Le immagini che Guido Vitiello evoca, di una magistratura come potere clericale che sconfessa la sua missione originaria, tutta presa dalla fortificazione e conservazione del potere temporale, sono un capolavoro metaforico. La Magistratura attuale, i suoi vertici, è paragonata ad un secondo Vaticano, e non certo quello ispirato all'attuale Papa Bergoglio (al di là di come si giudici l'attuale pontefice).
Leggiamoli alcuni numeri di questo conclave :
- la lentezza del sistema giudiziario la si conosce. Siamo i secondi al mondo , dopo la Russia, in questa non lusinghiera classifica
- le cifre erogate dallo Stato - quindi dalla collettività - per errori giudiziari sono passate dai 5 milioni di euro del 2003 ai 40 del 2008 e 84 nel 2011
- per il recupero dei crediti commerciali in Italia ci vogliono mediamente 1210 giorni (oltre tre anni), in Germania 394.
- sovraffollamento carcerario di circa 25.000 persone (non parliamo delle altre vergognose lacune), a fronte di 28.000 detenuti in attesa di giudizio. A persone semplici verrebbe facile la soluzione : fate uscire i presunti innocenti, e risolvete il problema del sovrannumero lasciando dentro i colpevoli. Troppo facile.
- la durata del primo grado dei processi civili è, di media (Roma sballa notevolmente questa misura, che minimo ci vogliono due anni), pari a quasi 500 giorni, in Europa è poco più della metà (287).
- Il Consiglio di Stato è formato da 419 persone, l'Avvocatura di Stato ha 780 dipendenti, i Giudici Costituzionali hanno pensioni mensili di 15.000 euro mensili (cumulabili con altre), spendiamo per gli stipendi dei magistrati il 30% in più della Francia ( quelli dei magistrati sono le retribuzioni che dall'ingresso dell'euro sono aumentate di più : + 30% in 5 anni ! ).
- l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, affidata al CSM, vede il 92% di archiviazioni (!!)
- la famosa responsabilità civile, introdotta teoricamente 23 anni fa dopo un referendum pressoché plebiscitario (l'80% dei voti sul 65% dei votanti, il doppio di quelli sbandierati da mane a sera dai renziani, con meno gente alle urne ), con una legge, la Vassalli, assolutamente mortificante la volontà espressa dai cittadini, ha, oltre a stabilire la responsabilità dello Stato e non del giudice nei confronti della persona danneggiata dall'errore grave del secondo, un filtro di ammissibilità paragonabile al cammello e la cruna dell'ago di evangelica memoria. Nell'arco di 23 anni i procedimenti dichiarati ammissibili sono stati l'8,5% del totale. NON parliamo di accoglimento, che è altra cosa, semplicemente AMMISSIBILI !
- 4 milioni gli errori giudiziari accumulati nella storia della giustizia penale repubblicana
Alla luce di questi numeri, che non sono assolutamente tutti, il sistema giudiziario italiano viene ritenuto affidabile dal 33% dei cittadini, 15 punti in meno rispetto alla media UE (fonte Eurobarometro sulla giustizia del 2013). .
Anzi, il 33% mi sembra ancora alto !
Buona Lettura
Messa e manette
Dietro il mistero teologico della santificazione del pm. Cronache da una grande menzogna pretesca
di Guido Vitiello |
Certe mattine, quando leggo la cronaca giudiziaria, sento suonare le campane. Non le campane a festa degli innamorati, e neppure i rintocchi presaghi dei moribondi: solo un comune scampanìo che chiama per la messa. Devo spaventarmi di questa allucinazione uditiva a sfondo mistico? Consultare uno psichiatra, sottopormi a qualche test? Forse non ce n’è ragione. In fin dei conti, la parentela tra rito religioso e rito giudiziario è antica quanto l’uno e quanto l’altro, la toga e la tonaca sono cucite a filo doppio. Sul finire della guerra Guido Raffaelli, magistrato d’appello a Milano, pubblicò un piccolo libro che si chiamava “Il sacerdote di Temi”, dove agli officianti del culto della dea Giustizia erano offerti consigli, esortazioni e precetti in un tono solenne e catechistico: “Il giudice fu ed è considerato un sacerdote; il luogo, in cui egli giudica, un tempio, e la funzione del giudicare fu detta divina”. Documenti di tempi andati, echi distanti di un’idea del magistrato e della sua dignitas che non ha più corso, e che già vent’anni dopo le giovani leve avrebbero considerato pomposa, conservatrice e antiquata. E allora perché io continuo a sentire le campane?
Nell’attesa di una diagnosi specialistica, mi sono dato una prima risposta. E cioè che quel tratto ecclesiastico, che il giudice associa sempre più di rado alla propria persona e alla propria funzione, non è scomparso affatto. Solo, dal singolo si è trasferito alla corporazione nel suo insieme, e quel che si è perso in sussiego sacerdotale lo si è guadagnato in spregiudicatezza curiale. Forse la riabilitazione di Tortora sarà più rapida di quella di Galileo, ma facciamo caso al modo tutto pontificio che ha la magistratura di rapportarsi alle altre funzioni dello Stato, alla stregua di un secondo Vaticano. Chi abbia in testa il ritornello di certe vecchie pagine anticlericali non faticherà a riconoscere nell’atteggiamento delle toghe verso parlamenti e governi tutto il repertorio di astuzie, di duplicità, di virtuose preoccupazioni, virtuose lagnanze e virtuose ipocrisie che facevano infuriare un Ernesto Rossi o un Gaetano Salvemini. “Il clericale domanda la libertà per sé in nome del principio liberale, salvo a sopprimerla negli altri, non appena gli sia possibile, in nome del principio clericale”, scriveva Salvemini. Con qualche ritocco minore, è la formula perfetta per una doppiezza caratteristica della corporazione togata: l’abitudine di scampanare allarme per l’attentato all’indipendenza e all’autonomia della magistratura se mai qualcuno si arrischia ad impicciarsi nell’autogoverno dei magistrati, salvo poi interferire senza alcuna remora nel processo legislativo e nei programmi di riforma con un dosaggio accorto di blandizie e larvate minacce, persuasioni e dissuasioni, pareri e circolari.
Ma non è certo il solo rintocco, il solo scampanìo. Cosa c’è di più intimamente clericale dell’ideologia professionale del “controllo di legalità”, che da più di un ventennio una larga parte della magistratura intende come una sorta di vigilanza morale permanente esercitata da un Oltretevere giudiziario, una tutela paternalistica sulla vita e la virtù della nazione, una mansione da pastori del gregge? E un’insistente nota curiale si avverte pure nell’occhiuta amministrazione delle informazioni interne, nella deliberata ricerca dell’opacità, nel fastidio e nel senso di oltraggio quando trapelano notizie di conflitti e di discordie, nell’aspirazione a lavare i panni sporchi in famiglia e di non stenderli neppure dopo in balcone. Tutti i nodi venuti al pettine nel caso Bruti Liberati-Robledo, al cui centro si contempla il grande mistero teologico, o meglio la grande menzogna pretesca della giustizia italiana: quell’obbligatorietà dell’azione penale che non esiste in nessun cielo ma è difesa e omaggiata con un intreccio tutto gesuitico di dogmatismo e casuistica…
Le sentite anche voi, le campane?
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