mercoledì 16 aprile 2014

RICOLFI E INPS : QUANDO LA BUROCRAZIA è GENTILE MA RESTA INEFFICIENTE

 
Reputo interessante lo scambio di lettere tra il Presidente dell'INPS e Luca Ricolfi, su La Stampa, sia perché fornisce qualche dato che probabilmente in molti non conoscevamo, per esempio che i dipendenti Inps siano molti meno di Francia e Germania, con un costo di gestione inferiore a quei due paesi, poi che i dati pubblici dell'Ente siano richiedibili però a pagamento (salato, come giustamente fa notare Ricolfi). L'oggetto del contendere, s'intuisce dalla lettura dei due testi, riguarderebbe il ritardo, la limitatezza ed il costo di una informativa richiesta dal centro studi diretto dal Prof. Ricolfi (che è docente universitario ed  esperto di analisi dei dati) all'INPS e le giustificazioni date dal responsabile dell'Ente. Non so se lo scambio epistolare avrà un seguito, però, allo stato, le obiezioni che il professore fa al magadirigente pubblico mi sembrano fondate, e che le spiegazioni del secondo, per quanto espresse con un tono inusitatamente garbato e quasi umile (quindi lodevole), non appaiono alla fine convincenti.
Però potete farvi un'idea direttamente



Inps, tempi biblici e costi elevati “Spendiamo meno di Francia e Germania”

Dopo l’articolo-denuncia di Luca Ricolfi di lunedì 7 aprile sui ritardi e l’inefficienza dell’Inps, pubblichiamo la risposta del direttore generale dell’Istituto di previdenza, Mauro Nori.

Caro professor Ricolfi,
ha ragione su molte cose di cui ha scritto nell’articolo di lunedì scorso (“Burocrazia, ecco il nemico numero uno dell’Italia”) su “La Stampa”, e me ne scuso. Ma non concordo su tutto.
Iniziamo dalla disponibilità dei dati. La produzione a richiesta di apposite rilevazioni statistiche o amministrative da parte di soggetti non istituzionali non è tra le attività ordinamentali dell’Inps. Questa è riservata esclusivamente alle istituzioni governative e parlamentari.
La fornitura di una analisi statistica o di una specifica rilevazione di dati amministrativi richiede un lavoro ad hoc ed un assorbimento di risorse. Pertanto, come è doveroso che sia in ogni azienda che è alle prese con drastiche riduzioni di spesa, si gestisce per priorità e tra le priorità del nostro Coordinamento statistico vi sono in primo luogo le elaborazioni tecniche che il Governo e in subordine il Parlamento ci chiede per i numerosi provvedimenti di legge che il nostro Paese produce. Di qui la controversa e recente delibera che poneva l’obbligo di chiedere un rimborso dei costi sostenuti alle numerose istituzioni ed enti di ricerca che richiedono continuamente elaborazioni dei nostri dati. La ratio di tale deliberazione – peraltro richiesta dalla normativa vigente - era proprio quella di selezionare le miriadi di richieste che ci pervengono ogni giorno da autorità ed enti nazionali e internazionali per fini di ricerca.
Possiamo essere stati deficitari ma la nostra priorità rimane quella di assistere i 40 milioni di utenti che impattano quotidianamente con il nostro Istituto, sbagliamo purtroppo succede, anche se facciamo di tutto perché questo accada sempre meno frequentemente. Di certo ora abbiamo più difficoltà che in passato a sottrarre risorse che vengono destinate prioritariamente alle attività istituzionali.
Abbiamo assorbito in silenzio una spending review che ci ha tagliato circa il 50% delle spese di funzionamento, nel momento più critico della nostra storia recente, quello dell’incorporazione dell’Inpdap e dell’Enpals, per la realizzazione dell’Ente unico. Anche sotto il profilo delle spese non eravamo un ente nel quale gli sprechi erano la quotidianità. Lo certifica Eurostat, ponendoci ai primissimi posti in Europa per costi di gestione. Spendiamo percentualmente meno di Francia e Germania.
Lei, come la maggior parte dei cittadini, forse non sa che in Italia l’Inps svolge con meno di 30.000 dipendenti, servizi pubblici di previdenza, assistenza e welfare che in Francia svolgono 9 enti pubblici con 120.000 dipendenti. In Germania, ci sono 80.000 dipendenti per dare servizi pubblici relativi alla sola previdenza in quanto l’assistenza viene devoluta integralmente ai länder. 
Tempi e modi della risposta? Qui la cenere sul capo è d’obbligo, almeno per quanto riguarda le nostre modalità di risposta, il linguaggio barocco e l’uso della carta. Proprio dall’uso della carta, deriva un altro dei problemi che Lei segnala: la mancanza del dato mensile sulla cassa integrazione, prima del 2000 (la richiesta riguardava le serie storiche mensili dal 1980), ha procurato il ritardo con il quale Le abbiamo risposto. Infatti prima di quella data abbiamo solo sintesi annuali, fino ad allora ogni dato era solo cartaceo e come può immaginare il data entry storico richiede tempo e risorse. 
A proposito dei tempi, Le confesso, che due settimane per dare seguito alla richiesta non mi sembrano così inadeguate. Proprio per le ragioni che mi sono permesso di rammentare: sono tante le attività istituzionali del nostro Coordinamento statistico-attuariale; dal Parlamento, dal Governo, dalla Ragioneria generale dello Stato provengono continuamente richieste di schede tecniche e di valutazioni preventive per norme proposte e per decisioni da adottare, a volte, in tempo reale.
Concludendo, sicuramente la burocrazia è una delle criticità dell’Italia: di certo c’è anche la burocrazia buona (come vede il termine non è in se negativo), ce n’è, ne sono convinto, non solo all’Inps.
La storia che Lei (mi consenta questa maiuscola) ha raccontato non dovrebbe ripetersi, ma definirla “esemplare”, forse è un po’ troppo. O per lo meno lavoro perché gli esempi dell’Inps possano essere altri.
Mauro Nori

