Qualche tempo fa pubblicammo un intervento (lo trovate qui : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/04/quando-massimiliano-annetta.html ) di Massimiliano Annetta, avvocato, penalista, docente ed esponente del direttivo PD fiorentino. Anche amico di Renzi. Almeno lo è stato. Non so se lo rimarrà, che il premier oltre ad essere fumino è anche bello permaloso e non gradirà questo secondo intervento (non che Renzi legga il Camerlengo, però magari il passaparola, la rete, FB...e così arriva il caritatevole che sussurra "ma lo sai Matteo che va dicendo quel rompico...di Annetta ??").
Già nel primo, le posizioni, espresse in modo chiaro, netto e coraggioso da Max, partendo dal problema carceri e investendo l'intera questione giustizia, non sembravano propriamente far parte dell'Agenda dell'attuale governo : "separazione delle carriere; cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale; tempi certi del procedimento, non derogabili; responsabilità dei magistrati; fine dell’autogoverno corporativo e ritorno dell’organizzazione giudiziaria nelle mani del ministero (come peraltro previsto dalla Costituzione)".
Capirai, nemmeno un eretico : un apostata !
Però in quel momento c'erano stati alcuni segnali...Fiandaca candidato del PD alle Europee nei distretti delle Isole, Orlando che iniziava, qua e là, a dire qualcosina di vicino a favore della garanzia dei diritti, del superamento dei tabù riformatori in nome dell'antiberlusconismo, qualche puntura agli onnipotenti magistrati, sia pure sugli stipendi dei vertici...Insomma, qualcuno degli amici del PD - non Massimo a dire la verità, più saggiamente timoroso - ci diceva "eppur si muove".
E' arrivato maggio, le elezioni, precedute dallo scadalo Expò e dalla richiesta di arresto del deputato PD Genovese, e che succede ? Che il PD si mette a fare la gara con Grillo a chi è più manettaro ( leggere l'intervento di Facci, pure richiamato da Annetta nel suo post : : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/il-pd-in-salsa-manettara-la-gara-di.html ) . E quella "genia" della Morani che invita Grillo, dopo avergli impacchettato il compagno di partito, ad asciugarsi la bava alla bocca, senza pensare minimamente che forse il capo degli ortotteri va contrastato e non rincorso, e che almeno il voto palese, rompendo una tradizione consolidata, volta a garantire la libertà di coscienza dei parlamentari su questioni inerenti la libertà personale, andava evitato.
Ecco, tutto questo a Massimiliano Annetta fa venire il voltastomaco. Credo e spero non solo a lui , nel partito democratico, però lui lo DICE e lo SCRIVE.
E questo fa tutta la differenza del mondo.
Buona Lettura
Ho sempre trovato la lettura dei sadomasochisti
giudiziari di Micromega istruttiva per la banale ragione che con loro il
discrimine torna immancabilmente nitido: da una parte loro, la santa alleanza
tra linciatori e tricoteuses,
dall’altra la sobria invocazione della Giustizia uguale per tutti.
Ebbene, anche stavolta non
sono rimasto deluso: di pochi giorni orsono le dichiarazioni di tale Avv.
Giuseppe Zuppo che, un attimo dopo l’autorizzazione all’arresto del deputato
del PD Genovese, ben rappresentata dall’ottuso sorriso del deputato grillino
che l’ha festeggiata mimando i ceppi ai polsi, ci ha ammonito che: “l’unico erede della questione
morale di Berlinguer e del PCI è il Movimento 5 Stelle”.
Confesso subito: al momento della lettura ahimè ignoravo
chi fosse il collega. Ho cercato di rimediare scoprendo che si tratta di un
anziano avvocato che ai tempi del PCI di Berlinguer, quindi a spanne qualche
lustro fa, ne è stato niente di meno responsabile nazionale della giustizia.
Fin qui indagine facile, visto che lo stesso articolo
di Micromega metteva ben in evidenza queste medaglie del Nostro. Ma, forse per
deformazione professionale, sono curioso assai e non mi son fermato qui e che
ti scopro?
Scopro che l’avv. Giuseppe Zuppo, a meno di un
improbabile caso di omonimia, ha avuto pure un importante ruolo nel j’accuse orchestrato da Leoluca Orlando
nei confronti di Giovanni Falcone che culminò con l’ennesimo calvario del magistrato
di doversi difendere davanti al CSM.
