveniva il vigile o il padrone dell’auto che faceva da porta. Avevamo sempre le ginocchia e i gomiti sbucciati. L’Italia di allora era molto più modesta e povera dell’Italia di oggi. Ma era un Paese che non si lamentava. Per questo mi piacerebbe raccontarlo ai nostri ragazzi, che si lamentano molto, a volte con ragione e a volte no. Lo so che i nostri giovani hanno di che piangere. L’Italia tratta in modo scandaloso i suoi figli. Ne fa pochi. Li fa studiare male. Li grava di debiti. Non gli offre un lavoro. Soprattutto, non li prepara alle difficoltà che incontreranno.
Viziamo troppo i nostri ragazzi. Tentiamo di accontentarli in ogni capriccio, di anticipare le loro richieste, di prevenire i loro desideri. Li sfamiamo al di là di quanto desiderino. E quando si affacciano sul mondo sono già sazi. (Spesso, anche grassi). Provate a fare un giro davanti a un liceo romano o milanese: non c’è una bicicletta. Hanno tutti lo scooter, o il papà che li porta in macchina. E la colpa, se si deprimono davanti ai primi ostacoli, non è loro; è nostra. Noi avevamo invece una fortuna: il collegamento tra le generazioni era solido. Non avevamo vissuto la fame e la guerra; ma sapevamo che c’erano state. Non abbiamo memoria diretta della ricostruzione e del boom; ma ne avevamo assorbito l’energia. I nonni non erano simpatici vecchietti che venivano in visita ogni tanto, portando regali e inventandosi qualsiasi cosa per strappare un sorriso ai nipoti. Vivevamo con loro. Mia bisnonna Matilde, detta Tilde, sposò un uomo che non aveva mai visto: non era la persona giusta con cui lamentarmi per le mie prime pene d’amore. Nonno Lorenzo aveva fatto la Grande Guerra e visto i compagni di prigionia morire di tifo; non mi potevo lamentare per il morbillo (che i ragazzi di oggi non sanno cosa sia). L’altro nonno, Aldo, a 12 anni faceva il garzone in una macelleria, e andava a piedi per sedici chilometri da Canale ad Alba: non aveva la bicicletta né i soldi per la corriera, e non sarebbe mai salito sulla corriera senza biglietto. Neppure nonno Aldo era la persona giusta con cui lamentarsi se non mi compravano il motorino. Quel poco che avevamo era infinitamente più di quello che avevano avuto i nostri genitori e i nostri nonni. Era questa consapevolezza che ci impediva di piagnucolare. Anche perché in casa c’era sempre qualcuno che, se ti vedeva triste, abbattuto, scoraggiato, ti diceva: «Adesso basta piangere!».

2 commenti:

  1. Ho avuto notizia di questa "uscita" (in tutti i sensi) di Aldo Cazzullo su un altro blog, curiosando per approfondire le reazioni sono arrivata fino a qua. Mi fa piacere sentire che la tua opinione, da esponente della generazione di Cazzullo, è concorde con quella mia e di altri venti-trentenni; e con ottime argomentazioni. A questo punto quello che mi incuriosisce è il libro di Berselli, grazie per la segnalazione!

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