Gentile dottor Nori,
l’aggettivo “gentile” con cui inizia questa mia riflessione non è di pura cortesia: la sua reazione al mio articolo di lunedì 7 aprile sull’inefficienza e l’inadeguatezza dell’Inps è davvero gentile, il che non succede quasi mai in casi analoghi. Di solito le grandi Istituzioni rispondono con un’autodifesa a 360°, e noi commentatori replichiamo con una battuta al vetriolo, forti del fatto che – sui quotidiani – siamo noi ad avere l’ultima parola.
Poiché lei ha colto l’occasione per illustrare ai nostri lettori i problemi e il punto di vista dell’Inps, ne approfitto a mia volta per tornare sui punti che, nella sua risposta, non mi convincono appieno. Il tutto in uno spirito che desidero sia il più amichevole e costruttivo possibile.
1. Lei dice che l’Inps è sotto pressione perché i “soggetti istituzionali” (Parlamento, Governo, etc.) vi chiedono elaborazioni, anche non banali; che voi dovete dare priorità a tali richieste; e che proprio per questo noi soggetti “non istituzionali” dobbiamo attendere e pagare un rimborso spese all’Inps.
Forse si stupirà, ma su questi principi io sono pienamente d’accordo. Anzi, in generale io sono un accanito sostenitore del meccanismo del ticket, ossia di un mini-pagamento che permette di razionalizzare le richieste, ridurre gli sprechi, evitare che l’onda del gratis sommerga tutto e tutti. Per inciso: sono così convinto della funzione di filtro svolta dal ticket, che sono arrivato a sognare e il “francobollo elettronico” (ad esempio 1 centesimo per ogni mail), a mio parere il solo mezzo che ci eviterebbe di essere invasi quotidianamente da comunicazioni irrilevanti e fastidiose, abbattendo del 99% il traffico sulla rete e restituendoci tempo per attività più intelligenti o piacevoli.
Il problema, però, è come si applicano questi sacrosanti principi. Io penso si debba distinguere fra l’attività di elaborazione statistica non standard, o “ad hoc”, e il semplice dovere di trasparenza verso il pubblico. Proprio perché mi occupo di raccolta e analisi dei dati distinguo nettamente fra richieste di informazioni banali ed elaborazioni speciali. Per me è abbastanza ragionevole che voi pretendiate un rimborso se vi chiediamo, ad esempio, di comunicarci le ore di cassa integrazione erogate per anno, mese, comune di residenza e genere dell’intervistato. O se vi chiediamo una stima degli esodati, suddivisi per settore produttivo e tipo di contratto. Ma se vi chiediamo semplicemente il bilancio dell’Inps? Non credo che ci possiate rispondere che dobbiamo rimborsare l’ufficio contabilità che deve stilarlo apposta per noi. Quel che ci aspettiamo è che ci mandiate un file pdf, o ci diate un indirizzo in cui reperire i dati del bilancio, che dovrebbero già essere da qualche parte, pubblici e accessibili.
Ecco, l’equivoco a me pare questo: per noi chiedervi la serie storica mensile delle ore di cassa integrazione erogate è come chiedervi il bilancio, non ci viene nemmeno in mente che, per voi, una richiesta così elementare possa richiedere un’elaborazione statistica ad hoc. Ogni Ente pubblico dovrebbe conoscere e mettere on line almeno gli aspetti macroscopici dei propri comportamenti e della propria storia. E se è un ente che gestisce un enorme database, per il quale – sono certo – sono stati spesi nel tempo milioni e milioni di euro, è inconcepibile che non sia in grado di “tirar fuori” rapidamente informazioni così banali e macroscopiche come quelle che abbiamo richiesto. 
