mercoledì 4 giugno 2014

IL PERCHE' DEI 20 ANNI A KOBOBO, L'ASSASSINO COL PICCONE.


Quando ho letto il sottotitolo dell'articolo il primo motto è stato di riprovazione : l'assassinio di tre persone, e il ferimento di altre, punito con 20 anni di carcere...francamente una pena non adeguata, d'acchito.
Però la militanza garantista e l'esperienza forense mi hanno indotto a leggere per intero il post de La Stampa, che riportava la sintesi della motivazione del Giudice che ha giudicato, in primo grado, Adam Kabobo, che aveva seminato il terrore nelle vie di Niguarda, a Milano, appena un anno fa, per vedere di capire meglio. E la spiegazione la trovi : rito abbreviato, che di per sé comporta la riduzione di un terzo della condanna (sarebbe stata dunque di 30 anni), e il riconoscimento della semi infermità mentale, che francamente non esito a credere in un individuo che uccide con quelle modalità ( successivamente, man mano che le disgraziate vittime incrociavano la sua strada e non riuscivano a fuggire, a picconate). 
Naturalmente c'è chi dirà che il rito abbreviato non va bene, che lo sconto è eccessivo, in alternativa che il beneficio non vada applicato per reati di sangue e/o comunque di questa gravità. Però basta non dimenticare che intanto la legge ora è questa, e quindi il Giudice l'ha applicata correttamente ( e questa è comunque una buona notizia, di questi tempi ), e poi 20 anni non risarciscono tre vite umane, ma nemmeno 30 o l'ergastolo (che poi è solo una previsione astratta, di fatto il "fine pena mai" non esiste, e non si comprende se è così perché non si trovi il coraggio di abrogare esplicitamente questo tipo di previsione), e , se effettivamente scontata, è pur sempre una punizione dura. 
Non credo abbia inciso sulla misura della sanzione il riferimento nella sentenza al disagio sociale, alla rabbia del giovane ghanese  che si sentiva rifiutato, privato di qualsiasi aiuto. 
Il giudice, nel richiamare queste circostanze, ipotizza che queste abbiano aggravato lo stress di una psiche già  compromessa, ma, forte degli esami peritali, non arriva alla scriminante dell'incapacità di intendere e volere.
Una sentenza che non soddisferà tanti ( e infatti su alcuni giornali quando uscì - oggi si tratta delle motivazioni - le critiche furono assai dure) ma che invece appare equa.




Milano, uccise tre persone a picconate
Il gup: “Malato, ma in grado di capire”

Pubblicate le motivazioni alla sentenza che ha condannato il 31enne ghanese Adam Kabobo a 20 anni di carcere. Rabbia ed emarginazione alla base dei delitti

ANSA
Adam Kabobo, 31 anni, accompagnato all’udienza dalle forze dell’ordine
milano
Nonostante la schizofrenia, conosceva il significato delle sue azioni: questo si legge nelle motivazioni alla sentenza che ha condannato a 20 anni di carcere Adam Kabobo, il 31enne ghanese che nel maggio del 2013, a Milano, aveva ucciso tre persone a picconate in strada.  
Nonostante la malattia mentale, si legge nel documento, il 31enne «aveva conservato la capacità di comprendere il valore e il significato del suo comportamento e di agire di conseguenza» . «Egli - si legge nelle motivazioni - era perciò in grado di orientare la sua condotta anche durante la commissione dei reati secondo le motivazioni che non sono ascrivibili alla malattia e in questo senso i periti concludono per una capacità di comprendere il volere e il significato del suo comportamento e di agire di conseguenza». Il giudice ha riconosciuto all’imputato la semi infermità mentale, ma non è stata soltanto la malattia del ragazzo a guidarne la furia, ma anche «la condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia di base, aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la compromissione cognitiva». La pena prevista sarebbe stata 30 anni, ridotta a 20 per la scelta del rito abbreviato e per la semi infermità mentale.  
Era l’11 maggio del 2013 quando nel quartiere Niguarda di Milano, armato di piccone, Adam Kabobo aggredì e uccise tre persone, una furia a cui altri passanti riuscirono a sfuggire. Alessandro Carole’, disoccupato di 40 anni, era stato aggredito davanti a un bar-gelateria, Daniele Carella, di 21, mentre era al lavoro con il padre a distribuire giornali, Ermanno Masini, pensionato di 64 anni, era stato assalito mentre portava a spasso il cane, mentre altri due uomini erano stati feriti. Durante l’interrogatorio in carcere, Kabobo disse di sentire delle voci che lo guidavano. Per il gup, però, «non si è limitato a giustificare la sua condotta riferendo la presenza delle voci, ma ha espresso chiaramente il suo stato di rabbia verso un mondo che non lo accoglieva, non gli prestava aiuto, non soddisfaceva le sue primarie esigenze di vita». In alcuni momenti, l’omicida si è dimostrato lucido: quando ha scelto di cambiare l’arma (prima una spranga, poi il piccone), quando ha rubato alcuni oggetti alle vittime, quando «ha tentato la fuga, ma prima si è liberato dell’arma» all’arrivo dei carabinieri. 

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