Molto bello questo articolo di Roberto Costantini, dove riporta l'intervista alla sorella di Meredith.
Costantini è un bravissimo scrittore autore di due libri di successo, specie credo il primo : Tu sei il Male.
Una capacità narrativa e di introspezione che evidentemente lo sostiene non solo nei suoi scritti ma anche nella vita reale.
Tornando all'intervista, quello di Stephanie Kerker, ci troviamo di fronte ad un raro esempio di sobrietà, pudore e civiltà che andrebbe distribuito nei social network italiani nella speranza che qualcuno impari qualcosa.
Una donna eccezionale (anche bella, ma la cosa non c'entra).
Nessun spirito di vendetta, nessuna convinzione che dalla sentenza uscirà una verità assoluta, il pensiero ovvio, ma che a volte si dimentica, è che quel dolore non sarà sanato.
E anche nei confronti della giustizia italiana, che non può che definire per lei "incomprensibile", nessun tono recriminatorio, limitandosi a dire che il nostro sistema è diverso dal loro, risparmiandoci di aggiungere che il suo è migliore.
A leggerla, sembra strano che abbia un avvocato di parte civile come quello che compare e straparla in tv e sui giornali. Ma magari non lo capisce, quando "esterna"...
Buona Lettura
Il delitto di perugia. Oggi il verdetto d’appello
Amanda Knox scrive alla famiglia Kercher
«Nella lettera parole di conforto». Stephanie, sorella di Meredith: «Non so se la leggeremo».
Amanda Knox
Una lettera di Amanda Knox per
Stephanie, la sorella di Meredith Kercher, la studentessa uccisa a
Perugia la notte tra il primo e il 2 novembre 2007. Ma la busta è
rimasta chiusa: «Non sento ancora il bisogno di parlare con lei», ha
detto Stephanie. E ha aggiunto: «Dobbiamo sopportare il sistema
giudiziario italiano, ma vorremmo che il processo finisse. Il verdetto
non sarà una rivincita». La sentenza è attesa per stasera a Firenze.La busta chiusa - «Amanda vi ha scritto una lettera, prima del verdetto, da consegnarvi se un giorno la vorrete».
Non avevo idea di che reazione avrebbe avuto Stephanie Kercher quando le ho dato questa notizia durante l’intervista pochissimi giorni fa. Qualunque reazione, anche l’abbandono dell’intervista, sarebbe stata legittima. Invece questa ragazza straordinariamente forte ed equilibrata si è fermata a pensarci, come ha fatto per ogni altra domanda. E poi, con calma, ha risposto: «Ci dovrei pensare, non lo so, ma oggi non la vorrei leggere, perché non sento adesso il bisogno di parlare con lei». La parola oggi, invece che mai, è un atto di grande generosità e razionalità. Credo che non dipenderà tanto dal verdetto, ma dal comportamento futuro di Amanda nelle settimane, nei mesi, negli anni.
Corretta e realista - Amanda è corretta e realista, sa che non può pretendere di essere ascoltata dai Kercher e, al momento, forse neanche proporlo. In uno dei nostri scambi via skype - sono stati diversi da quando mi occupo del delitto di Perugia - me lo ha detto e scritto in italiano: «Una mia comunicazione a loro, oggi, introdurrebbe molta ansia e sofferenza per la famiglia, anche se scrivo solo parole di conforto». Ieri le ho riferito la risposta di Stephanie e lei mi è sembrata perfettamente consapevole. Mi ha confermato che potremo consegnare la lettera ai Kercher su loro richiesta anche fra mesi o fra anni, che lei sia giudicata colpevole o innocente. Ne rendo nota l’esistenza adesso, ultimo momento prima del verdetto: il contenuto della lettera e la sua eventuale consegna non dipendono dalla sentenza. Né da quella di Firenze né, se ce ne saranno, da quelle successive.
Sul verdetto di Firenze Stephanie e Amanda hanno ansie diverse ma non opposte. Stephanie mi ha detto con ammirevole equilibrio e serenità: «Per oltre sei anni siamo dovuti scendere a patti con questo processo e col baillamme mediatico, e provare a continuare la nostra vita». Infatti mi parla dall’ufficio dove lavora, in una pausa per il pranzo. E continua: «Il verdetto è una scadenza da onorare per la memoria di Meredith, non una fonte di rivincita o della verità. Sappiamo che i giudici e i giurati non conoscono con certezza la Verità. Vorremmo che il processo e le chiacchiere intorno ad esso finissero oggi per poterci concentrare solo sul nostro dolore e sul ricordo di Meredith. Tanto, nessuno ci ridarà mia sorella e la nostra vita è finita».
