martedì 29 aprile 2014

QUANDO IL COLLE SUSSURRA, PALAZZO CHIGI ASCOLTA


Interessante la ricostruzione  di Davide Giacalone, non so quanto basata su ipotesi logiche e quanto su qualche indiscrezione trapelata, dell'incontro tra Renzi e Napolitano l'altro giorno al Colle
L'opininista mette in evidenza il momento di difficoltà operativa del Premier, che pure nei sondaggi va a gonfie vele, con addirittura chi lo dà al 35%. Ma sul piano del "Fare, e in fretta" che vuole (voleva ? ) essere la cifra del nuovo governo, Renzino inizia a rallentare. Se ci fate caso, in questi tre mesi, i cantieri aperti sono obiettivamente tanti ma le cose fatte ? E non parlo di leggi approvate, che si sa che l'iter è lungo e il bicameralismo ancora imperante, ma almeno di testi scritti e sostanzialmente condivisi da chi li dovrà votare. 
E invece così non è su praticamente nulla. L'Italicum , la legge elettorale che doveva essere fatta prima di subito, Rendi può pure dire che è "fatta", ma non è vero. E' parcheggiata, e si sa che quando tornerà in Parlamento per l'approvazione definitiva, subirà altri ritocchi, riniziando il suo iter. Il Senato, non ne parliamo, che addirittura si fa avanti l'ipotesi che , limato di qualche competenza (fiducia e finanziaria...alla fine solo quelle), potrà essere di nuovo eletto. Qualcuno lo ricorda Renzi al suo discorso di insediamento, quando rivolgendosi ai senatori mancava solo che dicesse loro "morituri vi saluto" ?? Bè, anche questo è in alto mare.
Il Job Act ? Vittoria della CGIL e dei sindacalisti PD che hanno ottenuto che il DL governativo uscisse stravolto dalla Camera. 
E così con stupore leggiamo che il Premier risponde "non mi impicco a delle date", mentre prima era uno snocciolare di scadenze.
Mi sa che 'o presepe è più complicato di quello che da Firenze il nostro si era immaginato
Buona Lettura


