mercoledì 2 luglio 2014

SULLA MORTE DEI TRE RAGAZZI ISRAELIANI, NIENTE "SI', PERO'"


Mi sembra equilibrato il commento di Roberto Toscano, su La Stampa, in merito alla tragedia dei tre ragazzi israeliani prima rapiti e ora uccisi.
Quando si tratta infatti della morte di ebrei, in particolare di quelli che vivono in Israele, tocca leggere sembra una serie di stomachevoli distinguo. Lasciando da parte le canaglie che pensano che "hanno fatto bene", parlando degli assassini, tra i benpensanti c'è il riflesso pavloviano per il quale "certo, giusto condannare, però..." e si torna al problema ormai centenario del conflitto arabo israeliano.
Ecco, Roberto Toscano fa un'esortazione che condivido : di fronte all'eccidio di tre ragazzi, di 18 e 16 anni, non ci sono però. Anche il conflitto, anche la guerra non deve perdere di vista i mezzi, ed alcuni, come la rappresaglia su civili inermi, non devono essere giustificati mai.
Ma Israele quando risponde coi bombardamenti non si preoccupa dei civili...Quando accade, vale anche per Israele, certamente.
Buona Lettura

Israele-Palestina, il mondo si mobiliti
contro il terrorismo

È del tutto legittimo, anzi inevitabile, chiedersi con enorme preoccupazione – come fanno da ieri tutti i commentatori – quali saranno le ripercussioni dell’uccisione dei tre ragazzi israeliani rapiti. Le inevitabili rappresaglie, il riaccendersi della violenza generalizzata nei territori occupati, la crisi dell’Autorità palestinese, che non si vede come potrà mantenere l’alleanza con Hamas, ai cui militanti gli israeliani attribuiscono la responsabilità del crimine - quella Hamas che non ha rivendicato il rapimento, ma uno dei cui dirigenti ha detto «sia benedetto chi lo ha fatto».   

Legittimo anche affrontare il contesto politico in cui questa tragedia è avvenuta. Un’occupazione che dura dal 1967, gli insediamenti di coloni israeliani nei territori occupati, i posti di blocco, gli espropri di terreni. Alla base di tutto, l’insostenibile pretesa dei governi israeliani di eludere un fatto centrale: Israele non può essere nello stesso tempo grande, democratico ed ebraico. Se grande e democratico, non sarà – alla luce delle dinamiche demografiche – ebraico. Se grande (con il mantenimento dei territori occupati) ed ebraico dovrà escludere la popolazione palestinese dai diritti democratici, a meno di non voler mettere in atto la loro espulsione. Resta solo, come sottolineano i democratici e i pacifisti israeliani, arrivare finalmente ad un’intesa per una soluzione basata sull’esistenza di due Stati.  

In parallelo, gli errori e le debolezze dei moderati palestinesi e l’incapacità politica dei radicali di riconoscere il diritto di Israele all’esistenza ed abbandonare la via violenta, nonostante si tratti con ogni evidenza di un cammino ancora meno promettente della difficilissima via del compromesso. Va aggiunto che l’unica possibile finalità di questo crimine assurdo è mettere Abu Mazen in una situazione insostenibile e minarne irreversibilmente la leadership. Invece di un episodio di lotta contro l’occupazione israeliana sembra cioè trattarsi di un ennesimo caso di lotta fra le fazioni palestinesi.  

Oggi però ci sembra che sia indispensabile un diverso tipo di riflessione, una diversa presa di posizione sia politica che morale. Di fronte ai cadaveri di tre ragazzi, rapiti e poi trucidati, ci sembra anzi quasi indecente mettere l’accento su motivazioni, contesti, storia e questioni territoriali

Dovremmo invece essere in grado, quale che siano le nostre opinioni sulla tragedia palestinese (che è anche una tragedia israeliana), di dire che Eyal, Gilad e Naftali non dovevano essere rapiti e uccisi, e che il farlo è stato un crimine che non possiamo in nessun caso giustificare.   

Ci rendiamo certo conto del fatto che è impossibile eliminare tutti i conflitti, che la pace è un’aspirazione da tenere viva, ma che sarebbe utopico immaginare di realizzare a pieno. Ma possiamo invece bandire politicamente, moralmente e anche dal punto di vista del diritto internazionale, i mezzi più inumani del conflitto: il genocidio, il terrorismo, la tortura.  

Dobbiamo farlo, se non vogliamo che i crimini degli uni vengano presi a giustificazione di quelli degli altri, producendo così un allineamento verso il basso, verso una convergente barbarie. E’ purtroppo quello che sta succedendo. Dopo l’11 settembre – un atto terrorista che ha prodotto la morte di tremila persone – in America molti, troppi, hanno giustificato l’uso della tortura per sconfiggere il terrorismo

Per quanto riguarda il terrorismo ci sono addirittura difficoltà per raggiungerne una definizione a livello internazionale, dato che si cerca ancora, con una palese assurdità logica, «esentare» alcune cause dalla definizione, e quindi dalla condanna. Una convenzione sul terrorismo approvata vari anni fa dall’Organizzazione della conferenza islamica – Oic, dopo avere definito correttamente il terrorismo come violenza armata contro i civili, aggiunge: «… tuttavia, la lotta di liberazione nazionale non è terrorismo». Chi avrebbe il coraggio di aggiungere alla Convenzione contro il genocidio un articolo così concepito: «… tuttavia la lotta di liberazione nazionale non è genocidio?».  

Vengono anche in mente i neo-con americani, secondo cui il waterboarding (tortura dell’acqua praticata ai tempi dell’Inquisizione spagnola) non è tortura, ed è del tutto legittima nei confronti degli appartenenti a organizzazioni terroriste.

Continueremo a dividerci sulle ragioni dei conflitti, sulle cause contrapposte di chi combatte, ma senza dimenticare che non solo il fine non giustifica i mezzi, ma che certi mezzi finiscono per squalificare le finalità perseguite. 

Qualche anno fa un giornalista olandese simpatizzante della causa palestinese si recò nei territori occupati per intervistare le famiglie degli shahid, terroristi suicidi. Con grande solidarietà, con grande comprensione, ma ad un certo punto del suo pezzo scrisse: «Tuttavia improvvisamente mi sono ricordato che mio padre era un combattente nella resistenza olandese contro i nazisti. Lui non avrebbe mai messo una bomba su un autobus».

1 commento:

  1. Antonio de SImone

    Qualunque cosa si pensi e comunque la si pensi sul conflitto Israele-palestinese, nessuno può negare che l'assassinio di quei tre ragazzi e' un crimine orrendo, un atto terroristico insopportabile. Bravo Camerlengo, e bravo Toscano!

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