Rassegnata stanchezza - Stephanie parla dell’iter processuale. Dice: «Abbiamo dovuto resistere al sistema giudiziario italiano per noi così diverso da essere incomprensibile». Non muove alcuna critica o accusa ai giudici, ma parla della giustizia italiana con la rassegnata stanchezza e fatalismo di chi è stato costretto a salire su un treno (un Regionale, non una Freccia) e deve restarvi sino ad un fine corsa che non solo non arriva mai, ma forse non porta da nessuna parte. «Per la mancata conoscenza del vostro sistema in America e in Gran Bretagna molti pensano che la famiglia Kercher vuole portare avanti questo giudizio infinito verso i due imputati. Noi invece vorremmo che tutto ciò finisse prima possibile».
E se li condannassero sareste sicuri che siano colpevoli? Stephanie ci pensa un po’, poi mi risponde col suo tono educato, gentile, razionale. «I dubbi saranno sempre gli stessi. In qualunque modo nel mio cuore resterebbero i dubbi, è ovvio, ma noi possiamo solo accettare ciò che ci diranno i giudici e rispettare comunque le decisioni della Giustizia italiana».
A questo proposito abbiamo accennato alla Fondazione Kercher, creata per raccogliere fondi per la memoria di Meredith. Le ho chiesto se si aspettasse un contributo dai cittadini italiani visto che la sorella è morta mentre studiava in Italia e la nostra Giustizia non è stata capace di dare certezze. Con la stessa gentilezza mantenuta per tutta l’intervista, Stephanie ha detto che «tutto questo poteva succedere ovunque, gli italiani non hanno colpe e non ci devono nulla. Noi faremo tutto il possibile per onorare la memoria di Meredith con ciò che avremo».
Lotta titanica - Per Amanda il verdetto è invece la tappa intermedia di una lotta titanica, non solo per essere assolta ma per il suo desiderio forse inesaudibile, di essere creduta. Quando parla con me, che le dico apertamente che non sono qui a giudicarla, che il dubbio è un suo diritto ma non può esigere di essere creduta, lei sa di combattere contro una condanna più infida e definitiva di quella di qualunque Corte. Ed è per questo che insiste: «Devo continuare a parlare coi media perché il mondo intero si è messo tra me e i Kercher e ho pensato che per convincere loro a parlarmi devo prima convincere il mondo...». È come se per Amanda fossero i media i giudici finali, quelli che possono sgombrare la mente della gente comune e persino dei familiari della povera Meredith dall’insostenibile pesantezza del dubbio.
Stephanie Kercher mi è sembrata immensamente al disopra di questo mondo e ce lo ha dimostrato, lei e la sua famiglia, col silenzio di questi anni. Anche l’intervista di lunedì non voleva farla (e abbiamo parlato di altre cose che riguardano la memoria di Meredith e che non hanno motivo di essere scritte qui). Lei sopporta un dolore immenso con silenzio, dignità, fermezza e persino rispetto per gli imputati. Non ho mai sentito nelle sue parole con me, nemmeno nei confronti di Amanda e Raffaele, il risentimento e il disprezzo persino osceno che ho trovato in certi articoli e a volte persino in aula. Solo osservazioni molto più razionali e consapevoli anche di tante opinioni di esperti o presunti tali (inclusa la mia). E un grande desiderio di silenzio. Su Amanda ha concluso: «Colpevole o innocente, lei dovrebbe essere certa che i suoi familiari siano i primi a crederle, poi noi Kercher e solo dopo tutti gli altri... eppure in questi anni l’ho vista spesso sui giornali e in tv, come se per lei contasse più il mondo che noi».
Il consiglio - Non so se Amanda condividerà questa logica, che al momento non è un invito né un consiglio. Quella in base alla quale non è il mondo che convincerà i Kercher, forse, un giorno, a leggere la sua lettera. Le parole dei profeti sono scritte sui muri della metropolitana e negli androni dei palazzi, e diventano sussurro nel suono del silenzio, cantavano Simon & Garfunkel. Indipendentemente dalle sentenze. Ma era tanti anni fa, forse oggi non si può più.
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