domenica 17 novembre 2013

FORZA ITALIA, NUOVA DC, LEGA A BOSSI..MA NON CI SIAMO GIà STATI ?


L'articolo, già nel titolo, sembra sottendere una esortazione nota "non guardatevi indietro, ci siete già stati". 
Come sempre, gli editoriali di Ainis sono ben scritti e ricchi di spunti di riflessione. Nel caso di specie, è facile essere d’accordo con lui quando denuncia questa incapacità di andare avanti, di partorire nuove idee per affrontare e superare i problemi esistenti. Oddio, Grillo qualcosa di nuovo l’ha proposto, ma la decrescita felice non è comunque un tornare indietro ? L'istrione di Genova risponderebbe che siamo andati troppo avanti, sacrificando in questa avanzata il territorio, l’ecologia, il futuro del mondo…Tra le idee nuove di Grillo c’è, per dirne una (quella che a me piace di più...) anche fare a meno dei sindacati…fuor di sfida provocatoria immagino ci sia l’assoluto rivoluzionamento degli stessi, arroccati come sono nella difesa del vecchio.  Ancora, strano il discorso di Ainis sulle pensioni, sul welfare…In paesi meno ideologici di Italia e Francia questi temi sono affrontati con la giusta gravità, perché si può scolpire sulla pietra il diritto alla felicità (mi pare che nella Costituzione USA una cosa del genere ci sia) ma poi realizzarla è ben altra cosa. In particolare, sono in tanti ad ammettere che il welfare, lo stato sociale, come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni ( meno di un soffio, nella storia), sia stata una felice parentesi, vissuta solo dall’Occidente ricco, non ripetibile in quelle dimensioni. Anche questa dunque, osserverei ad Ainis, è una cosa “vecchia” e bisogna avere il coraggio di guardarla con occhi e testa nuovi. La verità è che nel vecchio in tanti abbiamo scavato una nicchia accogliente o comunque accettabile, che viene strenuamente difesa. Il “cambiamento” riguarda sempre la "casa" degli altri.
E così i magistrati dicono sì, astrattamente, alla riforma della Giustizia ma NON al loro ordinamento, gli avvocati difendono tariffe e sezioni distaccate per avere il tribunale sotto casa, le imprese beneficiate gli indennizzi dello Stato, i giornali i sostegni all’editoria, i professori la scuola non meritocratica (specie per loro), i lavoratori il posto in aziende decotte attraverso salvataggi statali  e l’elenco potrebbe continuare all’infinito… Chi ci rimette sono soprattutto i giovani certo, che non avranno i benefit conosciuti dai nonni (che già i genitori hanno goduto di una buona infanzia, ma l’oggi si è molto complicato e il futuro è grigio) e fanno fatica a costruirsi un presente.


TUTTI IN CERCA DEL FUTURO (NEL PASSATO)

