lunedì 10 marzo 2014

LA PEDALATA ASSISTITA. LA BICI DI NOI PIGRI SEMPRE PIù TRENDY

 
La tentazione ce l'ho. Dopo aver giocato per tanti anni a varie cose ma soprattuto a calcio (con risultati mediocri, con due piedi ignoranti, appena appena riscattati, nell'equilibrio di squadra, da corsa, agonismo e decente intelligenza tattica) e a tennis (qui già un po' meglio, qualche piccola soddisfazione in più...senza peraltro chissà cosa) a 50 anni ho praticamente smesso di fare sport. Complice la rottura del menisco, ma la verità è che io sono un PIGRO, e solo la voglia di GIOCARE mi ha fatto fare sport, per quasi 40 anni, con assiduità. Non era amore per lo sport, il piacere (???) della fatica, la soddisfazione della stanchezza "dopo". No. SOlO e mero gusto del GIOCO. 
A 50 anni mi sono stancato di giocare a tennis (fatto per quasi 40) mentre a calcio(etto) avrei anche continuato se non fosse stato per l'insofferenza ormai non gestibile per i dementi (non tanti , ma purtroppo ne bastano un paio ) che, nonostante la mezza età, si incarogniscono nel match, col rischio di far male e comunque di avvelenare due ore che dovrebbero essere spensierate (una di gioco, l'altra di piacevoli chiacchiere pre e dopo partita).  Non ho trovato giochi sostitutivi e la palestra, la corsa, il nuoto, capirete bene che non si coniugano con il compromesso precedente : fatico SE MI DIVERTO. 
Il risultato però è che in questi anni la mia vita è diventata sedentaria e ho preso peso, il che, per la mia vanità (dicono anche per la salute ) non va bene.
Allora ho pensato alla bicicletta, anche se Roma è una città che si presta molto poco. Il clima sarebbe ideale, che non fa quasi mai troppo freddo e anche il caldo può affliggere per un mese, mese e mezzo. Insomma, per almeno nove mesi l'anno il clima è ottimo per la bici. Il problema è che è pericoloso, più che andare in scooter, la cui velocità di consente di avere spesso il sopravvento sugli automobilisti. Invece in bici sei alla loro mercè. Piste ciclabili non ce ne sono, e nemmeno un'educazione stradale alla tolleranza verso i ciclisti, magari presente per esempio in Emilia e forse anche in alcune città toscane.  E poi, quando arriva una salita, anche solo accennata ? Un cavalcavia ? Ecco allora la bici elettrica, con la possibilità di inserire la pedalata "assistita". Una figata, che però costa ancora molto. Il problema non è solo il costo da affrontare, che vabbè, uno s'impegna e lo fa. Purtroppo si tratta di roba appetibile e facilmente rubabile. Che sollevare una bici e caricarla su un furgone anche modesto, è un attimo. Legarla ad un palo, ammesso che il lucchetto sia questo gran deterrente, porrebbe il problema pratico di come te la porti 'sta catena...a tracolla ?
Si accettano suggerimenti