2. Ma accettiamo, per un momento, che le cose stiano come lei le ricostruisce: l’Inps non ha i dati pronti (le serie mensili 1980-2014 della cassa integrazione) perché fino al 2000 si registrava tutto su carta. Ma il punto è che voi ci avete chiesto di pagare 732 euro NON per i dati 1980-2000 ma per quelli SUCCESSIVI al 2000, dunque per dati già archiviati elettronicamente. Per i dati 1980-2000 ci avete detto semplicemente che non potevate darceli, per quelli dopo il 2000 che potevate darceli ma solo a pagamento (di fatto in 3 settimane, non in 2). In breve, le 3 settimane di attesa più i 732 euro di costo per 4 ore di lavoro sono stati previsti dall’Inps per dati già informatizzati, in quanto relativamente recenti (2000-2014).
3. Difficile, arrivati a questo punto, non farsi qualche domanda, un po’ come studioso ma un po’, anche, come cittadino.
Come studioso mi chiedo: possibile che l’Inps abbia atteso il 2000 per informatizzarsi, quando la stragrande maggioranza degli enti e delle imprese che gestiscono grandi masse di dati lo hanno fatto da molti decenni, ben prima del 2000? Di chi è la responsabilità di un simile ritardo? Non ha avuto soldi per il suo centro di calcolo? O li ha usati male, affidando la costruzione del database e del relativo software a professionisti o ditte poco competenti, per cui nel 2000 ha dovuto ricominciare tutto da capo? O invece il problema è l’organizzazione attuale del database, visto che le operazioni di estrazione di dati ancor oggi richiedono così tanto tempo, persino per dati piuttosto recenti?
Come cittadino, invece, mi chiedo: qual è il calcolo che porta a contabilizzare un’ora di lavoro di un dipendente Inps in 150 euro più Iva?  
Faccio questa domanda come cittadino, ma anche come docente di analisi dei dati, che da decenni lavora con giovani che sanno raccogliere, organizzare e analizzare i dati. Ebbene, il cittadino qualunquista che ogni tanto fa capolino in me si mette a fare due conti e scopre che, se un dipendente costa 150 euro + Iva all’ora e, come tutti, lavora circa 1700 ore l’anno, il suo costo è di 311 mila euro lordi, molto di più di quel che costa il presidente della Repubblica, e più o meno quanto possono costare 10 giovani informatici o statistici pagati 1.500 euro al mese ciascuno.  
E allora ecco una proposta semplice e rivoluzionaria: perché non liberare del tutto il personale Inps dalle richieste esterne, lasciandolo lavorare solo su quelle dei “soggetti istituzionali”, e affidare le richieste esterne a una cooperativa di giovani informatici, statistici e analisti dei dati che, a prezzi sicuramente più modesti e in tempi sicuramente più brevi, potrebbe evadere “le miriadi di richieste che ci provengono ogni giorno da autorità ed enti nazionali e internazionali per fini di ricerca”?  
In fondo, basterebbe conferire alla cooperativa gli stessi micro-dati, ovviamente “anonimizzati” per ragioni di privacy, che già l’Inps concede a diversi enti esterni. Sarebbe un bel gesto, che gioverebbe a tre categorie di soggetti: i dipendenti Inps, che potrebbero servire meglio e più rapidamente i soggetti “istituzionali”; gli enti di ricerca esterni, che potrebbero accedere ai dati rapidamente e a costi ragionevoli; e i giovani esperti di dati, che potrebbero fare un lavoro utile e interessante.
Luca Ricolfi 

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