Cappio al Colle

Le dimissioni del presidente della Repubblica, possibili e annunciate, restano un argomento caro a chi crede d’aver capito e si da arie d’aver inteso. Al Colle, invece, con un certo sconforto umano, ma con non meno marcata perfidia politica, l’inquilino sente di essere tornato al centro della vita istituzionale. Forse arriverà il tempo di andare, per ora c’è ancora modo di affrontare qualche petulante e potercelo mandare. Nessuno s’illuda che le turbolenze e le spacconate, sia quelle di chi annuncia rotture che quelle di chi risponde assicurando di tirar dritto, siano un derivato della campagna elettorale. Se così fosse basterebbe aspettare (intanto Matteo Renzi potrebbe convocar convegni sul bicameralismo e sul fisco, al termine dei quali annunciare trionfante: fatto). I guai nascono dall’esito di quelle elezioni. Ancora non certi, ma probabili. Sono quelli a rendere superato e non superabile il patto del Nazareno. Sono quelli a far tornare il pallino in mano all’uomo del Colle.
Fin qui Renzi è stato assai abile nell’usare due armi. Da una parte assicurando a Silvio Berlusconi un accordo costituente (il patto del Nazareno), che parte dalla legge elettorale e giunge a una profonda riscrittura costituzionale. Un patto che assicura il ruolo di un leader azzoppato dalle mazzate giudiziarie e restituisce spazio alla sua forza politica, altrimenti dileggiata da una minoranza di ex-devoti e miracolati, trasformatisi in unici raccoglitori di ministeri e nomine. Dall’altra ha potuto tenere a bada il proprio partito, il Pd, minacciando in continuazione le elezioni immediate, il che faceva temere alla maggioranza dei suoi gruppi parlamentari di diventar gruppuscoli extraparlamentari. Fin qui.
 Ora non funziona più.
Intanto perché il vecchio porcellum, come il novello italicum, fra le molte altre cose, hanno in comune il fatto di avvantaggiare non solo il vincitore, ma anche il miglior perdente. Affinché così si continui è necessario perpetuare la maledizione della seconda Repubblica: coalizioni affastellate e disomogenee, impossibili da dirigere e inutili per governare. Se alle europee, come tutto lascia supporre, gli ortotteri fossero il secondo partito quello schema va a farsi benedire. Meglio la legge monca e sciancata restituitaci dalla Corte costituzionale, che costringerebbe alla coalizione governativa fra il primo e il terzo, escludendo le truppe frinenti. A meno che il Pd non trovi un altro Bersani disposto a immolarsi nel riprovare a farsi dire di no. Il patto del Nazareno, quindi, mantiene la sua ragion d’essere politica, ma perde l’acchito.
Nel frattempo i parlamentari del Pd si sono accorti che non possono essere minacciati più di tanto. Le prove generali si sono fatte sul decreto lavoro: rilevanti non sono le modifiche specifiche, ma il fatto che era stata annunciata la sconfitta del governo, poi effettivamente ottenuta. Che il governo stesso abbia messo la fiducia sul proprio sbugiardamento è solo una pezza. Per giunta assai colorata, perché da una parte dicono di volere cancellare il bicameralismo, dall’altra sarebbero già caduti, se non ci fosse. Perché Nuovo centro destra e Scelta civica hanno potuto votare la fiducia solo promettendo cambiamenti al Senato.
E qui arriviamo all’incontro di ieri, fra il giovane mai eletto e l’anziano rieletto. I due parlavano due lingue diverse. Il presidente della Repubblica ha da tempo avviato un’opera di mediazione, in modo da non mandare nel precipizio l’ennesima rincorsa riformatrice. Il suo lavoro ha due conseguenze: a. il baricentro si risposta al Quirinale; b. il baldanzoso “faccio tutto io e lo faccio prima di subito” si cheti e s’adegui, al più salvando la facciata, visto che ci mise la faccia. Il presidente del Consiglio, invece, chiedeva che non fossero spezzate le sue lance, prima fra tutta la perpetua minaccia delle urne. Non a caso aveva fatto circolare la notizia d’essere pronto al voto di ottobre. Perché, deve avergli domandato Napolitano, a ottobre si vota? E chi scioglie il Parlamento? Non avevate detto che prima si doveva fare la riforma elettorale, di avere l’accordo, di portarla a casa prima degli ombrelloni, assieme alla fine del bicameralismo? E non avevate, per questo, polverizzato e bistrattato il governino che avevo così faticosamente (e inutilmente) costruito?
Quel conflitto-dialogo si trascinerà. Ieri non è stato risolto e ciascuno gioca ancora la propria partita. Ma il passaggio più importante, per il Colle, era stato ricevere il ministro dell’economia e farsi dire, chiaro chiaro, che se i conti non tornano si passa ai tagli lineari e alla accise. Ciò vuol dire che se Napolitano s’adonta e lascia Renzi in balia dei marosi quello non solo porta a casa le riforme come il pescatore, ne “Il vecchio e il mare”, porta a casa il grande pesce, sotto forma di lisca, ma lo trascina verso la stagione della manovra correttiva (con gli europei che fecero un tonfo oggi rivalutati dalle agenzie di rating, mentre da noi si festeggia che non ci degradino ancora). Dopo di che, post semestre europeo, di Renzi resterebbe solo il lesso.
Tutto ciò può sollazzare le ghignanti legioni della faziosità nostrana, ma è anche un disastro. L’ora (di colloquio) al Colle non ha sciolto i nodi. Ci vuole tempo. Per ora il nodo resta al collo del governo. Che sia una cravatta o un cappio è cosa che si vedrà dopo le europee.

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