sabato 19 aprile 2014

de BORTOLI SCRIVE AL PRESIDENTE CHE RISPONDE. MEGLIO IL PRIMO.




La lettera di de Bortoli è decisamente più interessante della risposta del Presidente Napolitano, che pure posto per completezza (ho solo tagliato la premessa). La seconda oltre ad avere una prosa che non amo, leziosa e istituzionalmente retorica , non dice nulla di nuovo.
Viceversa, sono rimasto sorpreso da alcuni input del Direttore del Corsera, famoso per NON essere un cuor di leone.  Ebbene, il suo apparente endorsement per una grande coalizione è coerente con quella che fu la posizione del Corriere più di un anno fa, dopo le elezioni, e coraggiosa oggi, che la cosa, mai gradita a Sinistra, ha perso ogni concretezza con la marginalizzazione giudiziaria di Berlusconi e l'avvento del "renzismo". 
Non solo, ma come non interpretare le parole del Direttore come critiche anche e proprio nei confronti del novello Premier laddove leggiamo : " Una classe dirigente all’altezza del proprio compito — e non parlo soltanto della politica — dovrebbe conoscere il senso della responsabilità e della disciplina, non coltivare l’inganno delle cifre o inseguire il consenso con l’arma delle promesse vacue che sa già di non poter mantenere. Il linguaggio della verità, in questa amara stagione di valori declinanti, è stato spazzato via dal marketing della parola al vento che non teme di essere contraddetta dai fatti".
L' "interesse generale" rimane " il manzoniano vaso di coccio di una stagione gonfia di passioni tristi e ricca di ambizioni (personali) sfrenate".
Sicuramente de Bortoli non avrà pensato solo a Renzino, ma altrettanto certamente ANCHE a lui.
 




LA LETTERA

Caro Presidente,
il 10 marzo dell’anno scorso anticipai con un fondo sul Corriere (titolo: «Il futuro Presidente»; occhiello: «Napolitano resti ancora un po’») la proposta, poi maturata in diverse e opposte forze politiche, di una sua rielezione. Ricordo ancora — era una domenica — il suo affettuoso ma fermo dissenso, espressomi in una lettera privata che fece seguito alla netta smentita degli uffici del Quirinale.
Dal voto politico, frutto di una pessima legge elettorale, erano uscite tre grandi minoranze, il che rendeva estremamente arduo dare un governo all’Italia. La paralisi rischiava di scivolare verso una vera e propria crisi di sistema. Nello smarrimento e nella precarietà generali, c’era dunque bisogno di «un punto fermo, un riferimento certo, un simbolo d’unità rispettato da tutti», la cui scelta avrebbe avuto il significato di «uno scatto d’orgoglio nazionale, in particolare agli occhi degli osservatori stranieri che guardavano a noi con un’inaccettabile sfiducia». Insomma: «Saggezza e buonsenso» consigliavano una sua conferma. Per fortuna, la pressione di quel largo fronte di partiti (e di quasi tutti i presidenti delle Regioni) ha vinto la sua più volte ribadita contrarietà. E la soluzione «eccezionale» di un suo secondo mandato ci ha permesso di uscire da un’impasse altrettanto eccezionale. Gli italiani gliene devono essere grati.
A distanza di un anno quale bilancio, anche personale, ne ricava? Nel discorso d’insediamento del 22 aprile 2013 lei si assegnò il ruolo di «fattore di coagulazione», indispensabile per un Paese nel quale la civilizzazione del confronto politico è difficile e resta faticoso perfino il reciproco riconoscimento e dove — per riprendere le sue stesse parole — si è ormai diffusa «una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze» che in certe stagioni possono imporsi come necessarie. Le pare che, da questo punto di vista, i partiti stiano cominciando ad assumersi le «responsabilità» che aveva loro chiesto quel giorno?
Vedo risaltare, caro Presidente, piccoli e meschini calcoli personali o di gruppo. Come se le riforme, di cui il Paese ha estremo bisogno, debbano essere valutate quasi esclusivamente con il metro della convenienza di parte. L’interesse generale è il manzoniano vaso di coccio di una stagione gonfia di passioni tristi e ricca di ambizioni (personali) sfrenate.
L’allentarsi dell’emergenza finanziaria, con il ritorno dello spread fra i nostri titoli e quelli tedeschi in un’area tollerabile, ha favorito il riaffiorare di antichi egoismi e il riaffermarsi di vecchie logiche corporative, come se il debito pubblico fosse una variabile indipendente della nostra storia, come se non scontassimo ora, e in misura fortemente iniqua, la lunga stagione delle cicale e dell’impenitente egoismo generazionale. Una classe dirigente all’altezza del proprio compito — e non parlo soltanto della politica — dovrebbe conoscere il senso della responsabilità e della disciplina, non coltivare l’inganno delle cifre o inseguire il consenso con l’arma delle promesse vacue che sa già di non poter mantenere. Il linguaggio della verità, in questa amara stagione di valori declinanti, è stato spazzato via dal marketing della parola al vento che non teme di essere contraddetta dai fatti. Anche noi giornalisti abbiamo le nostre responsabilità.
Mi colpisce, caro Presidente, come il tema dell’Europa — per il cui Parlamento saremo chiamati a votare il 25 maggio — sia cavalcato con efficacia, purtroppo, solo dai suoi detrattori. Con argomenti falsi e tesi ingannevoli. Nel Paese fondatore dell’Unione, la voce degli europeisti convinti è debole e contraddittoria. Sembrano intimiditi, ricorrono facilmente all’uso opportunista degli aggettivi. Spesso si nascondono perché difendere le istituzioni europee fa perdere voti. Si crede alla favola che il ritorno alla lira apra praterie di ritrovato benessere e crei d’incanto posti di lavoro. Si dimentica che l’Europa, per esempio, ha garantito il più lungo periodo di pace della nostra storia. Sorprende e amareggia poi che, in Paesi recentemente accolti nell’Unione e rimasti a lungo sotto il soffocante tallone comunista, le istituzioni democratiche siano irrise e disprezzate, e le pulsioni nazionaliste — per non dire di peggio — siano così popolari.
Caro Presidente, so che questi mesi del suo secondo settennato sono stati i più faticosi e ingrati. Chissà, forse si è persino pentito di aver ceduto alle insistenti pressioni per una sua rielezione. Molte polemiche l’hanno coinvolta, soprattutto sul tema delle prerogative che la Costituzione assegna al suo ruolo. Io personalmente sono convinto che lei non debba rimproverarsi di nulla. Il Corriere gliene ha sempre dato atto, anche quando ha pubblicato articoli da lei poco graditi (ma è questo quello che deve fare un grande quotidiano in una democrazia liberale!) e colgo l’occasione per ringraziare Marzio Breda per il suo straordinario lavoro di quirinalista. Lei passa per essere un uomo «capace di governare le passioni», sempre controllato, se non imperturbabile. Ma davanti ad alcune contestazioni politiche dei mesi scorsi e davanti alle prese di posizione di alcuni costituzionalisti, una sua riflessione chiarificatrice sarebbe quanto mai opportuna.
Le chiedo scusa per il tempo che le ho sottratto e la ringrazio per l’attenzione.
Ferruccio de Bortoli