Chi ha avuto la ventura di leggermi od ascoltarmi
sa che per l’uso vergognosamente strumentale della figura di Giovanni Falcone
ho una vera ossessione, perchè trovo veramente disdicevole che da vent’anni si
speculi sul suo nome, se ne distorca il pensiero, e se ne pieghi il nome per
raccattare qualche manciata di voti, in prima fila impassibili i molti “eroi
della sesta” che l’osteggiarono in vita. Nondimeno trovo che, anche questa
volta, la storia meriti di essere raccontata anche per i disvelarsi di sempre
nuovi protagonisti.
Nel 1989 Falcone sente
un pentito di mafia, tale Giuseppe Pellegritti, che gli dice che il mandante
degli omicidi Mattarella e La
Torre è il politico democristiano Salvo Lima. Falcone non gli
crede e dopo aver approfondito le indagini, ritenendo la sua totale
inaffidabilità, firma un mandato di cattura nei suoi confronti per
“calunnia continuata”.
Subito si scatena nei
confronti di Falcone la canea di quelli che oggi ne invocano il nome. Agit prop
principe è Leoluca Orlando che dalla trasmissione Samarcanda condotta da Michele
Santoro (come vedete la compagnia di giro è sempre la stessa) lancia la fatwa manettara: Falcone tiene le prove
contro i politici “chiuse nei cassetti”.
E qui entra in
campo l’avv. Giuseppe Zuppo, che nel procedimento dinanzi al CSM nel quale
Falcone deve difendersi da questi attacchi deposita ben due memorie
sottolineando, tra le altre doglianze, “il mancato esame… ed i doveri
trascurati”.
La vicenda
meriterebbe ben altro approfondimento, ma non è questo il tema; per rispondere
alla canea urlante dei manettari valgano, oggi come allora, le parole che
Giovanni Falcone pronunciò dinanzi al CSM a propria difesa: “Se c’è stata
preoccupazione, da parte nostra, è stata proprio quella di non confondere le
indagini della magistratura nella guerra santa alla mafia […]. Non si può
investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non
è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del
komeinismo […]. Io sono in grado di resistere, ma altri colleghi un po’ meno.
Io vorrei che vedeste che tipo di atmosfera c’è per adesso a Palermo”.
Il tema è che, oggi come allora, il più grande partito della sinistra
si divise: Zuppo non era da solo e l’allora organo del PCI, L’Unità, si
distinse nella caccia alle streghe (memorabile, non certo positivamente, una
intervista di Saverio Lodato ad Orlando dal titolo emblematico: “Indagate
sui politici, i nomi ci sono”).
Ma neppure questo
è il problema, chè chi scrive non è affetto dalla sindrome della bambina
dell’Esorcista e preferisce guardare avanti anziché all’indietro, oltre a non
aver mai militato, per evidenti ragioni anagrafiche, nel PCI.
Il problema è che
dopo venti e più anni stiamo sempre lì, come la vicenda Genovese dimostra.
Doverosa premessa: per quel che
so di Francantonio Genovese costui è un
uomo che per cultura politica, costumi, modalità di raccolta e mantenimento del
consenso, esercizio della funzione dirigente ed elettiva, è quanto di più
lontano da come personalmente immagino e mi adopero che sia il PD.
Ciò non toglie, tuttavia, che quanto
accaduto alla Camera resti un grave vulnus
democratico. E non per il fatto che si è votato a favore del’autorizzazione, ma
per le modalità con cui si è arrivati a quel voto, per la tempistica, le
pressioni a mezzo stampa e il voto palese rivendicato per la pressione e lo
sciacallaggio del M5S. Io non so se vi fosse “fumus persecutionis”, ma il problema, come ha acutamente osservato Filippo Facci subito dopo il voto, è che non lo sa nessuno, per primi i parlamentari che hanno dovuto votare senza poter liberamente discutere della questione.
Signori, bisogna avere il coraggio di dirselo: della libertà di un uomo si è fatta carne da campagna elettorale.
Parafrasando Guido Vitiello ancora una volta “di là le manette, di qua la bilancia; di là la muta ringhiosa dei linciatori, di qua la sobria invocazione della legge uguale per tutti” e ancora una volta il più grande partito della sinistra a scelto di stare…di là.
E il problema, all’evidenza, non è che ne va del mio futuro nel PD, è che ne va del futuro del PD ed in ultima analisi dell’Italia.
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