lunedì 7 ottobre 2013

LA GERMANIA NON HA ANCORA UNA MAGGIORANZA, GLI USA SONO IN SHUTTDOWN E VEDONO ARRIVARE IL "PRECIPIZIO FISCALE". EPPURE IL MONDO (E I MERCATI) VA AVANTI LO STESSO.


Trovo sempre interessanti gli articoli di Alessandro Fugnoli, esperto di economia e finanza, ancorché un po' lunghini e riguardanti un argomento, l'economia, non amato dalla maggior parte dei lettori, pur essendo di importanza fondamentale, se non esiziale, nella vita di ciascuno di noi. Come detto in passato, di Fugnoli mi piace la capacità immaginifica - ricorre sempre a qualche metafora -, la volontà semplificatrice e l'ottimismo. Il Mondo NON finirà né domani, né posdomani. In qualche modo si farà. Come ? Non arriva a dire "è un mistero", come il fantastico impresario teatrale nella deliziosa commedia "Shakespeare in love", ma a volte quella sensazione alla fine ti resta (anche se Fugnoli una spiegazione, ancorché probabilista, te la fornisce sempre).
Stavolta , dopo aver aperto brevemente sulla situazione tedesca, dove addirittura prospetta l'eventualità che alla fine un accordo non si trovi tra i vari partiti e si debba tornare al voto (non succede, ma se succede, avrei decine di lettere da spedire ai sacerdoti della "stabilità sempre e comunque", a partire da Napolitano per arrivare agli amici del Corriere della Sera ), si concentra sulla crisi politica in USA.
E anche qui sdrammatizza, ricordando :
1) Sono ANNI che in America non si riesce ad approvare una legge "finanziaria", o di "stabilità", come la chiamiamo noi ( un bilancio preventivo condominiale...).  ANNI, perché manca il consenso politico. Chiudono ? No, vanno avanti con l'"esercizio provvisorio", a cui siamo ricorsi non poche volte anche noi nella prima Repubblica e ogni volta sembra che debba finire il mondo. 
2) Succede anche, e quest'anno è successo, che il governo finisca in Shuttdown, non abbia soldi (perché non solo ha spesi tutti quelli che gli sono entrati, ma anche quelli del debito accordato) per pagare tutte le sue spese. L'ultima volta era accaduto con Clinton, nel 1996, e la cosa durò un mesetto buono. Non sono morti, e Bill è considerato, con Reagan, il miglior presidente USA del dopoguerra (certo Obama non entrerà in questa classifica, con buona pace di quelli di Stoccolma e ai tanti che hanno "sognato" con lui).  Per il momento, la conseguenza è che decine di migliaia di dipendenti pubblici stanno a casa, senza stipendio, in attesa che si trovi, come sempre, un compromesso. 
3) Anche quest'anno, va in scena il melodramma (e che solo noi ??) del Fiscal Cliff, del baratro fiscale, che scatterà se entro il 17 ottobre non viene innalzato - per l'ennesima volta - lo sforamento del tetto del debito. Nel caso l'America fallirebbe ? Fugnoli è netto : possibilità di una eventualità del genere ZERO ASSOLUTO. 
Bene, i punti 1 e 2 sono FATTI, non opinabili. Il punto 3 è sicuramente un'opinione, ma francamente la trovo più fondata di tante cassandre. 
Certo, una considerazione viene spontanea : come è accaduto che il Debito, sempre, comunque e ogni volta più alto, sia diventato l'unico modo di governare ? Come si è realizzata questa spaccatura tra la micro economia di tutti noi, che normalmente, spesso faticosamente, cerchiamo di calcolare le uscite sulla base delle entrate (al limite anche acquistando a rate, ma sapendo di poterle pagare con quello che guadagniamo, non facendo altri debiti ) e la macro degli stati, dove, come scriveva qualcuno giorni fa, le entrate sono stabilite in funzione delle spese ( che sarebbe una gran figata, peccato che questa cosa poi la possano realizzare solo i Ladri e gli Stati, e, forse, aggiungerei i truffatori) ? 
Perché a me irrita anche un po' vedere uno che va in TV e batte i pugni sul tavolo definendo irresponsabile chi non gli consente di indebitarsi ancora di più...
Suona male...ma sicuramente io semplifico troppo.
Da leggere, per gli esperti, la metafora tra il duello messicano (a tre) e quello in USA tra Repubblicani, Democratici e Mercati. 
Buona Lettura  

STANDOFF 
Paralisi politiche, duelli e stalli alla messicana







 Strana situazione. La politica tedesca è paralizzata. Dai giornali, dalla Frankfurter Allgemeine a Bild, è praticamente sparita e la prima pagina, che va comunque riempita, riporta gli standoff degli altri, dalla chiusura del governo in America alle vicende italiane. Non sono iniziati i cantieri sul programma di governo perché non si è ancora deciso quali partiti comporranno la coalizione. E non si è deciso sulla coalizione perché è possibile che non ce ne sia nessuna e che si torni a votare.

