sabato 25 gennaio 2014

IN RICORDO DI GUIDO ROSSA, 35 ANNI DOPO


Lo leggeranno in pochi, però a me è piaciuto il ricordo che Giovanni Bianconi, del Corriere della Sera, ha voluto dedicare a Guido Rossa, 35 anni dopo la sua morte ad opera di due brigatisti rossi. 
Un accenno, in fondo, ma  giusto e utile, che poi col passare degli anni le cose uno se le dimentica e magari tocca sentire Toni Negri (ma prima di lui ci scrisse un libro Mario Capanna...) definire quegli anni "formidabili".
Bella e opportuna la menzione del gesto della figlia del sindacalista, Sabina, anche grazie al quale uno degli assassini di suo padre, dopo aver scontato decenni di carcere, oggi è libero. Che il Diritto, quello vero, è la vendetta che rinuncia.



  "Guido Rossa, trentacinque anni dopo: aveva ragione allora, ha ragione oggi" 


Accadde trentacinque anni fa, il 24 gennaio 1979, in una buia e fredda alba genovese. Il comunista Guido Rossa, iscritto al Pci di Enrico Berlinguer e alla Cgil di Luciano Lama, appena uscito di casa incontrò altri due comunisti, militanti delle Brigate rosse. Lui aveva in mano un sacchetto dei rifiuti da gettare nel cassonetto, nel più banale e quotidiano dei gesti; gli altri impugnavano due pistole, calibro 9 e 7,65, pronti a eseguire la loro sentenza. Lo uccisero per punirlo e dare l’esempio, dopo averlo giudicato colpevole di aver rotto una pretesa e malintesa omertà di classe: Rossa aveva denunciato un compagno di fabbrica sospettato di diffondere propaganda delle Br, e le Br non potevano tollerare che un operaio ne accusasse un altro davanti al tribunale dello «Stato borghese». Lo stesso Stato che loro volevano abbattere a colpi di mitraglietta, mentre lui, Guido Rossa, voleva cambiarlo con l’arma della democrazia.
Quell’omicidio rappresentò il punto più basso della cecità terroristica nostrana, almeno dal punto di vista politico, ché quanto a efferatezza e insensatezza è difficile scegliere tra un delitto e l’altro. E spazzò via l’ultimo velo di ipocrisia (o di illusione) sui «compagni che sbagliano», o sulle «sedicenti Brigate rosse»; un atteggiamento coltivato troppo a lungo, che in qualche modo contribuì a lasciare solo Guido Rossa nel momento della denuncia. Talmente solo da trasformarlo in un facile bersaglio. Ma per le Br fu l’inizio della fine, perché nemmeno il più fanatico delirio ideologico poteva giustificare l’assassinio di un operaio — militante comunista e rappresentante sindacale — in nome della solidarietà operaia.
Trentacinque anni dopo, uno dei due brigatisti che spararono a Rossa, ergastolano ormai lontano dai furori della lotta armata, è tornato un uomo libero (l’altro fu ucciso dai carabinieri, in una sparatoria, nel 1980). È successo grazie anche all’intercessione presso il giudice di Sabina Rossa, la figlia di Guido, educata da suo padre ai valori della Costituzione che prevede giustizia e non vendetta. È un’altra dimostrazione, se mai ve ne fosse stato bisogno, di chi avesse ragione tra Rossa e i suoi assassini.

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