LA RISPOSTA 

 in primo luogo sono stato e sono portato a riflettere sulla persistente, estrema resistenza, che viene dagli ambienti più disparati, all’obbligo nazionale e morale di garantire la continuità dei percorsi istituzionali, e con essa primordiali interessi comuni, anche attraverso avvicinamenti e collaborazioni, sul piano politico, che s’impongono in via temporanea fuori delle naturali affinità e della dialettica dell’alternanza. Dal non riconoscimento di quest’obbligo, di questa necessità, sono scaturite nel corso dell’ultimo anno reazioni virulente che hanno contagiato, sorprendentemente, ambienti molto diversi.
È stato duro, quindi, procedere nel compito che mi spettava — divenuto davvero, come lei ha detto, «faticoso e ingrato» — del promuovere la formazione di un governo di ampia coalizione, il solo possibile nel Parlamento uscito dalle elezioni del febbraio 2013, e nel sollecitare un programma di rilancio della crescita e dell’occupazione, e di contestuale, imprescindibile avvio di riforme economico-sociali e istituzionali già troppo a lungo ritardate. Che questo processo si sia messo in moto, e di recente decisamente accelerato, senza essere bloccato da una crisi e susseguente ristrutturazione della maggioranza di governo né, più tardi, dal cambiamento politico sfociato in una nuova compagine e guida governativa, mi fa considerare positivo il bilancio dell’anno trascorso. Essermi a tal fine «esposto» personalmente, sempre nei limiti del mio ruolo costituzionale, e aver pagato allo spirito di fazione un prezzo nei consensi convenzionalmente misurabili, non mi fa dubitare della giustezza della strada seguita.

Vedo bene i lati oscuri e le incognite che, nella sua lettera, lei coglie nel confronto politico e parlamentare attuale. Ma nodi assai importanti sono quelli che dovranno sciogliersi nelle prossime settimane e nei mesi seguenti, innestandosi nel chiarificatore esercizio del semestre italiano di presidenza europea. Confido che quei nodi si scioglieranno positivamente, col contributo essenziale di un governo che opera nella pienezza della sua responsabilità politica e delle sue prerogative costituzionali, e con l’apporto di un arco di forze politiche che vada decisamente oltre i confini dell’attuale maggioranza di governo, in materia di legislazione elettorale e di revisioni costituzionali. Sorrette, queste ultime, dall’eccellente retroterra di analisi e proposte offerto da un’autorevole e imparziale Commissione di studiosi ed esperti che ha presentato la sua relazione finale nel settembre 2013. Da parte mia, in particolare, resta comunque sempre viva l’attenzione e la disponibilità al confronto verso le posizioni critiche, cui lei accenna, di «alcuni costituzionalisti» cui d’altronde sono stato legato in tempi non lontani da rapporti di stima reciproca e di consuetudine amichevole.
Confido, in sostanza, che stiano per realizzarsi condizioni di maggior sicurezza, nel cambiamento, per il nostro sistema politico-costituzionale, che mi consentano di prevedere un distacco comprensibile e costruttivo dalle responsabilità che un anno fa mi risolsi ad assumere entro chiari limiti di necessità istituzionale e di sostenibilità personale.
Finché continuerò ad assolvere le funzioni di Presidente, e anche dopo, considererò mio impegno irrinunciabile, nelle forme possibili, quello per l’unità europea, che resta la causa e la visione — senza alternative — da rimotivare e riaffermare con la necessaria apertura a fondate istanze di rinnovamento e con concreta capacità persuasiva.
Scusandomi per la lunghezza di questa mia risposta, la ringrazio per l’occasione che mi ha offerto e per la generosa ospitalità.

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