lunedì 10 febbraio 2014

QUANDO I RISULTATI DEI REFERENDUM NON PIACCIONO


In Svizzera è andata come in molti temevano : ha vinto il referendum che propone l'introduzione di limiti quantitativi all'immigrazione e questo anche per persone provenienti dalla Unione Europea.
La sorpresa semmai viene dall'esiguità del successo, poco più del 50%, ma è quello che basta.
La Kienge, uno dei tanti ministri incompetenti del governo Letta (però forse lei si distingue per essere la PIU' incompetente) ha subito parlato di populismo. Si sta allenando per maggio, che credo che lì di populisti nelle urne ne troverà molti. 
Ho letto vari articoli sull'argomento e naturalmente tutti critici ma anche piuttosto imbarazzati che stavolta il voto politicamente scorretto è venuto dalla civilissima Svizzera, paese che nelle classifiche di eccellenza un po' in tutti i campi occupa sempre le prime posizioni. 
Il problema, è la mia idea, è che quando si tira troppo la corda ignorando la realtà dei fatti e anche della natura umana poi dopo sono questi i risultati. Che per esempio non solo la GB ma anche la Germania hanno posto a Bruxelles il problema di un tetto all'immigrazioni di romeni e bulgari.
E per un Sergio Romano che afferma (di  seguito il suo editoriale sul Corsera) che nemmeno per realismo si può accettare un principio di selezione degli ingressi, ci sono due opinionisti che stimo di più, come Luca Ricolfi e Angelo Panebianco che dicono l'opposto (il secondo per questo ha subito una indecente contestazione all'università di Bologna, con tanto di scritte con vernice rossa sui muri, megafonaggio e altre cosucce in stile tardo sessantottino). 
Che facendo entrare tutti, mentre gli altri no, ecco che da noi arrivano i peggiori, e questo si traduce spesso in criminalità (la percentuale degli stranieri che delinquono è elevatissima in proporzione al numero complessivo, leggere su questo "Le illusioni Italiche" di Ricolfi ) con conseguente crescita del sentimento xenofobo.
Naturalmente tutto questo si inserisce in un contesto di grande malcontento e anche paura per il futuro causa la perdurante crisi economica (siamo al sesto anno da Lehman's Brothers, e ne sono passati quasi tre dall'estate 2011, quando l'uragano arrivò anche da noi).
In più. ci stanno anche problemi di integrazione culturale, che parte dei nuovi, parliamo di quelli di religione islamica, creano anche diversi problemi di resistenza a quelle che sono le regole sociali e le normative dei paesi occidentali.
A maggio caro (ex) ambasciatore, ne vedremo delle belle. 
Certo io il mio voto ad un partito filo europeista senza se e ma non lo darò, che QUESTA EUROPA così com' è non mi piace davvero. 
Stavolta sceglierò il "segnale di protesta" e se la Kienge e sodali mi daranno del populista, ebbè, non è che non dormirò. 




I confini del realismo

 
Molti referendum svizzeri sono strettamente locali e, al di là delle frontiere della Confederazione, pressoché incomprensibili. Ma quello di ieri è un referendum «europeo», vale a dire destinato a provocare discussioni e ripercussioni in tutti i Paesi dell’Unione. Quando decidono, sia pure con un piccolo margine, che l’immigrazione deve essere soggetta a limiti quantitativi, gli svizzeri affrontano un problema comune ai loro vicini. Non sarebbe giusto sostenere che il loro «sì» abbia necessariamente una nota razzista e xenofoba. L’opinione pubblica xenofoba esiste e si riconosce nell’Unione Democratica di Centro, oggi maggioranza relativa. Ma parecchi elettori della Confederazione, nei cantoni di lingua tedesca e in Ticino (una scelta, questa, che potrebbe nuocere ingiustamente ai frontalieri italiani) hanno espresso preoccupazioni diffuse anche altrove.

È forse opportuno che il principio della libera circolazione (a cui la Svizzera ha aderito con un referendum del 2000) continui a essere adottato in un momento in cui alcuni Paesi soffrono di una forte disoccupazione e altri, più fortunati, temono tuttavia che il loro mercato del lavoro venga sconvolto da arrivi eccezionali di persone provenienti dai Paesi in crisi? È opportuno assorbire ora nuovi disoccupati a cui non potremo dare un lavoro, ma a cui sarà necessario garantire alcuni benefici del nostro Stato assistenziale? Sappiamo ciò che ogni Paese vorrebbe fare, anche se non osa sempre confessarlo: aprire le sue porte a personale specializzato quale che sia la sua provenienza e chiuderle di fronte a lavoratori non qualificati, anche se cittadini di membri dell’Unione. Ma di tutte le soluzioni possibili, questa è la più inaccettabile. Abbiamo il diritto di essere realisti, ma non sino al punto di calpestare il principio di solidarietà. Se vuole essere qualcosa di più di una semplice aggregazione utilitaria, l’Europa non può voltare le spalle alle persone maggiormente colpite dalla crisi. Anche questo è realismo. Non si fa nulla di serio e duraturo se la costruzione non è fondata su diritti e doveri comuni.


La Svizzera è legata all’Ue da un accordo e non potrà applicare il referendum senza un negoziato con Bruxelles. Ma se il problema è europeo tanto vale cogliere questa occasione per affrontare la questione della libera circolazione delle persone in tempi di crisi. Sarà più facile farlo, tuttavia, se il problema della solidarietà verrà affrontato in un contesto più largo. Qualche giorno fa, al Parlamento di Strasburgo, Giorgio Napolitano ha ricordato che la politica del rigore deve essere accompagnata e completata da nuovi investimenti privati e pubblici al servizio di progetti europei e nazionali. Vi è forse in quelle parole il disegno di un New Deal per l’Europa, nello spirito di quello voluto da Franklin D. Roosevelt per gli Stati Uniti quattro anni dopo la grande crisi del 1929. La politica del rigore, applicata sinora dall’Ue, era indispensabile. Oggi quella della crescita non è meno necessaria. Se il problema dell’immigrazione e del lavoro verrà affrontato in questa prospettiva, qualche temporaneo aggiustamento al principio della libera circolazione sarà forse opportuno e comprensibile .

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