martedì 12 novembre 2013

LA PRIMAVERA ARABA : PER LE DONNE UN FALLIMENTO TOTALE.


Gli avevano dato un nome bellissimo, degno del " Le Mille e Una notte" : PRIMAVERA ARABA. 
Ma come tutte le fiabe, poi nella realtà svanisce.
Non era difficilissimo da prevedere, conoscendo un po' la storia di quei paesi, e quindi  pensare che l'anelito democratico, la modernizzazione di quei paesi , specie dal punto di vista dei  diritti civili , potesse essere valutati dall'entusiasmo delle piazze gremite di Tunisi e Il Cairo, fosse alquanto miope. In Egitto ci sono 80 milioni di persone, al Cairo ne vivranno 10 milioni, tantissimi, ma anche aggiungendo i 4 milioni di Alessandria, arriviamo sl 20% scarso, il restante 80% stanno nella campagne, a ridosso del Nilo, e in tanti altri centri urbani minori dove internet e occidente sono parole, al massimo.
E poi anche al Cairo non è che ci sia solo gente laica, democratica, di aperte vedute, come dimostra il fenomeno delle molestie sessuali alle donne che osano girare non accompagnate da un uomo  per la città. Praticamente TUTTE (il 99% riporta l'articolo-inchiesta del Corriera di sotto postato),   devono pagare questa taglia.
Ma il problema non è solo in Egitto. In Tunisia si sono fatti addirittura dei passi indietro, rispetto ai tempi di Ben Alì, e la stessa cosa, adesso sul piano del lavoro, accade in Iraq . Del resto, tutti i vari autarchi arabi avevano questo aspetto in comune : erano musulmani ma non fondamentalisti. Anzi, erano proprio questi ultimi gli avversari più temuti e quindi più repressi. Tolta la museruola, questi hanno alzato la testa, e datogli il voto, si scopre - ma davvero era imprevedibile ? - che sono DI PIU'.
Dei tanti fiori sognati quelli maggiormente appassiti sono proprio quelli delle donne arabe.


“L’Egitto non è un Paese per donne” Bocciati i Paesi delle Primavere arabe



L’Egitto  post-rivoluzionario non è un Paese per donne. Oggi, la nazione simbolo della Primavera araba si rivela la  peggiore per i diritti femminili nel mondo arabo, peggiore dell’Arabia Saudita dove le donne sono trattate come eterne minorenni ed è proibito loro anche guidare l’auto, della Siria, dove sono usate come «armi di guerra» con rapimenti e stupri sia da parte del regime che di alcuni gruppi ribelli, e dello Yemen, dove un quarto sono sposate prima dei 15 anni (tutti Paesi che comunque seguono di poco).
Al secondo posto, dopo l’Egitto, c’è  l’Iraq, « più pericoloso per le donne oggi che ai tempi di Saddam Hussein». Invece, le Isole Comore, piccolo arcipelago nell’Oceano Indiano, è il migliore di tutti i membri della Lega Araba: benché non garantisca la libertà di espressione politica, non discrimina le donne in caso di divorzio,  in politica (il 20% dei ministri) né sul posto di lavoro (il 35%), «grazie anche all’eredità francese nel sistema legale».
E’ la situazione fotografata da un nuovo sondaggio condotto dalla «Fondazione Thomson Reuters» interpellando centinaia di esperti nei 21 membri della Lega Araba più la Siria (sospesa dall’organizzazione nel 2011).

«Colpisce — spiega al Corriere Monique Villa, l’amministratrice delegata della Fondazione — che i Paesi delle Primavere arabe siano tra gli ultimi». Dalle stesse donne che hanno lottato al fianco degli uomini per il cambiamento sociale,  ci si aspetta che tornino tra le mura domestiche. In politica, per esempio, 987 egiziane si sono candidate alle elezioni del 2012, e 9 sono state elette; in Siria, prima dell’inizio delle rivolte il 13% dei giudici erano donne, una percentuale subito ridottasi e di incerto futuro.
Il 99% delle egiziane afferma di aver subito molestie in strada, un fenomeno «endemico, socialmente accettato e mai punito».E’ un dato simile a quello che si registra in Yemen, ed è in crescita perfino in Tunisia. «La Tunisia era un paese baluardo dei diritti delle donne nella regione, dove l’aborto è stato legalizzato nel 1965 prima che in Italia — nota Monique Villa  — e ci sorprende ritrovarla  oggi più vicina all’Algeria che alle isole Comore». Il sondaggio usa sei indicatori: «misura» la violenza contro le donne, i diritti riproduttivi e gli spazi in famiglia, società, economia e politica. Corrispondono ad altrettanti aspetti della «Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne», di cui peraltro sono firmatari 19 dei Paesi esaminati: il problema è che molti rifiutano gli articoli relativi alla vita familiare, perché visti in conflitto con la sharia, la legge islamica. Così restano in vigore leggi ostili alle donne, come in Egitto, dove una musulmana che sposa un uomo di altra fede rischia di essere incriminata per apostasia e di vedere i propri figli messi sotto tutela di un uomo musulmano, o in Iraq dove c’è uno sconto di pena per gli omicidi di donne «disonorate».
Di buone notizie ce ne sono poche nel rapporto, «ma è una fotografia, e le rivoluzioni hanno alti e bassi e richiedono tempo: speriamo che nei prossimi anni la situazione cambi». Emerge anche che «la stabilità e la ricchezza favoriscono i diritti delle donne». Le monarchie ricche del Golfo come Kuwait, Oman, Qatar sono ai primi posti, dopo le Comore. E il caso dell’Iraq  fa riflettere sulle conseguenze di imprese come l’esportazione della democrazia.   «In Iraq, dove sotto Saddam le donne lavoravano — continua la CEO di Thomson Reuters — l’invasione americana non ha migliorato la loro vita: ha lasciato 1,6 milioni di vedove  e un tasso femminile di occupazione al 14,5%». Non vuol dire che nelle dittature le donne se la passino meglio che in democrazia, ma  che i fattori che determinano i loro diritti sono tanti. «Il Libano, ad esempio,  dà alle donne il diritto di voto, ma se trent’anni fa era la Svizzera del Medio Oriente oggi è  reso instabile dalla guerra e dal radicalismo». I pezzi del mosaico sono tanti: per il momento compongono un’immagine cupa del  Medio Oriente al femminile.

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