domenica 6 aprile 2014

UN DUBBIO : RENZI E ORLANDO, SULLA GIUSTIZIA, SI PARLANO ??



La riflessione di Davide Giacalone riporta i dubbi sull'asse Renzi - Orlando nel settore giustizia : I DUE SI PARLANO ?
E' una battuta ma fino ad un certo punto. Intanto sappiamo che non era Orlando la "prima scelta" del coach di Palazzo Chigi, che gli aveva preferito Gratteri. UN PM , e di quelli stile "Prefetto Mori" (che per carità, in terra di Mafia e negli anni 30 ebbe il suo perché, anche con qualche ombra). Inoltre l'uomo non nasce renziano, che era già responsabile giustizia del PD nella segreteria Bersani (corrente dei cd. "giovani turchi", alleati del segretario e non di Renzi, appoggiando nelle primarie PD sempre il suo competitor)  e poi ministro ( dell' ambiente ) nel governo Letta. All'epoca della sua reggenza del "forum giustizia" del partito, che dura dal 2009 fino all'incarico quale Ministro nel 2013, dicono che abbia lavorato bene, guadagnando faticosamente centimetri su centimetri sulla strada maestra che riporti la sinistra sulle ormai assai antiche posizioni garantiste, allentate in occasione della lotta al terrorismo ( e si poteva almeno comprendere) e abbandonate del tutto con tangentopoli ( e lì si comprende benissimo, ma con una vasta nausea). 
Proprio l'altro giorno  lo stesso Ministro aveva pubblicato su FB (come ignorare un social network che vanta milioni e milioni di iscritti ??) il seguente post :
...le nuove norme introducono un nuovo sistema sanzionatorio più adeguato alla gravità dei reati e consentono di ripensare il nostro modello di detenzione per portarlo in linea con le regole penitenziarie europee, senza minare la sicurezza dei cittadini e il principio della certezza della pena. Il carcere rimane l’extrema ratio per i reati gravi e i soggetti pericolosi, mentre le misure alternative tendono a responsabilizzare maggiormente il detenuto puntando a non relegarlo ai margini della società cercando di offrire strumenti idonei ad evitare la recidività e a favorire il reinserimento.
Un ulteriore aspetto positivo, tutt’altro che secondario, riguarda l'ambito delle norme penali e l'effetto deflattivo che le nuove norme produrranno sullo svolgimento e la durata dei processi, anche in forza della delega che il Governo sarà chiamato ad esercitare in materia di depenalizzazione.
Sono convinto che riforme come questa e come altre che stiamo rendendo operative, penso ad esempio la legge sulla custodia cautelare, siano assieme ad una costante azione amministrativa che acceleri il rimpatrio dei detenuti stranieri, il trasferimento in comunità di quelli tossico dipendenti e lo sviluppo di progetti di reinserimento, la strada da percorrere per produrre risultati benefici e costanti anche per il futuro.


Io non posso che condividere, che già sentire "carcere extrema ratio" e "riforma della custodia cautelare", è musica per le mie orecchie. Se poi un manettaro forcaiolo come Travaglio biasima perché, udite udite, gli INCENSURATI non potranno più (cosa poi non vera, dipenderà anche dal tipo dei reati) finire in carcere preventivamente - cioè SENZA ESSERE STATI RICONOSCIUTI COLPEVOLI - a noi al contrario può sembrare solo un grosso motivo in più per lodare il Ministro, incoraggiandolo a continuare per questa rotta. 
Vediamo se indirettamente - pressioni sul suo Premier - o direttamente (metodo Mastella and Family ) certa magistratura vorrà ostacolare questo modus operandi.
Intando,  i dubbi legittimi di Giacalone.