Quel milione di e-biciclette che ci aiutano a pedalare Siamo diventati più pigri?
Il fenomeno delle vendite 
aumentate del 10% 
Se la tira assai più della bicicletta tradizionale perché è molto meno democratica in quanto a prezzi, però è più simpatica del motorino. E dalle ultime sfilate milanesi, utilizzata da frotte di modelle per spostarsi con agilità senza sciupare trucco e parrucco, è diventata persino trendy.
Il piccolo boom della bici a pedalata assistita — la definizione, un po’ notarile, è dell’articolo 50 del Codice della strada: 250 watt di potenza massima, l’assistenza finisce quando il ciclista smette di pedalare o supera i 25 km all’ora; sopra si entra nella categoria-motorino, «pecora nera», perché non ecologica, della famiglia a due ruote —, è nei fatti (guardatevi intorno e notate quante mamme con spesa e professionisti incravattati la usano) e nei numeri, celebrati anche dal Financial Times . 854 mila e-bike vendute in Europa nel 2012, oltre 50 mila solo in Italia nel 2013, con un incremento del 10% ogni dodici mesi, la mecca nel Triveneto, che ha una media di biciclette («normali» più «verdi») per ogni 100 abitanti quasi pari alla Germania (4,6 contro 4,8).
Pedala, che ti passa. Mentre il sensore, attivato dalla pressione del piede sul pedale, comunica alla centralina che il motore elettrico può essere attivato. Silenziosa e ad emissioni zero, la e-bike rifiuta targa, assicurazione, bollo e casco infilandosi dappertutto, piste ciclabili e Ztl delle città incluse, rispettosa dei dettami sulla vita sana, menefreghista dei limiti di circolazione e dei tassi d’inquinamento, irresistibilmente ammiccante. «È come pedalare in discesa anche quando sei in salita — spiega Piero Nigrelli, direttore del settore ciclo di Confindustria Ancma, l’associazione che raggruppa le aziende del settore due ruote (i dati dei veicoli a motore sono in picchiata) —. È un prodotto in crescita esponenziale, destinato a chi non vuole fare troppa fatica senza rinunciare al piacere e ai vantaggi della bici, quindi alle donne, ai professionisti, a chi non è più giovanissimo e ai cicloamatori di mezza età, il cui mercato in Nord Europa grazie alla pedalata assistita si è enormemente allargato». Scalo il Ghisallo con l’aiutino del doping tecnologico, e torno. (È una battuta ma fino a un certo punto: nel 2010 si sospettò che il vincitore di Fiandre e Parigi-Roubaix, lo svizzero Cancellara, avesse usato una bici elettrica, ma non fu mai dimostrato).
Non siamo ai record della Cina (che nel 2018 possiederà il 90% dei 42 milioni di e-bike in circolazione nel mondo, per un giro d’affari di 11 miliardi di dollari) e non abbiamo un briciolo della cultura ciclistica dell’Olanda, ma nel nostro piccolo ci difendiamo. Già nel 2009, pizzicato da Dagospia , Enrico Mentana sfrecciava a Roma in sella a una bici elettrica verso una colazione di lavoro. E oggi, a Lucca e dintorni, è il campione del mondo (2002) Mario Cipollini a tenere alta la bandiera dell’ecologia a due ruote. E, forse, anche di una generalizzata pigrizia esistenziale? «L’elogio della fatica è il concetto più difficile da passare agli studenti — conferma Nando Dalla Chiesa, sociologo, professore e politico —. Siamo immersi in una cultura che tende a eliminare gli sforzi, considerandoli sgradevoli, in ogni ambito della società. C’è sempre l’idea che il risultato sia facile, veloce. E invece la qualità costa fatica: nulla di buono è gratis. Sì, quella dell’e-bike è proprio una moda del nostro tempo...».
Una ventina di chili di peso (dieci anni fa ne pesava 35), affidabile e con un’estetica enormemente migliorata che la rende gradita anche alle signore (Atala, Italwin e Bottecchia le marche italiane più forti), al passo con l’evoluzione (tra venti giorni esce il modello ST2 della Stromer, centralina personalizzata e gestita tramite smartphone, con navigatore satellitare: 7 mila euro) ma non per tutte le tasche. «Simpatica però classista — spiega il sociologo Enrico Finzi —, perché riservata dal ceto medio in su. In una fase storica in cui l’auto è fortemente impopolare e scoraggiata, la bici elettrica è moderna, gode di consenso sociale e asseconda la sedentarietà diffusa, alimentando il circolo virtuoso di una mobilità risparmiosa. È ora che venga inserita nei servizi di bike sharing delle città anche se porta con sé un peccato originale: permettere che venga usata senza casco, oggi che i tassi di mortalità in bici crescono rapidamente, è un errore gravissimo, cui spero presto si ponga rimedio».
E pazienza se i giovanissimi per muoversi continuano a preferire skateboard, rollerblade, la Vespa o le care vecchie suole delle sneakers. Arrivare puntuali in ufficio senza aver stillato una goccia di sudore o sbavato il mascara, in fondo, non è (ancora) un loro problema.
Gaia Piccardi

Nessun commento:

Posta un commento