Poiché la legislazione tedesca tende ormai ad estendersi quasi automaticamente a tutta Europa, è tutto il continente che aspetta di sapere, ad esempio, se sarà tassato sulle transazioni finanziarie (in caso di coalizione Cdu-Spd) o attraverso una carbon tax (Cdu-Verdi). Bruxelles e Francoforte, le grandi burocrazie politiche e monetarie, procedono dal canto loro con il pilota automatico.

Negli Stati Uniti la costituzione prescrive che il Congresso rediga un bilancio preventivo annuale. L’esercizio inizia il 1° ottobre e termina il 30 settembre dell’anno successivo. Da anni non si riesce più a redigere il budget perché manca il consenso politico. Si ricorre allora alla Continuing Resolution, l’esercizio provvisorio, che autorizza i centri di costo federali a spendere entro i limiti dell’anno precedente. Quest’anno non si riesce a trovare un accordo nemmeno sulla Continuing Resolution. Questo comporta la chiusura progressiva delle attività governative.

Il 17 ottobre scadrà anche la possibilità di contrarre altri debiti da parte del governo federale. A quel punto il governo, che incassa dalle imposte molto meno di quello che spende, dovrà operare solo con i soldi che arrivano in cassa giorno per giorno (un’incresciosa situazione in cui peraltro si trovano molti comuni mortali). Fra due settimane, quindi, la crisi di bilancio si salderà alla crisi di liquidità.

Detto così sembra chissà che cosa. In realtà, per il momento, sono stati chiusi i parchi nazionali e i call center del fisco e la vita sembra andare avanti lo stesso. Dal 17 in avanti le chiusure diventeranno più aggressive, ma si sa già che verranno assicurati i fondi per le forze armate e che gli interessi sul debito verranno pagati. Ci sono dunque zero (ripetiamo, zero) possibilità di default da parte degli Stati Uniti. Chi parla di default è grossolanamente disinformato o in palese malafede.

Lo stallo americano di questi giorni è vissuto da molti commentatori come un confronto tra repubblicani e democratici o tra il Senato e la Camera dei Rappresentanti. Si sa che i confronti tra politici tendono a essere teatrali e a sembrare insanabili fino a un minuto prima del compromesso. I mercati, quindi, si sentono autorizzati in questi giorni a sdrammatizzare la situazione e a considerare la modesta discesa dai massimi delle ultime due settimane un livello già molto interessante per comprare a sconto prima del rialzo di fine anno. Così facendo, però, i mercati continuano a caricarsi di azioni e si rendono più vulnerabili rispetto a sviluppi imprevisti.

Quello che i mercati non considerano è che quello in corso non è un duello, ma uno stallo alla messicana. Il duello ha due protagonisti, lo stallo alla messicana ne ha tre. Chi ha visto Reservoir Dogs (Le Iene) di Tarantino ha ben presente la scena in cui A, B e C puntano la pistola l’uno contro l’altro.

E chi è, nel caso americano, il terzo protagonista? È il mercato stesso.

I politici, infatti, possono continuare a duellare in punta di fioretto molto a lungo, certamente più a lungo di quanto il mercato si immagini. Il duello, per loro, è un modo per farsi vedere dagli elettori e per ostentare determinazione nel difendere gli interessi dei loro sostenitori. Le questioni su cui stanno litigando sono del resto più simboliche che di sostanza, esattamente, se ci si consente il paragone, come la tenzone italiana su Imu e Iva.

Per trovare un compromesso, i duellanti di fioretto aspettano che entri in scena il terzo protagonista, il mercato, e che questo punti la pistola non contro i repubblicani o i democratici, ma contro se stesso.

In pratica, il mercato non scende perché è certo che ci sarà un compromesso e che fra due mesi ci si sarà dimenticati completamente di queste vicende. Perché ci sia un compromesso, tuttavia, bisogna che il mercato scenda e metta così pressione sui politici.

Chi cederà per primo, tra democratici, repubblicani e mercati? Non i democratici, che ritengono di avere una buona mano da giocare. Non i repubblicani, che pur essendo divisi e nervosi, hanno al loro interno una componente radicale che vuole giocarsi tutta la partita. Restano i mercati.

Naturalmente non abbiamo nessuna certezza che finisca così, ma la sola possibilità che ai mercati venga chiesto di pagare un prezzo più alto di quello pagato finora merita di essere considerata da chi in questo momento è molto sbilanciato al rialzo e da chi sta aspettando il momento migliore per entrare.

Attenzione, però. Il sacrificio richiesto ai mercati non sarà pesante. I repubblicani sono troppo nervosi per tollerare una discesa pronunciata. La finestra temporale in cui sfruttare l’eventuale caduta sarà inoltre brevissima, calcolabile in ore più che in giorni e sarà, se ci sarà, poco prima o poco dopo il 17 ottobre.

Nessun commento:

Posta un commento