Il dibattito è acceso attorno alla questione delle preferenze, con la Consulta che ha dichiarato incostituzionale l'impossibilità dell'elettore di votare il proprio candidato e Renzi che aggira l'ostacolo proponendo liste di collegio con pochi nomi . Le liste rimangono bloccate, ma l'identificazione dei candidati è facilitata. Basterà questo in caso di nuova contestazione di legittimità ?
Abbiamo pubblicato un post ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/01/nominati-o-clienti-il-dilemma-sulla.html ) nel quale Facci difendeva le preferenze, e, per par condicio, oggi posto l'editoriale del Professor Panebianco che invece le avversa con molta nettezza.
Ho già scritto che la questione delle preferenze non mi appassiona. Di più quella del premio di maggioranza, che ancora mi appare eccessivo, anche perché, come spiega oggi Caderoli, che di "porcate" se ne intende, trattandosi di premio alla coalizione e NON al partito singolo, potrebbe anche darsi che il partito maggiore, con il 20% dei voti, poi si prenda il 53% dei seggi, mentre gli altri partiti della coalizione, portano voti ma non conquistano seggi non superando lo sbarramento del 5%. Calderoli parlando del 20% forse esagera, però guardiamo il centro destra. Forza Italia sta attorno al 22% dei voti, potrebbe arrivare al 35% e vincere grazie alla coalizione con NCD, Lega, Fratelli d'Italia, la Destra e chissà chi altro. Però NESSUNO di questi partiti piccoli raggiunge il 5%. Risultato : Forza Italia prende TUTTI i seggi, e nessuno va agli alleati.
Di qui la polemica che la soglia di sbarramento per i partiti minori sia troppo alta, sia nella coalizione che singolarmente (addirittura l'8%).
Ma torniamo alle preferenze, all'endorsement di Panebianco per l'uninominale, che però resterà a quanto pare inascoltato.
Ecco il suo pensiero
"LO STRUMENTO DIMENTICATO"
Poiché il meglio è nemico del bene va detto che qual u n q u e s i s t e m a elettorale sarebbe per noi migliore di quello (proporzionale con preferenze) che ci ha consegnato la Corte costituzionale: anche uno scelto a caso fra un centinaio di diversi possibili sistemi elettorali. Se restasse la proporzionale così come è, infatti, saremmo condannati per sempre all’ingovernabilità. Solo con partiti forti e radicati la proporzionale funziona ma tali partiti non li vedremo mai più, nemmeno col cannocchiale. Per dire che, piuttosto che la proporzionale, va bene anche il sistema elettorale su cui si sono accordati Renzi e Berlusconi. Ma c’è un «ma». Quella proposta prevede collegi plurinominali e liste di candidati, sia pure senza preferenze, ossia bloccate. Liste corte, certo, per non incorrere di nuovo nel veto della Consulta. Ma pur sempre bloccate. E sulle liste bloccate non poteva non riproporsi la solita polemica sul «Parlamento dei nominati». Non è solo Alfano a volere le preferenze (magari la sua è solo pretattica). Le vuole anche la minoranza antirenziana del Pd che, però, come ha detto Rosy Bindi, è maggioranza in Commissione. Esisteva un solo modo per evitare il rischio di ritrovarsi a discutere di preferenze sì/preferenze no: un accordo che prevedesse il ritorno ai collegi uninominali. Il collegio uninominale è lo strumento migliore, il più pulito, per garantire il massimo possibile di rappresentatività dell’eletto rispetto all’elettore. La sua superiorità sia nei confronti della lista bloccata sia nei confronti del «mercato delle preferenze» è evidente. Purtroppo, l’accordo Renzi-Berl u s c o n i n o n è a n d a to i n quella direzione e non resta che prenderne atto. Per lo meno, bisogna cercare di limitare i danni, fare fuoco di sbarramento contro la sciagurata eventualità del ritorno alle preferenze. Le preferenze sono portatrici (insane) di due gravi malattie. La prima consiste nella pesante distorsione che introducono nella competizione democratica. Contro l’opinione secondo cui la preferenza sarebbe un mezzo «per dare all’elettore la possibilità di scegliere l’eletto, e bla bla bla», le preferenze hanno l’effetto di sovrapporre alla competizione fra i partiti quella dentro i partiti, fra i candidati dello stesso partito. Ciò poteva avere un senso nella cosiddetta Prima Repubblica, un sistema politico bloccato ove l’unica vera competizione era quella fra le correnti e i candidati in lotta per le preferenze dentro ciascun partito. Perché riproporre oggi quelle distorsioni? C’è poi una seconda malattia. La rappresentanza degli interessi, anche quella normale e lecita in altre democrazie, è oggi a serio rischio di criminalizzazione.
Mentre voteranno sulle preferenze i parlamentari diano un’occhiata alla legge Severino, la legge anticorruzione approvata all’epoca del governo Monti. D’ora in poi, sarà difficile per qualunque parlamentare (capi politici a parte), eletto grazie a tante preferenze, dimostrare che esse non siano frutto di «voto di scambio», indizi, se non prove, di un reato penale. Reintroducete le preferenze e darete lavoro supplementare a tutte le procure. A elezioni fatte, e vincitori proclamati, fioccheranno gli avvisi di garanzia. Il processo di subordinazione del potere rappresentativo a quello giudiziario farà un altro passo avanti. Se ci saranno di nuovo le preferenze, i temerari che si candideranno faranno bene a presentarsi agli incontri con gli elettori accompagnati dai loro avvocati.
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