Un colpo solo

Come tutti i salmi finiscono in gloria, così tutti i governi finiscono con l’avere il problema della giustizia. Né potrebbe essere diversamente, visto che in questo campo si danno appuntamento tre flagelli: il sistema giudiziario che non funziona, le condanne europee (non Ue) che umiliano l’Italia, lo squilibrio fra poteri dello Stato e la politicizzazione dell’azione penale. All’ennesimo tentativo di affrontare la questione assistiamo a una singolare contraddizione: mentre il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annuncia che la riforma della giustizia sarà fatta a giugno, il ministro della giustizia, Andrea Orlando, sostiene che prima di fare le riforme si deve porre rimedio alle emergenze. Escluso che tali rimedi possano miracolosamente materializzarsi nel mese di maggio, posto che non s’è ancora mossa una foglia, resta da stabilirsi se i due si sono parlati. Qui di seguito il perché l’approccio di Renzi è più irrealmente realistico.
Quello di Orlando è più tradizionale, posto che ha tradizionalmente fallito: prima turiamo le falle e poi ridisegniamo lo scafo. Non funziona, perché lo scafo è rotto, da troppo tempo. Se non se ne appronta uno nuovo il solo modo per tamponare le falle, ad esempio diminuendo l’affollamento carcerario, consiste nel far uscire i condannati. Cioè nel rinunciare alla giustizia. Orlando, del resto, si rallegra per il fatto che i detenuti tossicodipendenti si avvieranno numerosi verso le comunità di recupero, sgomberando le celle. Operazione giusta, che fin qui non s’è fatta perché a essere contrario è stato il suo partito, o, meglio, i genitori del suo partito, i quali davano a noi dei repressori totalitari dacché volevamo quel che ora festeggiano. Lo spettacolo del Pd che s’impegna a fare il contrario di quel che ha sostenuto la sinistra italiana è avvincente, ma anche deprimente. Non è bello far carriera grazie a partiti di cui, a quel che sembra, non si condivideva un’idea che fosse una.
In ogni caso: procedendo à la Orlando non si arriva da nessuna parte. Si irrita, il ministro, quando gli si chiede cosa pensa della sorte di un condannato, Silvio Berlusconi. Capisco l’imbarazzo. Gliecché non farà nessuna riforma se perderà il consenso della parte politica che il condannato fondò, dato che i suoi compagni la pensano ancora come la pensavano, quindi hanno ancora nelle vene sangue giustizialista e manettaro. Annunciare, al contrario, che la riforma si farà a giugno è irrealistico. Al massimo potranno fare una riforma modello provincie, cui i titoli dei giornali dicono addio e quelle restano dove sono. Ma è politicamente più realistico, perché coagula forze diverse e crea una significativa spinta riformatrice, non rassegnata a subire interferenze corporative e blocchi girotondini. La ricetta Renzi è ardita, ma il piatto che promette più appetibile.
Gli ingredienti li conosciamo a memoria: separazione delle carriere; cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale; tempi certi del procedimento, non derogabili; responsabilità dei magistrati; fine dell’autogoverno corporativo e ritorno dell’organizzazione giudiziaria nelle mani del ministero (come previsto dalla Costituzione). C’è chi ci mette il pepe, chi l’aglio, chi lo zenzero, ma la zuppa è quella. Siccome l’arretrato giudiziario è spaventoso, dopo averla cucinata, per evitare che orde barbariche la usino per la minzione, sarà opportuna un’amnistia. Che ha il difetto d’essere oscena, ma il pregio di risolvere sia il problema delle carceri che quello dei tribunali.
Quel che il governo deve fare è decidere quale delle due strade imboccare. Se sceglie la linea Orlando noi garantisti, amanti del diritto e della giustizia, torniamo a occuparci d’altro. Tanto non se ne fa nulla. Se sceglie la linea Renzi la cosa si fa interessante, sapendo che la scomoda e incresciosa condizione in cui si trova il leader del centro destra può tornare utile, anziché essere considerata un fastidio. Scegliere, però, devono farlo subito, altrimenti passano cose come la legge sul voto di scambio, che fanno tanta bella propaganda, ma poi, nella pratica, si scoprirà che non serve a neutralizzare i voti dei mafiosi, bensì a far entrare le procure nel gioco elettorale. Senza contare che alle politiche gli eletti sono scelti dalle segreterie, sicché se si persegue uno di loro per voto di scambio occorrerà coinvolgere anche chi lo scambiò per un portatore di buoni voti.
Già le procure sono entrate nell’urna dei voti parlamentari. Fatele entrare anche in quelle dei voti popolari e poi voglio vedere quanti avranno il coraggio di profferire verbo circa le toghe straripanti. In quel caso vince Orlando, cui non auguro certo di far la fine di Clemente Mastella, ma gli suggerisco di studiarla con attenzione: a prestar servizio al bar delle toghe si finisce col puntare alla mancia e prendere una manciata di schiaffi.

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