L’ Italia ha il torcicollo. Cammina guardandosi alle spalle, invece di puntare gli occhi sul domani. O meglio, non avanza: arretra. Perché il futuro è un pozzo nero, è un orizzonte claustrofobico, e allora cerchiamo conforto nel passato. Noi italiani, non solo i politici italiani.
Certo la politica offre la rappresentazione più perspicua di questo scoramento collettivo. Qual è la principale novità della stagione? Il ritorno a Forza Italia, vent’anni dopo e con un ciuffo di capelli bianchi sulla fronte.
Tuttavia è la regola, non l’eccezione. A destra un gruppo di nostalgici medita di riesumare An, non foss’altro che per nostalgia del suo forziere, ancora carico di dobloni d’oro. Altri, più audaci, vorrebbero addirittura svestire la mummia del Msi. A sinistra Fioroni annunzia a giorni alterni la resurrezione della Margherita. Nella Lega si è rifatto sotto Bossi, candidandosi alla segreteria; e ottenendo subito il ritiro di Tosi, l’homo novus . Al centro Mauro, Casini, magari pure Alfano, sognano la Balena bianca, la riedizione della Democrazia cristiana. Perfino i monarchici hanno ripreso smalto, riunendosi a Palermo in un convegno superaffollato. Come diceva Keynes, il difficile non è fidarsi delle nuove idee, quanto piuttosto fuggire dalle vecchie; altrimenti il nuovo ti riporterà alla stazione di partenza.
Quando è cominciato questo gioco dell’oca? Ci vuol poco a fissarne la data: 20 aprile 2013, il giorno della rielezione di Napolitano al Quirinale. Quando la crisi dei partiti rischiò di debordare in crisi di sistema, sicché il sistema chiese soccorso al vecchio presidente, implorandolo d’incarnare il nuovo. Lui accettò, benché pregustasse già il riposo; ma sta di fatto che da allora in poi le lancette dell’orologio nazionale girano al contrario. La XVII legislatura è cominciata così come era finita la XVI: con un governo di larghe intese. Nella seconda Repubblica non ci era mai successo, ogni elezione scandiva un’alternanza; adesso celebra, casomai, la rimembranza.
E la nuova legge elettorale? Avrebbero dovuto scriverla i partiti, in un ultimo sussulto di fierezza; non ci riescono, sicché dovrà pensarci la Consulta. Sennonché quest’ultima non è un legislatore, non può tirare fuori dal cilindro un altro coniglio elettorale; può solo tosare l’esistente, riportando allo scoperto il pelo vecchio. Perciò delle due l’una: o la Consulta annullerà l’intera legge, e allora tornerà in vigore il Mattarellum (1993-2005); oppure si limiterà a segare il premio di maggioranza, restituendoci un proporzionale puro, come ai bei tempi di mamma Dc (1948-1993).
Succede, del resto, in molti altri capitoli della nostra vita pubblica. Facciamo il passo del gambero sulle pensioni, divorandone il potere d’acquisto. Torniamo indietro sui diritti sociali, dalla salute al lavoro all’istruzione; eppure la nostra Carta li scolpisce sulla pietra. Anche la Costituzione, tuttavia, ha bisogno d’un restyling, sforbiciando per esempio l’eccesso di competenze regionali; ma qui il giochino è facile, basta abrogare la riforma del 2001. C’è chi propone la medesima ricetta per l’università (via la legge Gelmini), non meno che per la prostituzione (via la legge Merlin). Insomma, ogni riforma suona come controriforma, come un decreto postumo del Concilio di Trento. Ma chi controfirma la controriforma? In genere, gli stessi che avevano firmato la riforma. Un artificio per restare sempre a galla, e infatti alle nostre latitudini non c’è ricambio di classi dirigenti, non c’è ossigeno nelle stanze del potere.
Il futuro non è più quello di una volta, diceva Valéry. Oggi lo dice, pressoché all’unisono, il popolo italiano. E infatti i nostri giovani sono i più pessimisti d’Europa, rivela un sondaggio Gallup. Per forza, con una disoccupazione al 40,4% fra gli under 25 in cerca di lavoro. Di conseguenza sono i loro nonni a reggere il vento della crisi, facendo i baby sitter o grattando il fondo del salvadanaio per consentire la sopravvivenza dei figli e dei nipoti. L’ennesima conferma che in Italia il nuovo dipende dal vecchio. Però nel frattempo ci siamo infiacchiti, abbiamo perso la voglia insieme alla fiducia. Siamo diventati un Paese che non scopre, al massimo riscopre: nella moda, nell’arte, nell’industria, perfino in cucina, dove trionfa il revival degli antichi sapori (un milione e 700 mila risultati su Google).
C’è un modo per uscirne fuori? Sì che c’è, ma servirebbe la penna di Licurgo. Con un divieto inciso a lettere di piombo sulla Gazzetta ufficiale: vietata la reviviscenza, delle
cose come delle persone.

1 commento:

  1. MAURIZIO BONANNI

    Molto belli i commenti dell'Ultimo Camerlengo.. Il problema non è la rivisitazione e la riedizione di un passato, quanto la necessità di mettere fine al sistema consociativo catto-comunista, che ha le sue inestirpabili radici nella Costituzione del 1948. Punto.

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